Che cosa fare subito di Manlio Rossi Doria

Che cosa fare subito L'agricoltura italiana nell'Europa verde Che cosa fare subito Non conosco, ma posso immaginare le reazioni che i precedenti articoli su questo tema possono aver suscitato. C'è molto di vero — si dirà — ma, se vogliamo attendere d'aver sciolto tutti quei nodi, d'aver riveduto la legge di recepimento, di avere aperto il dialogo con Bruxelles, si rischia anche questa volta di arrivare col carro di Negri e di restar fermi quando gli altri cammineranno. Quest'ultimo articolo intende, appunto, dare una risposta a queste più che legittime osservazioni. Quando ci si accinge ad una politica nuova alla quale non si è preparati, la cosa più sciocca e pericolosa è quella di passar sotto gamba le difficoltà e di buttatisi dentro improvvisando. Quando poi — come è questo il caso — si tratta d'una politica di lungo respiro, comportarsi a quel modo sarebbe oltre che da sciocchi, da folli. Si potranno certamente contestare alcune delle osservazioni e delle proposte presentate nei precedenti articoli, che non sono tutte quelle che si potrebbero fare in argomento. Ma, grosso modo, la realtà è quella che è e non si può non farci i conti. Come uscire allora dalla contraddizione? Come, cioè, dare, anche nel nostro Paese, all'applicazione delle Direttive un avvio immediato, che non sia, nello stjsso tempo, improvvisato? Realisticamente, a mio avviso, un'adeguata risposta si articola in tre punti: 1) Rivedere subito la proposta di legge già presentata, sciogliendo in essa chiaramente alcuni dei nodi d'impostazione dei quali s'è parlato (applicazione programmata, attribuzione dei poteri alle Regioni, attuazione per piani zonali, integrazione con le altre politiche nazionali e comunitarie); 2) rinviare al prossimo avvenire lo scioglimento degli altri nodi, che richiedono maggiore meditazione (regolazione definitiva del prepensionamento degli anziani, aggiornamento del Catasto e revisione degli estimi, modifica delle leggi per la formazione di proprietà coltivatrici, revisione delle leggi sulle forme associative, preparazione dei quadri e dei servizi per l'assistenza tecnico-economica e per l'istruzione professionale); 3) mettere subito a punto una serie di programmi regionali per l'avvio immediato della nuova politica in zone opportunamente scelte sulle quali concentrare nel 1974 il processo di ristrutturazione con i relativi apporti finanziari nazionali e comunitari. Del primo di questi punti — con il nuovo governo — è auspicabile che il Parlamento sia subito investito in modo che la legge relativa sia pronta nell'ottobre e possa diventare operativa, dopo la revisione di conformità da parte della Commissione Cee, col primo gennaio 1974. Dei temi indicati nel secondo punto, che richiedono meditazione e confronto dei vari orientamenti, ci sarà tempo per ragionarli. Su uno di essi è, tuttavia, opportuno dir subito qualcosa: sulla regolazione del prepensionamento agli anziani. Com'è noto, la seconda Direttiva (la 160) — della quale di proposito non s'è parlato negli articoli precedenti, se non per cenni — prevede un «regime di incoraggiamento alla cessazione dell'attività agricola e alla destinazione della superficie agricola utilizzata a scopi di miglioramento delle strutture». In considerazione del fatto che molte delle piccole aziende sono in mano di imprenditori agricoli anziani, i cui eredi si sono già allontanati dall'agricoltura, la Direttiva prevede di concedere loro (se compresi tra i 55 e i 65 anni) una indennità annua a carico del Feoga di 900 unità di conto (pari al vecchio cambio, ora sconvolto, a 568 mila lire) se coniugati e di 600 (382 mila lire) se vedovi o scapoli, a condizione che essi lascino libere almeno 1*85 per cento delle terre precedentemente coltivate, che possono affittare o vendere per ampliare le aziende che restano e per le quali hanno inoltre diritto alla concessione di un premio differenziato in ragione della superficie lasciata libera. A prima impressione appare questo il più tangibile degli aiuti comunitari e il più adatto ad un Paese come il nostro, dove di vecchi in campagna ce ne sono tanti e dove più è sentito il bisogno di aver terre libere per ampliare le aziende che restano in attività. Sembra, tuttavia, opportuno procedere con estrema cautela nell'adozione di questa Direttiva per ragioni facilmente comprensibili. Anzitutto è chiaro che non si può illudere un vecchio, poniamo di 60 anni, dandogli una pensione di 45 mila lire al mese, che si ridurrebbe a 24 mila (che tante oggi sono) appena raggiunge i 65: se non si riforma il livello delle pensioni agricole ordinarie si rischia di creare dei malcontenti, anziché dei soddisfatti. In secondo luogo, chi conosce le nostre campagne sa che i figli (per lo più ben stabilizzati fuori dell'agricoltura) difficilmente consentiranno loro di affittare o vendere le terre che considerano proprie e sulle quali sperano di tornare. In terzo luogo c'è il rischio che — se non si immette l'applicazione anche di questa direttiva inequivocabilmente anche nei piani zonali — tutti i vecchi contadini italiani pretenderanno la pensione privilegiata, sbancando l'erario e il Feoga. Il professor Di Cocco ha calcolato che, coi fondi stanziati dalla seconda Direttiva, si possono pensionare al massimo, in cinque anni, 160 mila anziani. Cosa diranno le molte centinaia di migliaia di esclusi dal beneficio e restati a bocca asciutta? Prudenza, dunque, e meditazione pri¬ ma di dare il via a questa Direttiva. Il che ovviamente non significa che ad essa si debba rinunciare, ma solo che occorre trovare un sistema per ovviare a questi inconvenienti o per non incorrere nel sistema all'italiana di un prepensionamento ottenuto per raccomandazioni clientelari. E veniamo al più importante, all'ultimo punto. Una politica nuova, difficile e di lungo periodo non si improvvisa in pochi mesi, quanti ne mancano al primo gennaio 1974. Ma la via d'uscita c'è. Si accerti subito in sede comunitaria qual è la somma destinata all'Italia per il 1974 per l'applicazione delle Direttive e si stanzi subito la somma corrispondente a carico del bilancio italiano. Si concordi poi, in seno al Comitato interregionale presso il Cipe, una ripartizione ragionevole di questi fon¬ di tra le singole Regioni. E si affidi, infine, ad ogni Regione la responsabilità di preparare, nel corso dei prossimi mesi, pochi piani zonali di prima applicazione programmata e globale delle Direttive e delle norme nazionali per la loro attuazione. Opportunamente scelte le zone, preparati per esse i piani, mobilitate le popolazioni, le Direttive potranno subito andare in applicazione e si comincerà una esperienza, sui cui risultati (positivi e negativi) avremo modo di meditare per allargare con maggior serietà l'azione degli anni seguenti. Avremo così un avvio immediato, ma non improvvisato. Manlio Rossi Doria (I precedenti articoli di Manlio Rossi Doria sui problemi dell'agricoltura itaiiana nell'Europa Verde sono stati pubblicati il 25, 27, 29 luglio e VI agosto).

Persone citate: Di Cocco, Manlio Rossi Doria, Negri, Prudenza

Luoghi citati: Bruxelles, Europa, Italia