Sole e canti per i minatori

Sole e canti per i minatori A Viverone la festa delP"Europa povera,, Sole e canti per i minatori Il raduno è stato organizzato dal parroco - "E' un lavoro antico, quello in miniera. Era lavoro di schiavi, di ergastolani. Molto è cambiato, ma la pena dura è rimasta" A Marcinelle, nel '56, in un crollo morirono 139 italiani - Testimonianze e ricordi (Dal nostro inviato speciale) Viverone, 28 luglio. «Il sole è come le sigarette, se non ci sono soldi, se ne fa a meno ». Enzo Leoni, è un ex minatore. « Andai in Belgio, trovai lavoro. Ogni mattina l'ascensore mi sprofondava giù. Tre minuti di viaggio, un chilometro, dentro la terra. C'erano tanti ascensori. Tanta gente andava giù. Greci, italiani, spagnoli, polacchi ». I « grattacarbone », l'« Europa dei poveri ». Enzo Leoni, ha 33 anni, ora fa l'impiegato a Milano, non sogna più il sole, gli spetta per contratto. Enzo Leoni non ha dimenticato gli anni di miniera. «Portavo i feriti, i morti. Quasi ogni giorno c'era un incidente. Tre anni così, facendo l'infermiere, il becchino ». Leoni è tornato tra i compagni di lavoro, li ha trovati a Viverone, venuti di qua e di là, c'è il primo raduno dei minatori europei. Il bel paesino in riva al lago è ornato di bandiere. Fiaccolate, canti, palloncini colorati che sventolano in cielo. Ci sarà anche la banda. E' una festa gentile, senza pretese. E' la festa dell'Europa povera che lavora nelle miniere. La festa dei minatori europei è un'idea del parroco. Don Luciano Burocco, 47 anni, è stato a lungo tra i lavoratori del carbone, nelle cittadine del Belgio. « Ho visto la loro vita amara, la fatica tremenda, la speranza delusa. Ho conosciuto chi sono i minatori: uomini disperati, che vogliono vivere ed hanno accettato il lavoro più duro, quello che gli altri rifiutano. Li ho ammirati. Hanno coraggio, resistono all'angoscia che soffoca, quando sono giù, nel ventre nero della terra. Ho sentito lo strazio dei feriti, il pianto delle mogli, li ho visti morti, e prima erano nel bar che giocavano a carte, che speravano in una vita migliore ». Don Burocco spiega perché c'è festa a Viverone. «Una inezia, dice, per dire grazie, a loro ». E' un lavoro antico, quello del minatore. Era lavoro di schiavi, di ergastolani. Molto è cambiato, ma la pena dura è rimasta. «Nessun minatore augura ai propri figli un lavoro come il suo », dice Franco Milieri, 45 anni, di Santhià. Anch'egli è sceso nei pozzi, ha scavato il carbone. «Pochi resistono. Quindici anni, poi si è bruciati ». La terra è crudele con chi fruga nelle sue viscere. Sciagure, migliaia di uccisi. A Courrières le vittime furono 1176, a Honkeko, in Manciuria, furono 1549, furono 263 a Marcinelle, nell'agosto del '56. Gli italiani morti furono allora 139, asfissiati, schiacciati, bruciati. Burocco dice: « Quando accade, ì parenti attendono, fuori dai cancelli, poi prendono i morti, li portano via». Il minatore scende, va giù uomo, ma quand'è sul fondo, nel lungo budello che buca la terra, è allora un numero, quello che ha sull'elmetto. Il minatore dice che giù, un chilometro sotto, non ha più amici. Trapana la roccia, strappa il carbone, con l'ansia di finire, che venga l'ora di risalire, dove stanno gli uomini. «Ci chiediamo sempre, laggiù, dice Franco Miliari, se fuori c'è il sole, là in alto. E quando i cancelli si aprono lo guardiamo, il sole, e pensiamo com'è buono, che è come una bella ragazza, che uno ci potrebbe fare anche l'amore, che ha odore buono, che è caldo, che ha un bel colore ». Viverone fa festa ai minatori. « Siamo gente che s'accontenta di poco, dice Franco Miliari, ci basta avere la certezza della vita, essere fuori dalla terra, stare assieme, parlare, ballare. Facciamo feste, la gente viene da altre miniere, ragazzi e ragazze si incontrano, forse si sposeranno ». La vita del minatore è solitudine, giù nella terra, e anche sopra, perché è fra stranieri, che parlano altra lingua, che hanno altri costumi. « Quando si è nella roccia, si pensa a non morire. Allungati a cuneo dentro, si guarda, se cade la polvere. Quel rivoletto che viene giù, improvviso, con dolcezza. E' il segno del crollo, un minuto, forse due, forse tre. Il tempo di sguscaire, ed ecco la terra che crolla ». C'è bel tempo, in riva al lago di Viverone e la gente paseggia. Sta tranquilla. Enzo Leoni, ex minatore ora impiegato, dice: «Chi ha lavorato nel buio, prigioniero lontano, ha sempre occhi stupiti per la bellezza della natura. Qui è sole, laggiù lontano, nelel miniere, ecco io penso che laggiù c'è il niente: non sono uomini, ma macchine. Qui c'è il sole e mi pare impossibile che uomini ciechi del sole vivano laggiù, per poter vivere ». Viverone regala una piccola festa, ai minatori: un sorriso, per chi ha il lavoro più •umile, per i « musi neri, i « grappa carbone », degli uomini che guardano con amore il sole restituito. C'è chi è stato sepolto, nella miniera, ed è riuscito a tornare tra i vivi. Dice Franco Milieri: «Vedemmo la polvere, crollò tutto. Restammo prigionieri. Io, un greco, un russo. Tre uomini che parlavano, che non capivano». C'è una vecchia canzone, nella Ruhr: « Noi minatori tutti assieme, dobbiamo andare vestiti di nero, cappa nera calzari neri, sempre vestiti a lutto, perché tanti di noi restano morti, morti, crepati nei pozzi ». g. b.