La storia del Bormida, un fiume che sta morendo con la sua valle di Clemente Granata

La storia del Bormida, un fiume che sta morendo con la sua valle CORSO D'ACQUA COMPLETAMENTE INQUINATO La storia del Bormida, un fiume che sta morendo con la sua valle i vecchi del Cuneese e dell'Alessandrino parlano di acque pescose, di campagne ridenti attorno alle rive: ora è un sogno - Gli scarichi degli stabilimenti (specie quelli dell'Acna di Cengio) responsabili della morte biologica (Dal nostro inviato speciale) Valle Bormida, 26 luglio. Questa è la storia di un fiume che sta morendo con la sua vallata. O forse la morte clinica è sopravvenuta già da un pezzo. Perché quando dicono che in un corso d'acqua non ci sono più plancton, pesci, ossigeno, significa appunto che non vive più. L'acqua senza ossigeno non è più acqua, ma una sostanza decapitata simile ad un organismo depredato di elementi fondamentali del suo protoplasma. Un qualcosa di infido e mostruoso che dispensa miasmi e liquidi velenosi come in un panorama extraterrestre. Ho visto il Bormida, è questo il fiume condannato, subito dopo Cengio in provincia di Savona, dove le sue acque sono utilizzate dallo stabilimento Acna della Montedison a cui va addebitato la maggior parte dell'inquinamento. L'ho rivisto dal ponte di Prunetto, all'altezza della galleria Colombi qualche chilometro più a valle. Ed ancora a Cortemilia, poi nei pressi di Acqui e alle porte di Castellazzo in territorio alessandrino prima del suo sbocco in Tanaro. Di mano in mano che il suo alveo si allarga cresce la desolazione e si avverte un senso di disagio profondo. Non che le sponde siano brulle e riarse. La vegetazione vicino alla riva è invece folta, i ciuffi d'erba crescono ovunque, le sterpaglie creano intrichi e si protendono verso l'acqua che in alcuni punti rimane incapsulata e scorre in modo asfittico. Ma è la gramigna che prospera nei luoghi abbandcnati. Il liquido ora è completamente nero oppure marrone o di un viola strano o ricoperto da una schiuma bianca che sembra neve. Tutto fuorché le tinte naturali dell'acqua. Desolazione Incontro sulla strada di Prunetto alcuni contadini. Scuotono il capo e indicano qui, sul crinale della collina, un terreno che una volta era coltivato a vigneto e produceva Nebbiolo che andava a ruba, là un appezzamento dove crescevano patate, fagioli ed un'infinita altra varietà di ortaggi. Ora si vedono soltanto rovi e zolle sfilacciate. Il sindaco di Cortemilia, cav. Dotta, ricorda che trenta - quarant'anni fa nel Bormida c'erano anguille, barbi, cavedani e più a monte anche trote, ora è scomparsa ogni forma di vita. Dice che il fiume era percorribile in barca, poi hanno costruito la diga di Osiglia per alimentare il secondo ramo del Bormida che passa da Cairo Montenotte. Questo non c'entra con l'inquinamento, ma viene interpretato come un sintomo ulteriore della decadenza del corso d'acqua e della zona che vi si affaccia. Tutta la popolazione continua a vivere in questo costante riferimento col passato. La vita della vallata, come avrebbe potuto essere, soprattutto in seguito allo sviluppo del turismo e dell'agricoltura, costituisce un termine di paragone inevitabile con la realtà di oggi. Ed è un crudo raffronto. Cortemilia si spopola, se ne vanno i giovani da Gorzegno, Cessole, Loazzolo, Torre Bormida, Monastero Bormida; si impoveriscono di sangue vitale altri centri ancora più giù verso Acqui e oltre. E' un processo lento ma inarrestabile. Certo è possibile che ci siano degli eccessi nell'attribuire ogni responsabilità alle acque inquinate dal fenolo, dai composti aromatici, dai nitroderivati, dai solfiti e da cento altre sostanze che defluiscono dalla fabbrica di sostanze coloranti e impregnano i prodotti, soprattutto l'uva, rendendoli incommerciabili. Bisogna tenere presente, infatti, che la malattia dell'agricoltura investe un po' tutto il territorio nazionale. Non dimentichiamo inoltre che l'Acna fu installata sul finire del secolo scorso ai confini delle province di Savona e di Cuneo, anche per dare un po' di ossigeno ad un territorio tradizionalmente depresso. Non dimentichiamo che oggi lavorano nello stabilimento della Montedison qualcosa come 1800 operai, un'entità cospicua per questi luoghi. L'industria Famiglie di Millesimo, Murialdo, Calizzano, Osiglia, Camerana, Saliceto oltre Cengio, hanno avuto con la fabbrica una sicurezza che i campi non potevano dare. E furono, tra l'altro, proprio il ricordo e il terrore di fame e miseria secolari a spingere in più occasioni (ad esempio nel novembre del '65) gli scioperi contro i contadini che protestavano per lo scempio del loro fiume. L'azienda minacciava infatti la chiusura. Tutto questo va