Teatro, musica e concerti pop per tre settimane a Edimburgo

Teatro, musica e concerti pop per tre settimane a Edimburgo IN CENTOMILA NELLA CAPITALE DELLA SCOZIA Teatro, musica e concerti pop per tre settimane a Edimburgo Al festival ufficiale si affianca una rassegna "clandestina" - Il "Tattoo", concerto di zampogne - Prenotazioni con settimane d'anticipo - Il costo della manifestazione, 750 milioni di lire: gli scozzesi si lamentano (Nostro servizio particolare) Edimburgo, 31 luglio. Il 19 di agosto si apre, per la ventisettesima volta, il Festival di Edimburgo: tre settimane di prosa, musica da camera, concerti pop, pantomime. Venti giorni durante i quali la capitale della Scozia diventa un centro culturale importante. 11 Festival di Edimburgo — come quasi tutti i festival del mondo — è nato per dare popolarità ad una città e una zona che fino a qualche anno fa era ignorata dal turismo internazionale. L'operazione pubblicitaria — come del resto a Aixen-Provence, Salisburgo, Bayreuth, Spoleto, ecc. — ha funzionato. E Edimburgo difatti già incomincia a riempirsi di visitatori attratti non solo dal Festival ufficiale ma dal programma « clandestino » che qui chiamano the fùnge: la frangia. Compagnie di dilettanti danno spettacoli, cabaret, opere, pantomime che spesso hanno rivelato nuovi talenti e che sono diventati famosi. Il fringe è quasi più importante del Festival ufficiale ed impresari e talent-scouts vengono ad Edimburgo per tener d'occhio ed ingaggiare cantanti, attori, musicisti, nuovi autori. Un altro tipo di pubblico accorre al Tattoo, una parata militare che si tiene nella spianata della bellissima rocca, sopra la parte antica della città. 11 Tattoo — zampogne, sottanine scozzesi e tutte quelle chincaglierie e tradizioni che fanno impazzire di gioia i turisti — è uno degli spettacoli più popolari del Festival: bisogna prenotare i biglietti con settimane d'anticipo. Altrimenti non si troverà posto nell' immensa spianata. Non sono poi solamente i grandi alberghi a riempirsi, ma pensioni e bed - and - breakfast, quelle case cioè che si improvvisano pensioni per il Festival. I ristoranti fanno grandi affari nonostante insistano con il chiudere bottega alle 10 di sera (meno quelli cinesi che in questi ultimi anni sono sbocciati come fiori di loto nella città del Nord). Molti club aprono le loro porte, gallerie espongono opere di pittori e scultori di dubbio o indubbio merito. La grande strada del centro, Princes Street, che divide la città medioevale dalla città neoclassica, si riempie di infaticabili compratori di tweed, di cashmere e lambswool, dei rinomati Shetland scozzesi: insomma non c'è chi non ritorni a casa senza un sottanino o un taglio di stoffa scozzese di un clan o l'altro, Royal Stuart, Drummond, Campbell Oltre 100.000 i visitatori: la città guadagna, non c'è dubbio. Ma il Festival? Come ogni festival che si rispetti, anche questo perde. Costa mezzo milione di sterline (circa 750 milioni di lire). Metà di questa somma viene dai ricavati del botteghino, l'altra metà, circa 100.000 sterline sono pagate dallo Scottish Aris Council, cioè dal governo, e 120.000 sterline dalla città, cioè dalle tasse dei cittadini stessi. Il Festival perde 250.000 sterline, circa 350 milioni di lire italiane ma, come dice un delegato della municipalità di Edimburgo, « il guadagno è incalcolabile ». Una novità Edimburgo, prò capite la città più ricca del Regno Unito, non è del tutto convinta di questo ed essendo fondamentalmente una città puritana (il calvinismo vi ha preso più piede che in qualsiasi altro centro britannico) considera la «cultura» come una misteriosa minaccia. La famosa maggioranza silenziosa, che è sempre non altro che una minoranza vocifera, contrasta il