Sorpresa e furore di Hitler

Sorpresa e furore di Hitler IL 25 LUGLIO RICOSTRUITO TRENTANNI DOPO Sorpresa e furore di Hitler La caduta di Mussolini trovò impreparati o in vacanza militari e diplomatici nazisti - Mentre Berlino tempestava contro il tradimento, il solo Dollmann cercò di mobilitare la divisione "M" e rovesciare Badoglio - Ma i fascisti che si presentarono all'ambasciata tedesca cercavano un travestimento e un aereo per fuggire - Nessun fedelissimo volle un tentativo di resistenza Roma, luglio. L'ambasciatore tedesco a Roma, Hans Georg barone von Mackensen, si consultò nel primo pomeriggio del 25 luglio con Guido Buffarini Guidi, un ardente fascista che fino a pochi mesi prima era stato sottosegretario all'Interno. Caduto in disgrazia politica per motivi ancor oggi non chiari, si era attribuito una certa parte di eminenza grigia del sotto-regime essendo riuscito a conservarsi la piena fiducia di donna Rachele; e così trascorreva molte ore in Villa Torlonia, via Nomentana, 70, abitazione della famiglia Mussolini, a profetizzare sciagure su sciagure insieme alla moglie del duce. Anche secondo Buffarini Guidi sarebbe stato necessario arrestare Grandi e gli altri traditori del Gran Consiglio, « dato che non fosse già troppo tardi ». C'era, in più, da temere che Vittorio Emanuele si preparasse a giocare a Mussolini un brutto tiro. L'udienza reale di quel pomeriggio poteva rivelarsi una trappola, e Buffarini rammentò a von Mackensen — naturalmente in italiano — un vecchio scongiuro tedesco: « Se tu vai da un Savoia, non dimenticarti il pugnale sotto la camicia » . Un prussiano Poi gli domandò se come ambasciatore non ritenesse opportuno compiere un passo per convincere il duce in extremis a non recarsi a Villa Savoia, ma nel suo rigore di prussiano antico stampo Mackensen non riusciva a concepire interventi così poco rituali presso un capo di governo straniero: disse anzi che il re d'Italia era troppo sovrano e troppo gentiluomo per consentire che in casa sua si facesse un torto a Mussolini. Rimasto solo nel suo scrittoio, von Mackensen si accinse a redigere un primo rapporto per Berlino, in cui descriveva la situazione come grave pur escludendo l'imminenza di sviluppi drammatici. Nemmeno i tedeschi di Roma sapevano infatti qualcosa delle trame del re, e così volle il caso che il rapporto di Mackensen arrivasse a Berlino quella sera contemporaneamente alla notizia del crollo del fascismo, della nomina di Badoglio e della scomparsa del dittatore. A parte il discredito personale di cui venne a coprirsi in questo modo il povero ambasciatore tedesco a Roma, dal quartier generale del Fiihrer e dalla Wilhelmstrasse di von Ribbentrop egli fu subito bombardato da ordini e istruzioni che tradivano uno scoppio di collera e furia in Germania. La pretesa più blanda era che non si riconoscesse il governo Badoglio, che sì provvedesse a liberare il duce, che si intimasse al re un ultimatum. Mackensen però non era uomo di propensioni rivoluzionarie, e per cavarsi d'imbarazzo cominciò a traccheggiare fra i pretesti di un cattivo servizio telefonico, gridando spesso nel microfono « non sento niente », poi deponendo il ricevitore, cercando insomma di guadagnare qualche prezioso quarto d'ora. Dall'altra parte, da Berlino, gli urlavano: « Il Fiihrer è fuori di sé. Tradimento, tradimento, tradimento!», tanto che Mackensen impallidiva in silenzio come se l'accusa dovesse colpire anche lui. La scena è stata raccontata molto bene dal famoso colonnello delle SS Eugen Dollmann nel suo Roma nazista {Milano, 1949) che è un documento di tutto rispetto perché Dollmann era il solo tedesco di rango presente quella sera con Mackensen nei locali dell'ambasciata. L'addetto militare generale Enno von Rintelen era andato con la figlia ad una festicciuola nell'isola Bisentina del lago di Bolsena, e solo nelle prime ore del