Giappone, terzo grande di Michele Tito

Giappone, terzo grande SOTTILE GIOCO PER IL PREDOMINIO IN ASIA Giappone, terzo grande Tra Washington e Tokio i rapporti sono cordiali (anche se resi difficili, negli ultimi tempi, dai contrasti finanziari) - Soprattutto i nipponici sono preoccupati dalla "doppia apertura" degli Stati Uniti verso la Cina e la Russia - Il grosso problema: partecipare allo sfruttamento delle risorse siberiane Tanaka e Nìxon si incontreranno a Washington il 31 luglio all'insegna del timore e della diffidenza. Il gigante economico che non aveva fino a ieri una politica estera corrispondente alla propria forza ha bisogno adesso di rimettere tutto in discussione. Dopo i traumi del Nixon-shock della inconvertibilità del dollaro, del viaggio del Presidente americano a Pechino e della «grande intesa » russo-americana, la pigra filosofia degli affari nella « equal distance » tra ì giganti vecchi e nuovi è ora superata. E se Tanaka rinvia, con l'accordo del Cremlino, il viaggio a Mosca previsto per agosto è perché personifica tutti i dubbi che il mondo asiatico nutre verso la politica degli equilibri stabilizzati di Kissinger. Vi sono cose che si dicono apertamente e altre che l'incertezza « tra l'arroganza e la remissività» vuole siano capite: il Giappone ha bisogno di libertà d'azione in Asia per vivere, come solo può vivere, di ininterrotta crescita economica; e il suo bisogno di essere adesso protagonista determinante in Asia fa che le sue ambizioni, la forza di cui comincia a vantarsi, coinvolgano la scena mondiale. Prima si sentiva stretto fra i giganti, ora ha da chiedere agli uni e agli altri cose che « riguardano tutto il mondo ». Teme che l'intesa russo-americana lasci l'Asia nell'incertezza e •congeli l'Europa. E teme che l'Unione Sovietica possa meglio attuare il vecchio progetto di un patto di sicurezza in Asia capace di isolare la Cina che il Giappone vuole presente e inserita nel gioco mondiale. Così Tanaka diventa l'avvocato delle ragioni giapponesi e cinesi insieme: è la sua carta migliore, quella che rende ai giapponesi meno costosa, meno lunga e meno tortuosa la « marcia vitale » verso l'obiettivo di un Giappone finalmente «amato in Asia». Dall'anno scorso ad ora gli avvenimenti si sono succeduti in maniera tale da rendere attuale per la maggioranza lo slogan che prima era solo della minoranza: «Siamo in Asia, ma la politica con l'America ci respinge sulla Luna ». L'intesa russoamericana priva il Giappone di alcune carte nei confronti dell'Unione Sovietica e riduce gli effetti attesi del « grande colpo » della corsa alla Cina, cominciata dopo Nixon ma più promettente per il Giappone: «una corsa vinta sul traguardo». Tutto è nuovo perché per la prima volta, nel dopoguerra, il Giappone costruisce una politica estera di grande impegno. Tutto è nuovo perché una grande politica estera non era nei piani del passato, resa inutile dalla stabilità di un mondo bipolare e dalla certezza che sotto l'ombrello atomico americano gli affari e la crescita economica sarebbero stati al sicuro da ogni ostacolo politico. Nuovi e impreparati al problema di una grande politica per sostenere una economia di respiro mondiale, i giapponesi sentono tutti i problemi come lacci che li stringono alla gola; hanno un'economia che ha bisogno di importare tutte le materie prime e non può rischiare un giorno di lentezza, hanno constatato che le crisi altrui portano sempre a chiedere una rinuncia al Giappone, si sentono sempre minacciati: ogni problema appare loro un problema di vita o di morte. Il petrolio Così il primo problema economico che impone gigantesche implicazioni polìtiche è quello delle fonti di energìa. 1 rifornimenti di combustibili, il petrolio importato per il 95 per cento dai lontani Paesi del Medio Oriente, obbligano alla ricerca di tutte le amicizie possibili, con gli Stati arabi produttori, con l'America e l'Unione Sovietica, con l'Europa cui viene proposta un'azione comune «a livello mondiale ». Le controversie tra Stati produttori di petrolio e Paesi consumatori (al cui cartello Tokio non aderisce per paura di rappresaglie) hanno alimentato la convinzione che è necessario organizzare una « linea alternativa». Il Paese che ha più sofferto per le esplosioni atomiche è quello che meglio è attrezzato per lo sfruttamento, in futuro, dell'energia nucleare e dispone fin d'ora di sei gigantesche centrali già complete o in costruzione. Ed esorta gli altri a procedere per la stessa via, aggredisce l'Europa commercialmente nella speranza di indurla ad accettare un piano di utilizzazione comune e « concertata» su scala mondiale per l'energia nucleare: pensa ad intese per investimenti in America Latina. Se non può partire dall'Asia verso il mondo, immagina un'« economia mondiale concertata », sulla base di una strategia per le materie prime, al fine dì tornare dal « mondo esterno » in Asia più forte