Allarme a Ponza per la miniera che minaccia la distruzione di quasi una metà dell'isola di Fabrizio Carbone

Allarme a Ponza per la miniera che minaccia la distruzione di quasi una metà dell'isola Il Comune denuncia il fatto all'opinione pubblica Allarme a Ponza per la miniera che minaccia la distruzione di quasi una metà dell'isola Produce bentonite, minerale argilloso di origine vulcanica - Avanza a cielo aperto portando via tutto, alberi e tratti di costa - Una nube di "polveri inerti" ristagna a mezz'aria - Il turismo è in pericolo -1 dirigenti della società, forti di una concessione che frutta allo Stato 117 mila lire all'anno, sostengono l'importanza dell'attività, pronti a discutere (Nostro servizio particolare) Ponza, 2 agosto. Una miniera di bentonite, minerale argilloso di origine vulcanica, può distruggere metà dell'isola di Ponza. Il Comune, che tutela gli interessi di tremila abitanti e vive di turismo stagionale, denuncia il fatto all'opinione pubblica e ai ministri dell'Ecologia e dell'Industria. Ma la miniera a cielo aperto avanza portando via tutto, facendo franare case, abbattendo alberi. Le coste ripide precipitano a mare attaccate da bulldozer, scavatrici. Si sparano mine. Una nube di «polveri inerti» ristagna a mezz'aria. Quando soffia il vento di maestrale le polveri arrivano al paese. Si respira a fatica. E la protesta monta. La Samip è la società mineraria per azioni che ha in concessione dal 1937 lo sfruttamento di 300 ettari di isola, quasi la metà di Ponza. Solo dal 1962 si è iniziata l'attività intensiva: in quell'anno la società ha ottenuto dal ministero dell'Industria il rinnovo della concessione fino al 1992, malgrado l'opposizione netta del Comune. Lo Stato ricava dalla società mineraria 117 mila lire all'anno più 40 mila lire di tasse. Oggi per bloccare la distruzione in atto si è mossa la Regione Lazio che ha inviato, con lettera di accompagnamento, un «libro bianco» ai ministri Corona e De Mita. E* una battaglia combattuta su fronti diversi, non ultimo quello burocratico. Come nei migliori casi di assalto al patrimonio naturale del paese, il baluardo del vincolo paesistico è stato il primo a saltare. L'isola, difesa dalle speculazioni edilizie indiscriminate, conservava nel '56 ancora un aspetto selvaggio. Di particolare bellezza era la località «La Forna»: una serie di cale, spiaggette, rocce a picco, una vegetazione bassa ma lussureggiante, un abitato sparso caratteristico per l'architettura di tipo saraceno. Mare dai colori netti, limpido, pescoso. Per garantirne la rigorosa conservazione il ministero della Pubblica Istruzione emette un decreto, ai sensi della legge 1497 del 19 giugno 1939, di vincolo per impedire che a Ponza si costruisca lungo il mare, si aprano strade, si deturpi la bellezza delle coste. Ma la Samip inizia lo sfruttamento intensivo della miniera di bentonite, partendo proprio da «La Forna». In undici anni il profilo della costa è sconvolto: l'isola, in questa zona, pare spolpata allo scheletro, mostra i segni dello scempio. Si sono formate accecanti barriere di roccia bianca che vengono risucchiate, mangiate dalla raffineria. In un paesaggio lunare, sotto un sole caldissimo, le ciminiere spargono polvere e fumo ovunque. La nevicata ricade a terra e ricopre come cipria impalpabile case e strade, alberi e piante. Sulle case del paese è apparsa in questi giorni una scritta: «Ponza muore: grazie alle autorità!». L'isola ha un passato illustre che parte da una civilizzazione fenicia. Colonia greca, poi fedele a Roma, Ponza, 59 chilometri a sud ovest del golfo di Gaeta, divenne favorito rifugio di imperatori in ferie estive. Negli anni oscuri del Medioevo fu contesa tra nobili locali e grandi famiglie al servizio dei papi. Sul suo mare furono