Festival. Ma, a poco a poco bottegai, albergatori e commercianti, cioè la vera maggioranza della città, si sono accorti che, anche se non gli importa niente delle arti in generale, il Festival è redditizio e che vale la pena di perdere qualche penny all'anno in tasse municipali verso quelle perdite cittadine che poi tornano a profitto personale. Le ultime statistiche dimostrano che il 50 per cento degli spettatori del Festival è locale. Uno degli argomenti dei detrattori — che il Festival è esclusivo piacere di forestieri debosciati — si è rivelato nullo. Come al solito, anche quest'anno il programma del Festival è ottimo: una nuova compagnia darà un Don Giovanni con regia di Peter Ustinov con Luigi Alva, Geraint Evans e Heather Harper. L'opera di Stato ungherese porterà due opere di Bartok (// castella di Barbablù e // mandarino miracoloso) oltre a // matrimonio di sangue di Szokolay e Spartacus di Khatcha- Come novità ci sarà a Venezia di Benjamin turian Morte Britten. Più interessanti saranno i concerti, diretti da Georg Solli, Pierre Boulez, Daniel Barenboin, Léonard Bernstein, Carlo Maria Giulini, Zubin Mehta ed altri, con l'Orchestra di Parigi, la Bbc Symphony Orchestra, l'Orchestra da camera inglese, la London Symphony Orchestra, la New Philharmonia Orchestra, e la Scottish National Orchestra. Tra i solisti: Annie Fisher, Jacquerie Du Pre, il Quartetto Amadeus, Cecil Aronowitz, Les Percussions de Strasbourg, la Schola Cantorum di Stoccarda. Musicalmente, quindi, a posto. 11 teatro non è cosi spettacolare come in altre annate: da notare, tra le tante compagnie, soltanto il Pericle di Shakespeare con Derek Jacobi. Milva canterà il suo Brecht. Ci sarà un festival internazionale del cinema, varie mostre «ufficiali»: una americana, una francese e una scozzese. Intellettuali In un certo senso quest'anno la novità è il Don Giovanni, in quanto l'opera sarà messa in scena dal Festival stesso. Fino ad ora erano compagnie straniere a portare le loro esecuzioni. Ma dato che le compagnie estere che vengono «invitate» al Festival devono pagarsi tutto fuorché i'alloggio e i pasti, il livello artistico è stato alquanto basso. L'anno scorso, per esempio, la compagnia del Teatro Massimo di Palermo dette tre opere e tutte e tre lasciavano molto a desiderare nell'esecuzione e nella messa in scena. «Non potevamo certo essere molto difficili, ha detto un dirigente del Festival, i mendicanti non possono scegliere». E così hanno deciso di mettere in scena il loro spettacolo che certo alzerà i costi del Festival. Per l'opera, inoltre, c'è la difficoltà del teatro: viene messa in scena in uno squallido teatrino semiprivo di acustica e di palcoscenico. Ma un teatro dell'opera sta per essere costruito. «Decidiamo proprio oggi sulla scelta del progetto», mi ha detto un delegato dell'Arts Council scozzese. Ma ne vale la pena? Lo scozzese non è pubblico particolarmente affine all'opera. Il Festival di Edimburgo ha un suo tono particolare. Per gli en¬ tusiasti offre spettacoli dal mattino alle 3 di notte senza interruzione. La convivenza tra spettatori ed interpreti è continua. Ma si ha sempre l'impressione che il Festival avvenga «nonostante» la città. Direttore del Festival prima delll'attuale efficentissimo Peter Diamand era Lord Harewood, cugino della regina ed eccellente musicologo: ma troppo moderno per la puritana città che lo volle cacciare. Specie dopo che il Festival aveva avviato conferenze di scrittori e drammaturghi quale lonesco, Mary Mac Carthy, Kenneth Tynan, Peter Brook, Edward Al- bee, Giinter Grass: meno il primo, tutti questi socialisti pericolosi. Per le quiete strade medioevali della bella Edimburgo, chissà cosa avrebbero potuto combinare quei pericolosi intellettuali. Gaia Servadio