e, come dice, « più amato »: per commerciare senza paure. Riarmo? Ma immediata è la questione delle grandi risorse della Siberia sovietica. Per dieci anni, inutilmente corteggiato da Mosca, il Giappone ha resistito alle lusinghe del Cremlino: in cambio di investimenti, e dì tecnici e di attrezzature, si offrivano le sterminate prospettive di ciò che la Siberia può dare, il petrolio, in quantità pressoché illimitate, prima di tutto. La guerra fredda, la preoccupazione delle reazioni americane, l'obiettivo di un rìavvicinamento alla Cina e l'intransigenza sovietica sulla questione delle controverse isole Kurili per stipulare il trattato di pace tra i due Paesi, avevano indotto il Giappone a guadagnar tempo senza impegnarsi. Il riavvicinamento alla Cina aveva indotto l'Unione Sovietica a mostrarsi più accomodante per il trattato di pace con Tokio e l'incombente crisi dei combustibili aveva indotto Tokio a tentare la via della partecipazione allo sfruttamento delle risorse siberiane. Un passo difficile e contrastato: la Cina, «futuro del Giappone», «promessa del Duemila», riferimento indispensabile per non essere «estranei in Asia», vi si oppone, e ancora vede nel progetto di un oleodotto di settemila chilometri che deve correre in parte lungo la frontiera russo-cinese una minaccia alla propria sicurezza. Tuttavia, dicevano a Tokio, «non c'è altro da fare»: delle risorse della Siberia, del petrolio finalmente vicino ora che tutto è incerto e l'America e l'Europa non garantiscono più l'ordine antico, il Giappone ha un bisogno vitale. Un bisogno vitale, ma anche, fino a ieri, i mezzi, il prestigio, l'alleanza con la Cina: cose capaci di rendere meno «vincolante» l'intesa che l'Unione Sovietica proponeva. Ancora una volta l'America ha colto di sorpresa il Giappone. Ora sono gli Stati Uniti che partecipano allo sfruttamento delle risorse della Siberia, insieme ad alcuni Paesi europei. E, secondo i giapponesi, hanno usato di un'astuzia sleale: dapprima l'intesa russo-americana anche per la Siberia avrebbe dovuto facilitare la partecipazione giapponese allo sfruttamento attenuando le apprensioni dei cinesi, che dell'America si fidano più di ogni altro. Ora Tanaka è costretto a dire pubblicamente che su questo piano si sente deluso: i giapponesi non hanno più da trattare solo con l'Unione Sovietica, ma con Mosca e Washington insieme, e la loro partecipazione allo sfruttamento della Siberia incontra improvvisi ostacoli, è accettata sulla base di condizioni tali da rendere tutto meno sicuro, ma soprattutto capaci di annullare di colpo i successi e le speranze «per il Duemila in Asia» della ritrovata amicizia con la Cina. Per raggiungere la sicurezza dei rifornimenti, per poter essere amico anche dell'Unione Sovietica, il Giappone si vede costretto a ridimensionare l'immagine di se stesso grande partner della Cina e grande protagonista in Asia, armato di tutta la forza politica necessaria per proteggere un'economia da «terzo grande», straordinariamente dinamica, che vive di capacità aggressiva. Non è un destino accettabile: tutti gli sforzi tendono adesso a portare i problemi a livello mondiale. Nel tentativo di sfuggire alle limitazioni e ai «ritmi imposti dagli altri », il Giappone avvia una strategia di cooperazione con tutti a tutti i livelli; vuol essere con gli Stati Uniti per lo sfruttamento della Siberia, vuol essere con l'Europa per le proiezioni nell'America Latina attraverso investimenti concertati, vuole la Cina e i Paesi più ricchi del Pacifico, dall'Australia alla Nuova Zelanda, per dar vita a una organizzazione regionale asiatica, roccaforte dell' espansione economica. Chiede poco ma chiede a tutti, e ha bisogno da ciascuno di qualche rinuncia per potersi far valere con gli altri. La più difficile politica che si possa immaginare, stretta in una serie di dilemmi nuovi, mossa dalla grande ambizione di essere una potenza diplomatica com'è una potenza economica e dal sogno, « senza di cui non si vive », di essere finalmente sicuri, di non essere temuti in Occidente e di essere amati in Asia rimanendo amici della Cina senza esser secondi alla Cina e partner obbligatorio dell'Unione Sovietica, come sono gli Stati Uniti, sen¬ za dover in qualche modo dipendere dalla politica dì Mosca. Su molte cose proposte la Cina ha taciuto senza promettere, su altre cose gli Stati Uniti assentano senza aiutare. Tutto precipita per il Giappone con la fine del mondo bipolare e la nascita di ambizioni nuove: un uomo discusso, insicuro di poter rimanere al governo, tenta le vie più difficili che mai un Paese asiatico abbia tentato: cambiare tutto nell'assillo di crude contraddizioni, e creando le condizioni del riarmo militare mentre dice sinceramente di non volerlo. Michele Tito Hirohito, visto da Levine (Copyright N.Y. Rcview of Books. Opera Mundi e per l'I [alla La Stampa)

Persone citate: Kissinger, Levine, Nixon, Sottile, Tanaka