Matteotti jr. di Enzo Biagi

Matteotti jr.LO RICORDANO COSI» Matteotti jr. Roma, luglio. Di quel tempo, e di quel giorno, ognuno conserva il suo ricordo. Mi vengono in mente dei cortei che cantavano «Fratelli d'Italia». Chissà perché, mi pare che tra la gente che urlava per le strade ci fossero soprattutto dei tranvieri. Nei giardinetti pubblici avevano seminato il grano, e dei cartelli avvertivano: «Orto di guerra». Una canzone di Rascel diceva: «E' arrivata la bufera, è arrivato il temporale ». Luchino Visconti non si occupava più di cavalli: aveva girato il suo primo film, Ossessione. Stroncatura della critica ufficiale, e poco successo. Premiavano con cinquemila lire la signorina che aveva il più bel sorriso: si chiamava Adriana Serra. A Radio Londra parlava un certo colonnello Stevens: una persona molto educata. Cominciava sempre, e concludeva, augurando a tutti « Buona sera ». L'oscuramento. Anche Roma bombardata. Il razionamento. Gli alleati erano sbarcati in Sicilia. I pastori indicavano agli americani la via giusta e le postazioni tedesche. Sabato, 24 luglio, c'era stato il Gran Consiglio, pochi lo sapevano. La riunione era cominciata alle cinque del pomeriggio; fini alle 2 40 del mattino. Ad un certo punto il duce chiese un bicchiere di latte. Quando, poi, avverti la moglie che doveva far visita al re, per riferirgli com'era andata, Rachele lo ammoni: «Non ti fidare ». Domenica, alle 22,45, l'annunciatore Arista lesse il comunicato che annunciava le dimissioni del cavaliere Benito Mussolini e la chiamata al governo del cavaliere Pietro Badoglio. Dimenticavo: dalle statistiche risultava che, tra figli della lupa, massaie rurali, gufini, dopolavoristi, militi, venti milioni di cittadini erano fascisti. Questo è il racconto dello studente universitario Matteotti Matteo, fu Giacomo, di anni 22, facoltà di Scienze politiche. « Eravamo andati ad abitare dagli zii, vicino a Genova; no, mia madre era morta nel 1938. A Cavi di Lavagna c'era un medico socialista, Fabrizio Maffi, condannato al domicilio vigilato. Noi giovani eravamo felici, pieni di fervore, convinti che si aprisse un grande sbocco, che cominciasse un altro mondo, ma il compagno saggio spense il nostro entusiasmo: "Se la guerra, come han detto, continua, la prospettiva è drammatica, e ci saranno ore molto tristi. La monarchia, per un po', sarà ancora protagonista". «Chiedemmo: "E noi, che cosa dobbiamo fare?". "Regolatevi come al solito, la liberazione bisognerà guadagnarsela". C'era con me un operaio di La Spezia, di nome Bussoli, un uomo anziano, e sospirò: "Sono passati vent'anni, e per noi sono molti". « Andai a Roma, avevamo costituito un gruppo di opposizione, tutti ragazzi, e Walter Filladi finì poi impiccato dalla Guardia nazionale repubblicana, e Buranello, che era ufficiale, cadde nel 1944, durante uno scontro, abbattuto su un marciapiede. « Avevo tre anni quando uccisero mio padre. E' una storia per me confusa, lontana, niente di diretto, mi spiego. Mussolini l'ho visto due volte. Frequentavo il Liceo Mamiani, Sezione B. Passai, con degli amici, da piazza Venezia, c'era una folla. Si avvicinò un agente provocatore: "Scusino, lo sanno dove abita il duce?". "No", rispondemmo, "lo chieda alle guardie". La piazza era piena, gonfia di parole, le facce erano serie, ma affascinate da quello che stava lassù, sul balcone. « In un'altra occasione, un prete ci aveva portati a giocare al calcio, dalle parti del Foro Italico. C'era un raduno, tutti in divisa, ma il sacerdote disse: "Tornatevene pure a casa". Ci fece capire che, a lui, non gliene importava niente. Mussolini stava su una tribuna, circondato da tante piccole italiane, che applaudivano. Se avevo rancore? Che cosa provavo? Ecco: disprezzo per l'istrione. « Il fatto me lo raccontarono quando avevo già dieci, dodici