Il ministro e l'elettore

Il ministro e l'elettore Lo straniero in Italia Il ministro e l'elettore Per quanto auguri la miglior fortuna al governo Rumor, non posso non pensare che il commento di un autorevole de mocristiano, durante le trattative, sia di cattivo augurio. Egli ha detto che la nuova compagine ministeriale non deve sentirsi vincolata da un mandato degli elettori: dovrà semplicemente governare come le parrà meglio, e se le cose non funzioneranno l'elettorato la potrà punire più tardi, molto più tardi. Non c'è nulla di nuovo in questa proposta, purtroppo, e proprio qui sta il guaio. L'idea di « peccare adesso e pagare dopo » è, si capisce, un'idea seducente per gli uomini politici in tutto il mondo, e particolarmente qui. Tutti sanno che gli elettori italiani non riescono ad arrivare al punto di punire i rappresentanti che hanno eletto, perfino per peccati politici gravi: nei venti e più anni che sono vissuta qui, non li ho mai visti fare una cosa del genere. Questo, mi sembra, dovrebbe fare dell'Italia un paradiso per uomini politici. Ma, come tutti sanno, non lo è. La vita di un primo ministro o di un membro del governo può essere singolarmente spiacevole, come possono attestare dozzine di coloro che l'hanno provata. Nel loro caso la punizione non viene dall'elettorato: è auto-inflitta. Nonostante tutti i difetti, il sistema democratico del mio Paese, gli Stati Uniti, mi sembra superiore sotto questo aspetto. Ogni americano eletto per ricoprire una carica ha un mandato dagli elettori che lo eleggono, e di ciò è estremamente conscio in qualsivoglia momento. Egli può essere (e spesso è) ipocrita, demagogico, procrastinatore, disonesto. Ma qualsiasi altra cosa sia, deve soprattutto essere un individuo che riesce a ottenere i voti. Per essere eletto, deve promettere qualcosa agli elettori. Per essere rieletto, deve mantenere le sue promesse, o almeno dare l'impressione di cer¬ care di mantenerle. Tale è la potenza di quest'usanza, che spesso egli finisce col mantenerle perfino quando, nel profondo del cuore, non ne aveva mai avuto l'intenzione. Che lo faccia o meno, però, egli sa sempre suppergiù qual è la sua posizione e quali rischi sta correndo. Non osa dimenticare per un attimo solo chi gli ha conferito il mandato e chi glielo potrebbe togliere alle prossime elezioni. Gli uomini politici italiani non dispongono di schemi cosi semplici a cui attenersi. Molti, suppongo, darebbero un occhio per essere alla mercé degli elettori, anziché l'uno dell'altro. Uno che forse lo vorrebbe, proprio ora, è Giulio Andreotti. Io non so esattamente ciò che gli elettori italiani pensassero di Andreotti come persona quando il suo partito decise di nominarlo primo ministro, né quello che ne pensano ora che il suo partito l'ha costretto a dimettersi. Negli Stati Uniti, sia l'uomo che il suo partito avrebbero trasformato quest'opinione in un fattore di primissima importanza. In Italia, essa era in pratica irrilevante. Eppure, perfino nell'insuccesso, Andreotti viene ancora considerato da molti un uomo di abilità politica eccezionale. Egli doveva per forza sapere quello che gli elettori italiani volevano (sa il Cielo che questi l'avevano spiegato, volta dopo volta, in modo talmente chiaro da non lasciare ombra di dubbio). Certamente avrebbe potuto dare loro più di quanto non abbia fatto, se entrambi, egli stesso e il suo partito, ne avessero fatto il loro obiettivo primario. Lo stesso si potrebbe dire di presidenti del Consiglio che l'hanno preceduto. Guardandoli andare e venire, intrappolati nel circuito chiuso della politica interna di partito, dal quale sembra che emergano soltanto per interludi brevissimi al tempo delle elezioni, direi che la peggiore calamità dell'Italia sia l'incapacità dei suoi dirigenti politici di riconoscere un mandato quando lo vedono. Claire Sterling Corrispondente della «Washington Poh»

Persone citate: Andreotti, Claire Sterling, Giulio Andreotti

Luoghi citati: Italia, Stati Uniti, Washington