Lo sceriffo di Andreotti

Lo sceriffo di Andreotti Lo straniero in Italia Lo sceriffo di Andreotti Trovo che i veri giornalisti sono raramente dei buoni politici, suppongo per ragioni di temperamento: il contrario non è necessariamente vero, però. Meno di una settimana fa, i lettori di questo giornale hanno avuto una nuova prova leggendo l'elegante articolo con cui l'onorevole Giulio Andreotti ci ha autorevolmente esortato, con molto garbo, a non uccidere, né nel nome della legge né in quello del Signore. Sentimenti irrefutabili: e non è che vorrei cercare di confutarli ancora più. Non spetta a me dare giudizi in inerito al giornalismo del neo-ex presidente del Consiglio e scrittore, che ha voluto e ha saputo affilare il suo stile giornalistico durante tutta la sua lunga carriera pubblica, e se n'è servito fortunatamente come una delle armi secondarie nel proprio esercizio del potere politico. Una giusta valutazione, insomma, dell'utilità del giornalismo visto da un personaggio che ha scopi diversi dal giornalista vero e proprio, a tempo pieno. Poca sensibilità Ma ero impressionato da un fatto che emerge da questo doppio binario giornalistico-politico: leggendo l'articolo sentivo un netto contrasto fra il mio modo di vedere le cose — cioè la mia « Weltanschaung » come giornalista qualsiasi — e l'indirizzo di un'eminenza del mondo politico che fa allo stesso tempo, e con grande abilità, il giornalista. Come sapete, l'on. Andreotti offre ai lettori certe confidenze: che una parte dell'opinione pubblica non vorrebbe solamente l'introduzione del fermo di polizia, ma premerebbe per il ripristino della pena di morte; che l'Italia era all'avanguardia delle nazioni che abolirono la forca nel dopoguerra; che egli apprezza il cambiamento e non vorrebbe certamente più vedere il boia ancora al suo nefasto lavoro, né qualsiasi altra forma di « assassinio di Stato ». Egli ci mostra, da statista scrupoloso, le ragioni usate dagli abolizionisti per convincere gli avversari: sono quattro in tutto, e tutte valide. Ma c'è un altro fattore, ancora più importante, specialmente tanti anni dopo che la battaglia è stata vinta: oso dire che si tratta di una ragione nettamente giornalistica — ma non nel senso comune della parola — perché appartiene alla natura stessa del giornalismo. E' un mestiere che comporta, per forza, le decisioni tempestive e, mancando spesso il tempo di pensare a lungo, le decisioni istintive. Tornando alla pena di morte, direi che esiste un solo elemento prò o contro la forca: l'istintiva ripugnanza da una parte, la mancanza di questa avversione dall'altra. Le cifre non c'entrano, e neppure il raziocinio. Certo l'uomo di governo deve far ricorso alle arti della persuasione quando l'opinione pubblica è sotto l'impressione di qualche caso di criminalità feroce conosciuto attraverso i giornali, e perciò viene spinta troppo fuori dalla rotta giusta a causa degli avvenimenti; ma sempre come un contrappeso aggiunto, come correttivo, non come fattore. Ha ragione l'on. Andreotti quando ci dice che le nazioni più importanti della Comunità europea hanno già abolito la pena di morte, tranne la Francia; anche gli Stati Uniti, con il verdetto della Corte suprema, hanno messo fine ai « deathrow ». L'esempio della Francia porta meno stupore in questi giorni non soltanto perché l'uso della ghigliottina diventa più raro, ma perché le esplosioni delle bombe nucleari francesi suggeriscono anche fra i non maliziosi l'idea che non esista a Parigi una grande sensibilità verso le opinioni degli altri. Quale giustizia L'accenno all'Europa mi ha fatto pensare a un argomento che trovo affascinante e preoccupante. Ora si fanno pochi progressi, o addirittura nessuno, verso l'unificazione; ma questa fase passerà, e dovremo avere pronte idee chiare per lo sviluppo futuro. Fra esse, idee sul tipo di giustizia che desideriamo per la Comunità. Non credo ci sia dubbio che la giustizia sia la base essenziale di qualsiasi società. Una giustizia che funziona bene contribuisce in una maniera decisiva al buon funzionamento della società stessa. Non sono molto aggiornato circa l'andamento della giustizia in Francia e nella Germania. Ho paura che vada peggiorando in Inghilter¬ ra per una serie di ragioni: tra le altre, perché i rapporti fra il pubblico e le forze dell'ordine sono meno fiduciosi, perché sono meno considerati i diritti del cittadino libero, perché si fanno più critiche alla polizia dalla quale si attenderebbe di più per proteggere il cittadino contro i criminali. Tutte considerazioni che possono portare pericoli. Preferirei non soffermarmi sull'argomento dell'andamento della giustizia in Italia. Perché il punto principale non è soltanto che la giustizia qui funziona come sappiamo: è che la giustizia preoccupa tutti. Se noi europei davvero volessimo una Comunità all'altezza, moralmente e culturalmente, delle nostre attese, avremmo l'obbligo pressante di pensare e ripensare ai mezzi per impedire l'arrugginirsi della macchina e perfezionarne il funzionamento. E' chiaro che non possiamo mirare per ora ad un sistema di giustizia comune a tutti i Paesi della Comunità; ma non vedo perché non possiamo ciascuno adottare gli aspetti più positivi dei sistemi degli altri partners. Uno scopo comune si deve avere e lo trovai perfettamente espresso dall'on. Andreotti. Egli scriveva: « E' un po' quello che, anche nei film western, tocca agli sceriffi: debbono fronteggiare i malfattori, ma quando la folla inferocita li vuole linciare essi devono proteggerli per portarli vivi e sani dinanzi al magistrato ». Aggiungendo a « vivi e sani » la parola « tempestivamente», l'accordo è completo. Il problema del funzionamento della giustizia è molto più importante di quello dell'abolizione della pena di morte o del dibattito su quante ore un cittadino possa rimanere in stato di fermo prima che le sue pratiche (non lui stesso, vivo e sano) finiscano dinanzi al magistrato. Non vorrei dare l'impressione di essere sciovinista, ma credo nel diritto che ha il cittadino inglese di trovarsi davanti al magistrato, in persona, al più tardi 48 ore dopo l'arresto. Per me questo diritto di <r habeas corpus » potrebbe essere uno dei contributi più validi di noi inglesi alla nuova Europa. Peter Nichols Corrispondente di « The Times »

Persone citate: Andreotti, Giulio Andreotti, Peter Nichols