anni. Ero sempre sorvegliato dai poliziotti. Si giustificavano ripetendo che dovevano proteggermi. Lo fece nostra madre, fu il resoconto di quella lunghissima giornata, quando l'aspettava, e lui non arrivava mai. « Più forte di tutti era la nonna Isabella, che rimase sempre come una roccia. La vecchia era dura; mia madre, invece, diventò completamente appannata, distante. Pio XI doveva ricevere la vedova dell'onorevole Giacomo Matteotti, e nonna Isabella l'accompagnò. Ma fu il cardinale Gaspara che le intrattenne, l'udienza era troppo compromettente. Alla fine Sua Eminenza, per concludere, per lasciare una buona impressione, penso, tirò fuori due rosari di perle, legati da una catenella d'oro, ma la vecchia scattò, irriducibile. "Quelli della nostra terra che credono — disse — pregano col rosario di legno" e respinse il dono. Raccontava: "Mi go dito grazie, se li tegnu". « Mia nonna era polesana, mio nonno trentino, e faceva il battitore di rame. Scusi se divago. La vecchia Isabella aveva visto morire i due primi maschi, Matteo, di tubercolosi, Silvio, che aveva studiato con Einaudi, di polmonite, e quando ammazzarono Giacomo disse: "I me ga accoppa anche el terzo". « Non era apologetica. Veniva ogni tanto a trovarci, e ci portava fuori, in giro. Abituata a resistere, a soffrire, era molto religiosa. « No, di allora la memoria non mi suggerisce niente. Ero troppo piccolo. Ecco: si, rivedo tanta polizia, dappertutto. « Il preside del "Mamiani" era un camerata, ma molto tollerante. Sgridò un seniore della milizia che mi aveva espulso perché non portavo la maglietta con scritto Opera Nazionale Balilla. Era un gran casinaro, poveraccio, e in certe festose circostanze gridava "Viva la Patria!". « Da bambini, io e mio fratello eravamo sorvegliatissimi, come le ho detto, con la scusa che volevano difenderci dai malintenzionati; in realtà avevano paura che qualcuno ci portasse fuori, all'estero. Vivevamo con una zia che aveva sposato il giornalista Woronowski, nostro tutore. Ci parlava di Albertini, lui era un li¬ berale, e delle giornate difficili del 1923. « Anche Titta Ruffo, il famoso baritono, aveva sposato una sorella della mamma, e si occupava di noi. Smise di cantare per protesta, nel 1924; a Marsiglia, venne aggredito dai fascisti durante un concerto, e decise che non sarebbe mai più salito su un palcoscenico. « Dunque: quando Mussolini cadde, io andai a Roma, e trovai gli amici del Mup, Movimento di Unità Proletaria, ci incontravamo in casa Romita. C'erano Vecchietti, Vassalli, Zagari e fu fondato il psiup e nominata una segreteria collegiale, con Nenni, Pertini e Andreoni. « Il nostro leader era Pertini, noi gli volevamo molto bene, sosteneva che era importante la tradizione, ma riteneva che per fare un partito vitale, bisognava accogliere anche le forze crociane, anche quelli del Guf che erano, o si scoprivano, in posizione critica. Da giovane aveva sofferto tutte le disavventure e le persecuzioni; era stato anche con Turati. Quando gli proposero di andare a battersi in Alta Italia, di farsi paracadutare oltre le linee, accettò con entusiasmo. « Mussolini se ne andò, anzi: lo cacciarono i suoi, e la sconfitta, il 25 luglio; il 27 io dovevo essere processato come renitente alla leva. Ma i guai non ci furono ugualmente risparmiati. « Il 25 luglio, ricordo, ebbe una calda notte senza silenzio, piena di canti, apparentemente senza drammi. Ce ne fu uno, poco dopo le dieci, ma pochi se ne accorsero. Manlio Morgagni, un romagnolo brusco, sgradevole, presidente e direttore generale dell'Agenzia Stefani, e devoto del duce, ricevette il famoso comunicato, lo lesse, suonò il campanello, e ordinò all'usciere: "C'è da diramare questa notizia. Vada". « Apri il cassetto, prese una rivoltella, e si sparò. Il colpo non lo sentì nessuno ». Enzo Biagi