Diavoli di ieri

Diavoli di ieri TACCUINO DI SCIASCIA Diavoli di ieri Vicino Siena, una casetta con giardino costruita un paio d'anni fa, graziosa e comoda, è in vendita per un paio di milioni. Ne vale almeno venti: ma non si riesce a venderla per due. Il fatto è che la casa è abitata o visitata dagli spiriti: gli spiriti di coloro le cui ossa sono state trasferite da quel terreno al cimitero, quando si scavavano le fondamenta e quei poveri resti, in tale quantità da far pensare a una fossa comune, di quelle che si facevano durante le pestilenze, continuamente affioravano. Avendo assolto alla pietosa opera di portare al cimitero le ossa, chi costruì la casa pensò la si potesse abitare senza danno o inquietudine: e invece cominciarono le terribili manifestazioni notturne. Rumori, generalmente; ma pare volasse, propriamente volasse, anche qualche schiaffo. Si chiamò il parroco a benedirla, ma non bastò. Si ricorse a preti e monaci più specializzati in benedizioni ed esorcismi, e le manifestazioni notturne continuarono. Se ne sparse la voce, né poteva sfuggire quell'andirivieni di esorcizzatori. I proprietari dapprima negarono; e tentarono di resistere ad abitarla fin tanto che non riuscissero a venderla. Ma non ce la fecero. Si ridussero ad abitarla solo di giorno, lasciandola a sera, come si suol dire, col favore delle tenebre. Ma furono costretti ad abbandonare anche questa linea di difesa: per cui l'estremo deprezzamento. La zona è « rossa »; e in alacre processo di industrializzazione. Eppure non si trova uno che si prenda quella casetta o che a puntiglio o scommessa vada ad abitarla. E se si trovasse — « rosso », spregiudicato, di saldi principi e nervi — finirebbe forse come il Granella di Pirandello: che andò ad abitare una casa in fama di spiriti, irridendo a chi ci credeva; e ne scappò a prima sera, sconfitto ed irriso. (La casa del Granella era, ad Agrigento, nel quartiere di Bibbirrla, che in arabo vuol dire la porta dei venti: e perciò gli spifferi che muovevano le carte, il battere e cigolare delle imposte. E anche questa casetta vicino Siena è situata su un poggio ventoso, alla porta dei venti). * ★ Ma la Toscana, specie nel Senese, è l'epicentro delle manifestazioni prodigiose e diaboliche. Miracoli e sortilegi, apparizioni di infernali tentazioni o di celesti salvazioni, in letteratura e in pittura sono innumerevoli. Nella riaffermata presenza del diavolo, da qui si può trarre la più ampia iconologia e casistica. Certo, ci sono delle contraddizioni: ma può mancare la contraddizione, nella sfera d'esistenza e d'azione del Maligno? Anzi, che cosa può essere il diavolo e il diabolico se non, in sé, contraddizione? Contraddizione, cioè, nel senso di dialettica: e che la scoperta della dialettica segna l'avvento del diavolo. Ma a parte la dialettica, la morte, il pensiero della morte — sorgenti ed essenza del diavolo — è il diavolo spicciolo, in spiccioli di tentazioni, di piaceri consumati, di taedium post, di decadenze e perdizioni, quello in cui più ci si imbatte in Toscana, in Italia: beffardo, triviale, ubiquo spiritello; quasi un cagnolino da sofà o, come si diceva, da grembo — di quelli che stavano in grembo alle dame. Il diavolo di San Bernardino e di Filippo degli Agazzari, di Paolo di Neri e del Sodoma: quello che tenta il monaco ti randolo per la veste, cosi co me un bambino quando va frignando perché vuole dalla ma dre un giocattolo o un gelato (e la figurazione, che in prima si deve forse al Sassetta, è ripresa dal Sodoma in uno degli stupendi affreschi delle storie di San Benedetto, a Monte Oliveto); quello che piglia le sembianze di una camerista per truccare o struccare, e si capisce a suo modo, una signora; quello che esce come uno scoiattolo dalla bocca degli usurai, quando costoro esa lano l'ultimo sospiro. E per avere un'idea precisa delle cose in cui il diavolo aveva mano, prendiamo Gli assempri di fra Filippo degli Agazzari, monaco e poi priore dell'eremo di Lecceto presso Siena. In numero di sessantadue, questi assempri, cioè esempi, furono da fra Filippo scelti, tra i tanti di cui era venuto a conoscenza, col criterio dell'attendibilità: «e solamente scrivo quelli, e' quali ho udito da buone e devote persone e degne di fede, de' quali nella mente mia non ho avuto alcun dubbio, e parmi esser certo che m'è stato detto el vero ». Tenendo conto di quelli in cui il diavolo è presente di persona e non per vaghe influenze e suggestioni, abbiamo questa graduatoria delle cose da lui gestite nel secolo XIV: l'usura; il mal guadagno (cioè il commercio fraudolento e i falsi lucrativi); la moda femminile, e