mattino, lunedì 26 luglio, per caso venne a sapere da una pattuglia di carabinieri che il nuovo cupo del governo italiano si chiamava Badoglio. Anche il ministro consigliere principe Otto von Bismarck era in un luogo di mare — si ignorava quale — e ciò in fondo dimostra quanto sia opportuno fare i colpi di Stato nei weekends, e che comunque i grandi tedeschi di Roma erano stati in atteggiamento d'ingenuo candore di fronte alla riunione del Gran Consiglio. Barbe finte Soli in Villa Wolkonsky, al numero 25 di via Conte Rosso dove era la sede della rappresentanza del Terzo Reich, Mackensen e Dollmann si dibattevano tra le difficoltà di una situazione che a loro apparve senza uscita, a meno che i fascisti fedelissimi non fossero insorti a difesa del duce. Dollmann si era incontrato quel pomeriggio con il comandante della milizia generale Enzo Galbiati: « Lo spettacolo di povertà umana offertosi ai miei occhi fu il più scoraggiante da me vissuto nell'ambiente fascista». Galbiati gli aveva detto che voleva recarsi da Himmler per concertare un piano con luì, da camerata a camerata: «Naturalmente — aveva soggiunto — non deve però essere un viaggio ufficiale, si capisce, dobbiamo utilizzare aeroplani privati e magari metterci barbe fìnte ». Racconta Dollmann di avere avuto l'impressione di esser di fronte a un individuo il cui cervello si fosse improvvisamente sconvolto. In ogni modo gli domandò: « Come intendete utilizzare la divisione M? ». Galbiati rispose che aveva il progetto di parlare con il comandante dell'unità corazzata, console generale Alessandro Lusana, fedele alla causa, al quale avrebbe ordinato che la divisione continuasse nelle esercitazioni e si perfezionasse nell'addestramento, l'unità essendo stata da tempo destinata a raggiungere il fronte meridionale: « Lo ha detto Ambrosio in occasione della rivista del 10 luglio, lei lo ricorda, ed io perciò devo ubbidire ». Avendo fatto simile esperienza con un «povero folle » (« l'unico mio desiderio in quel momento era di uscire dalla sua stanza sano e salvo ») Dollmann la sera fece osservare all'ambasciatore che l'unica soluzione militare possibile sarebbe stata che lui stesso, Hans Georg von Mackensen, figlio di un celebre generale feldmaresciallo della prima guerra mondiale, vestisse la sua uniforme di comandante di brigata delle SS e prendesse il comando della « M ». Avrebbe dovuto dichiarare che Galbiati era impazzito, e i fascisti inquadrati dagli istruttori tedeschi avrebbero marciato su Roma per liberare l'amico del Fiihrer sicuri det'successo: i 36 «Supertiger» avrebbero facilmente spazzato Badoglio dal Viminale che era vigilato da pochi carabinieri. Il suggerimento di Dollmann era evi¬ dentemente un'assurdità dal punto di vista giuridico e diplomatico, ed egli stesso dichiara di averlo avanzato come un paradosso: ci si doveva piuttosto barcamenare fra Berlino e Badoglio finché i fascisti non si fossero rivolti all'ambasciata tedesca, sollecitando aiuti per la liberazione del duce e per l'annullamento del golpe del re. « Fino alle nove di sera — ha scritto Dollmann — Mackensen ed io aspettammo invano che i fascisti entusiasti convenissero all'ambasciata per consigliarsi e procedere alla conquista di Roma alla testa della divisione "M". Non spuntò un solo moschettiere, o commissario o agente di polizia: non spuntarono né Vidussoni, né Muti, né Scorza. L'unico che forse avrebbe fatto qualche cosa, per lo meno organizzando, Buffarmi Guidi, nel frattempo era stato già arrestato in casa dì donna Rachele ». Finalmente, però, alle nove e un quarto, un usciere annunciò che davanti al cancello dell'ambasciata c'era un signore " con un solo braccio ", che mostrava gran fretta di farsi ricevere. Non ci poteva essere dubbio, era Roberto Farinacci. Però, il ras di Cremona veniva a chiedere soltanto di poter salire sul primo aeroplano in partenza per la