ricordato in un esame completo delle cdsszubpm cause e degli effetti. Ma è indubbio che gli scarichi industriali nel Bormida hanno reso più drammatica la situazione e hanno dato alla crisi una spinta forse non reversìbile. Quarant'anni e più di inquinamento lasciano un se gno profondo, scavano una piaga difficilmente cicatrizzabile. E non solo per i prodotti della terra. Ne hanno risentito anche le falde acquifere. A Cortemilia, Vesime, Cessole c'erano pozzi irrigui abbondanti. Le piene improvvise, gli straripamenti del Bormida avvenuti negli anni scorsi hanno attaccato anche queste scorte d'acqua rendendole impotabili. Per fortuna c'è il torrente Uzzone ancora intatto e lì gli amministratori hanno potuto fare l'allacciamento dell'acquedotto comunale evitando che le popolazioni soffrissero anche la sete. Ma altrove, come in questi tempi a Strevi, la situazione è drammatica e ricca di inquietanti interrogativi. Sfiducia La gente della vallata non ha assistito inerte. Forse un senso di scoramento e di sfiducia lo si avverte ora, soprattutto nelle parti di Cortemilia, abbozzato in qualche frase o nel gesto silenzioso t sconsolato delle braccia che si allargano come per significare che ormai non c'è più nulla da fare. Forse è sintomo di questa sfiducia anche il rudimentale meccanismo dì autotutela messo in atto da alcuni contadini: «Non ci hanno mai dato ascolto — ho sentito dire —. Allora abbiamo deciso di smetterla con le proteste. Anche perché a furia di gridare ai quattro venti che il nostro Dolcetto sapeva di fenolo e le patate e la frutta non avevano più il gusto di una volta, andava a finire che perdevamo anche quei pochi commercianti che si ricordano ancora di noi». Non sono atteggiamenti molto diffusi, occorre sottolinearlo. Giù verso le province di Asti e di Alessandria, si è ancora però pronti a difendere le proprie pretese. Però, qua e là la rassegnazione incomincia a serpeggiare. E simili stati d'animo sono contagiosi. Ma in passato tutti hanno combattuto. «E' stata ami — mi dice il sindaco Dotta — la prima lotta in grande stile contro l'inquinamento dichiarata in Italia». E aggiunge: «Noi ci siamo battuti per la difesa dell'ambiente, ma non abbiamo messo mai in discussione l'esistenza dello stabili mento, perché ci siamo resi conto sempre della sua importanza vitale». Cause giudiziarie, petizioni, minacce di dimissioni da parte degli amministratori nel '62, minaccia di ventimila elettori di astenersi dal voto nelle «politiche» del '63. Convegni ad Acqui di medici e direttori dei laboratori di Igiene e Profilassi, grida d'allarme: «Il fiume avvelena, abbiamo le prove. Ci sono duecento sostanze tossiche». E si citarono casi di dermatosi, gastroenteriti, insufficienze epatiche, insorgenza di tumori, collegate, secondo i sanitari, agli inquina menti. L'Acna in precedenza aveva detto che gli inquinamenti non sussistevano. L'affermazione era fondata su una sentenza del tribunale di Milano, che nel 1961 aveva negato il risarcimento dei danni a 922 agricoltori di Camerana, Monesiglio, Saliceto e Gorzegno. La causa però si riferiva all'inquinamento atmosferico, ora invece era in discussione quello idrico. Così, anche sotto la pressione dell'opinione pubblica, nel 1962 l'impresa aveva progettato e costruito una fossa di decantazione di 40 mila metri cubi, giudicata però insufficiente dagli interessati. Dopo l'intervento della commissione interministe¬ riale, ampliò gli impianti, introducendo anche un sistema di depurazione adottato in Germania. E' servito? In un rapporto dell'inverno scorso, curato dall'Ires per conto della Regione, lo si nega implicitamente. Gli amministratori di Monastero Bormida, come è ricordato nella relazione, lamentano infatti che l'inquinamento rimane, anzi «gli acidi corrodono persino le turbine dei molini e delle centrali elettriche». Secondo un altro esperto, l'ecologo Guido Manzone, «da oltre venti anni il Bormida si può considerare biologicamente morto perché la fauna ittica, la microfauna, la microflora e il plancton sono quasi del tutto scomparsi». Ora la Montedison, come mi dice il presidente della Provincia di Alessandria, professor Devecchi, « sta per attuare a Cengio una ristrutturazione di carattere generale». Qualcuno è scettico. Le promesse in passalo sono state già tante, meglio non illudersi eccessivamente. E qualcun altro si domanda se questi provvedimenti tardivi saranno ancora utili per salvare il Bormida. Anche perché, proprio vicino ad Alessandria, il fiume è sottoposto ad una nuova offensiva di fattori inquinanti. Ma questo è un altro capitolo della sua amara storia. Clemente Granata

Persone citate: Castellazzo, Colombi, Corso D'acqua, Devecchi, Dotta, Manzone