specialmente l'uso dei cosmetici; il giuoco; il « maladetto vizio con tra natura». Ma le gestisce, è il caso di dire, da povero diavolo. Tanto per fare anche noi degli esempi: va ad imbellettare una giovane signora, e le spolpa la faccia come non belletto usasse ma vetriolo; si congiunge col monacello che « assai ne faceva cadere in peccato » dei suoi confrati, ed ecco che costui dismette il vizio e sbalordito ed accorato si muore. E non parliamo degli acquisti di anime, che gli vanno regolarmente male per l'ingenuo costume che tiene di pagar prima. Davvero un povero diavolo. Un buon diavolo. Un diavolo all'italiana. Quel diavolo cui — mi raccontava Tono Zancanaro — in un quartiere popolare di una antica città papalina, le mamme estrosamente e teneramente istruiscono i bambini a voler bene con la domanda: « Vuoi più bene al diavolino o alla madonnaccia? ». Ma fuor di scherzo: questo povero diavolo di cui parla fra Filippo aveva certamente una sua terribilità nel secolo in cui 10 si descriveva e dipingeva, e se ne raccontavano le gesta. Non sappiamo quanti usurai avranno smesso di praticare l'usura, quante donne di imbellettarsi, quanti commercianti di frodare, sentendo gli « assempri » o vedendoli dipinti. Certo è che colpivano dei mali sociali precisamente identificati, definiti e a volte personificati. L'usura, il lusso, la frode e il giuoco erano i mali della società comunale: e la miglior parte del mondo cattolico 11 diceva diabolici, direttamente prodotti dal diavolo, e senza riserve li colpiva e condannava. Oggi si torna a parlare del diavolo e del male, ma non dei mali che produce, delle malefiche attività in cui si realizza, delle persone (delle persone, perché no?) in cui si incarna. Non se ne parla più, insomma, per « assempri ». Per cui l'usuale invito a spiegare con un esempio, quando si parla di cose non del tutto chiare, è particolarmente valido in questo caso. Il Papa dice: il diavolo c'è. Va bene: ma si spieghi con un esempio, con degli esempi, con degli « assempri ». O finirà che, secondo il proverbio, parlando del diavolo se ne vedranno si spuntare le corna: ma soltanto le corna come elemento di ridicola e derisoria esornazione. Per esser chiari: l'usura non c'è più, se non in certe sparute aree del mondo contadino; ma non si può considerare usura il possesso dei mezzi di produzione e degli istituti di finanziamento, e comunque il profitto e la rendita che provengono dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo? E del malguadagno non partecipa, oltre allo sfruttamento, la pubblicità che lo accompagna e incrementa? E non si può ancora ravvisare la presenza del diavolo nei prodotti cosmetici non in quanto servono per abbellire ed attirare ma nella misura in cui sproporzionatamente concorrono all'accumulazione del malguadagno? E c'è poi la guerra. E anche, in qualche caso, la pace. E il benessere di certi popoli cui corrisponde la fame di certi altri. Tutte cose in cui, se ci credessimo, vedremmo spuntare le corna, le mani, i denti e il ventre del diavolo. E non del povero diavolo. •k ★ Le mie estati hanno sempre dei centri d'interesse. Quest'anno è Siena: e perciò rivedo le prediche di San Bernardino, leggo i due deliziosi saggi di Ludovico Zdekauer sulla vita privata e pubblica dei senesi nel « dugento », fra Filippo degli Agazzari, una cronaca su Carlo V nella città; e cosi via. Ma la lettura più felice, più stendhaliana in un certo senso, è quella dei Commentari che Enea Silvio Piccolomini dettò quando divenne papa Pio II. Non li avrei mai letti, facilmente lo confesso, in latino: e perciò ne sono grato a Giuseppe Bernetti, che li va traducendo per le edizioni Cantagalli di Siena (in una collana di classici cristiani che già conta 222 volumi: e il fatto di non averne saputo niente finora è mia mancanza senz'altro, ma dice anche di come pessimamente vada l'informazione culturale in Italia). I commentari sono le memorie del Piccolomini. E credo che per la statura dell'uomo e il suo ruolo storico siano da paragonare unicamente alle memorie di Churchill. Ma non è soltanto la storia che questo papa umanista tiene d'occhio: anche la cronaca, fino al piccante. C'è dentro, insomma, l'Italia di quelle cronache che Stendhal si era fatto rilegare « a dorso rosso ». E c'è anche il personaggio di colui che racconta e rimemora: vivace, scettico, egotista. Un Fabrizio del Dongo diventato, a cavallo del secolo XV, pontefice della Chiesa romana. Leonardo Sciascia

Persone citate: Cantagalli, Carlo V, Churchill, Enea Silvio Piccolomini, Giuseppe Bernetti, Leonardo Sciascia, Ludovico Zdekauer, Pirandello, Senese, Tono Zancanaro