"Per ordine di Sua Maestà,,

"Per ordine di Sua Maestà,, UN FUORUSCITO RIEVOCA SPERANZE E DELUSIONI "Per ordine di Sua Maestà,, La notizia a Oxford - Ma vent'anni di regime finivano con un tentativo di restaurazione sulle rovine dell'Europa Il 25 luglio ero sulla via del ritorno verso l'Italia e l'Europa, che avevo lasciato nel 1940. Dalla Francia occupata ero passato a Tolosa e Marsiglia, poi, attraverso l'Algeria e il Marocco, negli Stati Uniti. Di lì ero tornato, con Cianca, Tarchiani e Zevi, in Inghilterra. In agosto sarei stato di nuovo in Algeri, e poi in Sicilia, a Napoli, e, finalmente, nel dicembre 1943, avrei raggiunto i miei compagni a Roma occupata. Anche in un altro modo il 25 luglio, in Inghilterra, ero sulla via del ritorno. Strappando una giornata al nostro compito segreto (che era quello di dar voce a una « radio G. L. », rivoluzionaria, patriottica, e clandestina), avevo passato quella giornata a Oxford, con il mio vecchio compagno Arnaldo Momigliano, ora anche lui emigrato, che non rivedevo dai tempi dell'Università. Con che furore gioioso riprendevano le conversazioni di un decennio innanzi, sulla storiografia e la potenza, sulle democrazie antiche e moderne, in cui Momigliano portava la sua straordinaria conoscenza di tutto e io il mio spirito di contraddizione. Che gioia constatare che i propri pensieri negli anni e nei decenni, pur seguendo una loro via, non hanno creato una barriera verso i sentimenti dell'adolescenza. Tra amici Da questa tappa sulla via del ritorno, dai verdi prati di Oxford venne a richiamarmi, improvvisa, un'automobile. Dovevo raggiungere subito la sede della nostra vita clandestina, una casa di campagna dove pre paravamo i nostri appelli e studiavamo le notizie raccolte dalle radio italiane. In tal modo anch'io, da un nastro registrato poco prima, appresi le dimissioni del « cavalier Benito Mussolini » e la nomina a primo ministro del « maresciallo d'Italia S.E. Pietro Badoglio». Parrà stranezza, ma il primo pensiero che mi traversò la mente in quel momento non espresse l'impeto della libertà, la gioia per i compagni che attendevano in prigione o in quell'isola di confino che era divenuto il continente europeo. Emerse dal fon¬ do della memoria una storiella dei primi tempi del fascismo, una delle molte barzellette con cui gl'italiani passavano il tempo nel buio. La storiella metteva in scena il cardinal Gasparri, evidentemente scelto esempio della « finezza italiana ». Erano i primi tempi dopo le leggi eccezionali, e qualcuno gli domandava: « Eminenza, quanto durerà il fascismo? ». « Un secolo» rispondeva sicuro il prelato, «fi dopo?». «Dopo, sua maestà chiamerà Giolitti». Con la voce meccanica della radio registrata, la Storia mi stava ironicamente spiegando che la barzelletta aveva ragione. Vent'anni di regime, le vecchie istituzioni della libertà disperse ai quattro venti, gli operai ridotti al silenzio, il pensiero in solitudine, l'ondata di quella cosa nuova e mostruosa che chiamavamo fascismo traboccata su tutta l'Europa, e ora... Solo la legge inesorabile della vita aveva impedito a sua maestà di chiamare Giolitti, ma al « cavalier » Mussolini era succeduto il generale dei « cinque minuti di fuoco » mancati nel 1922. Ho pensato molto a quel momento, con intensità e con rabbia in quegli anni, con mente più pacata poi. Con rabbia; e tutto quel che facemmo, pensammo, volemmo in quegli anni che ancora ci separavano dalla liberazione, fu che non fosse così, che proprio « Sua Maestà non avesse chiamato Giolitti ». Non che Giolitti fosse impopolare, come prima del '24; Croce ne aveva spiegato i meriti e ben presto Togliatti, nel suo sforzo di « egemonia », avrebbe fatto il possibile per annetterlo. Ma