I partiti politici spese e statuto

I partiti politici spese e statuto FINANZIATI DALLO STATO? I partiti politici spese e statuto Pubblichiamo un articolo dell'ex presidente del Consiglio Giuseppe Pella, che propone all'opinione pubblica Italiana e al mondo politico un problema di grande importanza: Il finanziamento e il funzionamento del parliti politici. Su questo tema può aprirsi un dibattilo. Il problema del finanziamento dei partiti sempre più s'impone all'opinione pubblica, soprattutto per il sospetto che a favore dei medesimi sia silenziosamente dirottato parte del denaro pubblico (che non può avere clandestine destinazioni di parte) e che in fondo ad alcuni scandali, più o meno recenti, siano impigliati partiti, correnti e sottocorrenti. Ammettiamo pure che non sia vero: ma il sospetto esiste. Ed in politica il sospetto è spesso più nocivo della cruda verità. Il presidente Rumor, nelle sue dichiarazioni programmatiche, ha fatto un breve cenno al problema: inoltre già sono state presentate proposte di legge, d'iniziativa parlamentare, tendenti a trasferire sul bilancio statale la maggior parte degli oneri a cui i partiti debbono far fronte. L'iniziativa è tutt'altro che nuova. Fin dal 1960, quale ministro del Bilancio del governo Fanfani, su esortazione del presidente del Consiglio predisposi un disegno di legge che riposava su quattro caposaldi: 1) divieto assoluto da parte dello Stato, degli enti parastatali e degli enti pubblici in genere, di finanziare, direttamente o indirettamente, partiti, correnti o movimenti politici di qualsiasi genere; 2) severe sanzioni nel caso di violazione del divieto; 3) stanziamento di congrua somma nel bilancio dello Stato, da stabilire annualmente e da ripartire fra i partiti in proporzione ai suffragi elettorali raccolti; 4) controllo sui bilanci dei partiti al solo scopo di accertare il rispetto del divieto di cui al punto primo: controllo da affidare ad un collegio non influenzato da preferenze politiche. Ancora oggi penso che un controllo del genere possa essere affidato a magistrati al di sopra di qualsiasi sospetto. * ★ Tale, a grandi linee, il disegno di legge allora predisposto e che rimase giacente per difficoltà sopravvenute. Ma una fondamentale, inquietante domanda pongo a me stesso: l'opinione pubblica che, cinque o dieci anni fa, sembrava disposta ad accettare il finanziamento pubblico dei partiti, oggi lo accetterebbe ancora? La domanda è di grande importanza, perché una legge del genere, quasi certamente approvata in Parlamento, sarebbe una cattiva legge se non avesse saputo recepire il consenso dell'opinione pubblica. Le leggi migliori sono quelle che fotografano il sentimento della maggioranza popolare: le leggi che non godono di questo requisito certamente hanno la loro validità giuridica, ma contengono, qua si sempre, un quid di coerci zione della volontà popolare. E' difficile affermare che oggi i partiti godano di buona slam pa. Di volta in volta, ventate qualunquistiche o di altro tipo sarebbero liete di mortificarli o addirittura di sopprimerli. Errore grave: nei Paesi in cui non esistono partiti, esiste, quasi sempre, il partito unico, cioè la dittatura. Il problema non è di poter fare a meno dei partiti, ma di ottenere che essi si muovano nel rispetto della Costituzione, cooperando coi diversi organi ed istituti contemplati dalla nostra « Magna Charta » del 1948, senza ad essi sovrapporsi o menomarne le competenze. In un Paese in cui per svolgere qualsiasi pur modesta attività è necessaria almeno un'autorizzazione statale o locale, da chiedere su carta bollata con molti allegati, i partiti, centro motore della vita nazionale, possono muoversi « a ruota libera » invadendo ampiamente aree di competenza del governo e del Parlamento. L'art. 49 della Costituzione rappresenta il loro atto di nascita: ma tale articolo merita ormai lo studio di una disciplina che non vuole affatto mortificare i partiti, che tende invece a rafforzarne la loro ragion d'essere coordinando la loro attività con gli organi ed istituti contemplati dalla Co¬ stituzione ed assicurando al loro funzionamento il metodo democratico voluto dall'art. 49. Tale normativa — se spiace chiamarla disciplina — ha ancora maggiore ragion d'essere se si considera che il presidente della Repubblica Saragat inaugurò la prassi, confermata dal successore presidente Leone, di convocare anche i segretari dei partiti per le consultazioni in occasione delle crisi di governo, unitamente ai presidenti dei gruppi parlamentari ed alle altre autorità tradizionali dello Stato. ★ ★ Quale conclusione trarre? Difficilmente l'opinione pubblica accetterebbe una legge che si limitasse a trasferire la spesa sul bilancio statale, già così barcollante sotto pesi eccessivi. Diverso sarebbe invece — almeno ritengo — l'atteggiamento rispetto ad una legge che affrontasse, nei suoi diversi titoli, l'intera disciplina dei partiti, a guisa di applicazione e regolamentazione dell'art. 49 della Costituzione. Fra gli altri, due punti essenziali dovrebbero essere affrontati: 1) rapporti fra partiti e Parlamento; 2) rapporti fra partiti e potere esecutivo, e ciò allo scopo di evitare le confusioni da tempo derivanti da scavalcamenti ed invasioni di competenze. Una legge del genere potrebbe serenamente contenere un apposito titolo con cui si stabiliscano le norme per l'accollo al bilancio statale dell'onere di finanziamento. So perfettamente che la proposta di disciplinare l'attività dei partiti, nella libertà e nella democrazia, susciterà opposizio— e magari clamori — di vario tipo ed intensità: ma non sarà certamente l'opinione pubblica — cioè la gran massa dell'elettorato — ad opporsi. Perché non provare? Perché non adottare qualche iniziativa per un'ampia, serena discussione? Ne varrebbe la pena. Giuseppe Pella

Persone citate: Fanfani, Giuseppe Pella, Rumor, Saragat