combattute tre battaglie: nel 1301, nel 1435 e nel 1552. «Faremo una fine ingloriosa — dicono al Comune — dopo millenni di civiltà. Tutto questo lo dobbiamo a una miniera che non rende quasi nulla e che sta lì solo a giustificare una raffineria che serve alla Samip per le altre miniere che ha in Sardegna». C'è uno scontento diffuso, preoccupante. A Roma parliamo con i responsabili della miniera. Dalle accuse si difendono con calma. «Prima di tutto contestiamo l'affermazione — dicono — secondo cui noi usiamo la raffineria di Ponza per le miniere sarde. Non abbiamo miniere ma solo stiamo sondando alcune zone alla ricerca dì minerale. E' un lavoro di ricerca a lunga scadenza di un'azienda in via di espansione. La miniera di Ponza non è fallimentare. Estraiamo 120 mila tonnellate di bentonite all'anno e il giacimento è sfruttabile per altri 15 anni. Noi comprendiamo il timore e la preoccupazione dei ponzarli. Ma loro non hanno accettato un dialogo che noi siamo pronti ad aprire». I tecnici della Samip ci spiegano che per il 90% esportano ben¬ tnrmtzvivaclogdcgn—manvtpndrsn tonite nei Paesi scandinavi, nei Paesi Bassi, in Inghilterra, Spagna e Liberia. «Ci siamo aperti un mercato importante battendo la concorrenza. Non possiamo chiudere e venir meno ai nostri impegni internazionali. Dobbiamo invece parlare del problema ed arrivare ad una soluzione; chiediamo soprattutto interlocutori validi». La Samip spiega che per ora l'intervento sull'isola riguarda circa una quarantina di ettari. In sostanza essi dicono che si potrebbe raggiungere un accordo: «Ora che la nostra controparte — dicono — ha inviato un dossier ai ministri interessati, faremo anche noi i nostri passi. Il ministro Corona potrebbe convocarci per dirimere la vertenza. La soluzione più semplice sarebbe una transazione». La Samip afferma che dopo la coltivazione del minerale una politica di rimboschimento può riparare i danni inferii al paesaggio. «Noi abbiamo ottenuto la concessione — dicono — e il rinnovo. Siamo nella legalità. Ma siamo anche noi sensibili al problema ecologico dell'isola». Un dialogo, sia pure con un tramite, è stato aperto. Il problema, cavilloso e bizantino, non si sarebbe posto se ci fosse stato un rifiuto dell'autorità a concedere l'autorizzazione, in nome del paesaggio da tutelare e del turismo da favorire. Su questo punto insiste la rabbia dei ponzani. Si è chiesta l'applicazione della legge 617 del '66 che sottopone a controllo i Comuni a inquinamento atmosferico. La polvere soffoca i bronchi degli abitanti di Ponza e la soda, con cui si tratta il materiale estratto, finisce in mare distruggendo l'habitat e i pesci. Non ci sono più cernie. Lo dice Achille Balsamo che portava i «sub» a «La Forna» con la sua barca. La vicenda ha il suo aspetto paradossale. La bentonite, mi¬ nerale ignoto ai più, serve anche a depurare l'acqua. Nell'isola il giacimento è grande. Deriva dalla trasformazione di materiale vulcanico. Si vende 15 lire al chilo soprattutto per essere usata in metallurgia. Una sua proprietà specifica: a contatto con l'acqua si rigonfia fino a 10 volte il suo volume. La si usa anche in ceramica, nella raffinazione dei prodotti petroliferi, nel calcestruzzo e nelle malte. «Neanche se ci fosse una miniera di smeraldi — dice il sindaco di Ponza — varrebbe la pena distruggere il nostro paradiso. Finiremo col perdere i turisti». Al porto attraccano gli yachts attirati dal fascino di un'isola mitica. Accanto a Ponza c'è lo scoglio disabitato di Gavi, più avanti Zannone: il posto di caccia che fu dei marchesi Casati Stampa di Soncino. Ponza contro la bentonite: la soluzione esiste se c'è la volontà di arrivare ad un accordo. Fabrizio Carbone

Persone citate: Achille Balsamo, Casati Stampa, De Mita, Forna, Zannone