Germania; non disse una parola sul duce da liberare, né una sull'impiego della divisione « M ». Dollmann, sempre più a fondo nello scetticismo, telefonò al generale Albert Kesserling, comandante del Gruppo armate Sud, che aveva il suo quartier generale a Frascati, ed in meno di un'ora arrivarono a villa Wolkonsky il suo pilota ed il suo medico personale, dottor Niessen, « provvidamente muniti di una giubba da aviatore tedesco ». Farinacci non esitò a indossarla, incurante dello sguardo ironico che gli volgeva la baronessa von Mackensen presente alla scena. Del resto, anche Galbiati aveva già pensato a barbe finte e al momento buono lo stesso Mussolini si vorrà poi infagottare in un pastrano tedesco sulla strada per Dongo. Tragica farsa Con tutta precedenza. Farinacci andò travestito a Frascati, prima tappa per Monaco: « Scena degna della Bella Elena di Offenbach», ha scritto Dollmann con crudele divertimento; e i voli in massa si susseguirono. Non un fascista che volesse raggiungere la divisione «M» o prendere il largo per organizzare la resistenza: tutti volevano scappare in Germania. Fuggì la notte stessa il maschio primogenito del duce, Vittorio Mussolini, «dopo di aver stupito e indignato lo stato maggiore di Kesserling con le sue infinite pretese». A Frascati egli era arrivato direttamente dallo stabilimento termale delle Acque Albule presso Tivoli, dove gli avvenimenti gli avevano interrotto quello che avrebbe dovuto essere per lui un piacevole weekend. Scorza invece esitava; ultimo segretario del partito diceva oggi di voler partire, domani no; ora gli sembrava che il vento fosse troppo forte, e poco dopo deplorava l'eccessiva calma dell'aria. Pare che il giovane Aldo Vidussoni, suo predecessore alla guida del pnf, sia stato il solo a rifiutare l'asilo in Germania, ringraziando: « Che cosa volete che mi capiti? . Io non ho fatto sempre che il mio dovere ». Invece un altro « bel pretoriano », Renato Ricci, per un po' si tenne nascosto nelle vicinanze di Lucca, « quindi mi permise — scrive Dollmann — di metterle al sicuro nel Terzo Reich. Ma insomma — si domanda a que- mente crollato in assenza dì sto punto, da spietato cronista, il colonnello delle SS — dove si erano ficcati i baldi moschettieri con i berretti di pelliccia, immancabili a fianco del duce in tutte le solenni cerimonie, guardiani che ognuno avrebbe creduto pronti a morire? All'ambasciata di Germania ridotta ad agenzia di viaggi, la notte del 25 luglio non se ne vide uno ». « Duce, duce, chi non saprà morir? / Il giuramento chi mai rinnegherà?», essi cantavano sfilando, ma quella notte si dimenticarono dell'inno e soprattutto dell'impegno di affrontare la morte. Arrivò a Roma il comandante della « M » console generale Alessandro Lusana per una ricognizione dei provvedimenti difensivi presi da Badoglio, « che avrebbero fatto ridere caporali e soldati, dissero gli aiutanti di Kesserling». Erano infatti stati mobilitati soltanto carabinieri e poliziotti in servizio di ordine pubblico, e tutto si poteva quindi risolvere senza bisogno di sparare un colpo, solo a far mostra dei 36 « Supertiger» e degli eccellenti cannoni da 88. Lusana si presentò a Galbiati che gli disse: « Il momento esige il massimo adempimento del dovere. Vi ordino di continuare nelle esercitazioni, curando nei dettagli l'addestramento della divisione ». Riattraversata quella Roma rumorosa, allegra e incustodita, Lusana quindi fece ritorno al suo comando ai Sette Venti sulla strada di Sutri, e Dollmann constatò che il regime era pietosa- un solo vero fascista: « Da quel momento la norma della mia attività pubblica e segreta fu: " Mal più fascismo e mai più Mussolini", non dovendosi a nessun costo far risorgere un cadavere politico ». Vittorio Gorresio Monaco 1943. Dopo l'8 settembre Mussolini, liberato dalla prigionia con un' incursione delle SS, s'incontra con Hitler.