non per questo c'eravamo messi, ragazzi, contro « la storia », contro « il treno in corsa ». Ciò che avevamo fatto aveva ancora un senso? Ci eravamo mossi perché il fascismo era la « nuova barbarie ». Che tutto dovesse finire « rientrando nell'ordine » era, riconosciamolo, bizzarro. Da questo punto di vista, gli eventi successivi, dall'8 settembre alla Resistenza e dopo, dovevano darci ragione. I successori di Mussolini non furono coloro che, più vicini al potere, lo rovesciarono il 25 luglio. | Non fummo però neppure noi, anche se Parri divenne qualche mese presidente del Consiglio e quindi, per un attimo, passammo noi pure, indirettamente, attraverso quel che si chiama per convenzione « il potere ». E facemmo bene a tentare, e a operare, e qualcosa operammo, e un po' ci siamo anche noi nell'Italia d'oggi. Ma c'era, negli eventi così annunciati, anche un'altra verità che ci dava torto, e allora non c'era chiara. Vediamola pacatamente. Il nostro no Uno dei nostri scopi essenziali era fallito. Noi volevamo abbattere il fascismo prima che esso distruggesse l'Europa democratica e liberale, non dopo. Invece esso aveva, con le sue forze, vinto sulle forze puramente interne che la società italiana prima, e poi quella europea, avevano saputo opporgli. Anche « Sua Maestà » s'era mossa troppo tardi, quando il Paese era sconfitto, e gli mancavano le forze per assicurare il proprio destino. In questo non era in vantaggio su di noi, e perciò ne prendemmo il posto, con il consenso popolare. Ma l'immensa riserva di spe¬ ranze alimentate nell'esilio dall'esistenza di un'Italia capace di determinarsi non certo in totale indipendenza, ma con propria iniziativa, nel mondo, era perduta. Perduta per la rivoluzione, come per la conservazione. Di tutto avrebbero avuto, nel tempo successivo l'iniziativa non le forze autonome della nostra società, ma quelle che erano state tenute in riserva oltremanica, oltreoceano, oltresteppa (la sola europea di quelle forze, l'Inghilterra, non per nulla era allora il nostro punto di riferimento ideale). E alle forze russe e americane, pur servendosi dei vecchi apparati, avrebbe dato valida mano anche quella vecchia gerarchia che aveva il suo capo oltre il portone di bronzo, ma tante riserve fuori del vecchio continente. In realtà, la società italiana e quella europea rivelarono, in piena guerra, tra il 25 luglio e l'8 settembre, con la fragilità della restaurazione monarchicocostituzionale, una frattura che è andata sempre allargandosi. Precipitò con il fascismo deposto molto più di una incompetente e prepotente gerarchia, an¬ che se la ricostruzione materiale dell'ordine in nome della continuità dello Stato parve, dal '45 in poi, straordinariamente rapida. Il vero vecchio Stato, le sue forti posizioni di politica estera, la sua amministrazione prodigiosamente imitata da quella napoleonica in un Paese disgregato e disuguale, non venne ri costruito davvero. Rimase un popolo e un Paese operoso, lasciato libero di svolgere, all'ombra di un equilibrio precario e con il suggello formale del solo ideale che non fosse del tutto screditato, l'antifascismo la propria economia, ma anefc i propri vizi. Non si trovarono alleati per aprire in Europa quel che Silone aveva chiamato « il terzo fronte». Non solo il cavalier Mussolini aveva perduto il potere il 25 luglio. Dare a questa società, cresciutaci attorno più giusta e prospera, ma anche più cinica e ipocrita, in Italia e in Europa, la spina dorsale di una politica forte, la sola che possa servire un ideale, ancora non ci siamo riusciti. Quanti ci pensano, in queste calure estive? Aldo Garosci Roma, 26 luglio 1943. Dimostranti abbattono simboli fascisti dopo l'annuncio della caduta di Mussolini