Fughe in massa dal Portogallo per evitare la guerra coloniale di Giorgio Martinat

Fughe in massa dal Portogallo per evitare la guerra coloniale Conseguenze della repressione in Africa Fughe in massa dal Portogallo per evitare la guerra coloniale Diecimila soldati hanno disertato, settantamila giovani sono espatriati per sottrarsi al servizio militare - La denuncia del Consiglio ecumenico delle Chiese (Dal nostro inviato speciale) Ginevra, 18 luglio. «Di quando in quando qualcosa trapela e l'opinione pubblica mondiale viene a conoscere almeno gli episodi più inumani di questa guerra. Come i massacri nel Mozambico. Devo riconoscere che la stampa europea, almeno la migliore, informa abbastanza puntualmente i suol lettori. Anche la stampa italiana». Nel moderno fabbricato di cristallo e alluminio che, sulla volteriana strada di Ferney, ospita il Consiglio ecumenico delle Chiese, uno dei membri del comitato per l'Africa portoghese parla con voce pacata. E' un belga, mi ha chiesto di tacere il suo nome. Sceglie con cura le parole che contengano la minor carica emotiva, il suo atteggiamento distaccato sottolinea, per contrasto, quel che sottace: che questi labili sprazzi di indignazione non bastano. La guerriglia in Angola e nel Mozambico dura ininterrotta da dieci anni, ed è un continuo stillicidio di sangue e di sofferenze. Un prezzo altissimo viene pagato non soltanto dalle popolazioni indigene, ma anche dai giovani portoghesi. Almeno diecimila hanno disertato e altri 70 mila rifiutato di indossare la divisa, espatriando prima della chiamata alle armi. Anche questo è uno degli aspetti ignoti del dramma oscuro che si consuma nel groviglio della foresta tropicale. Nel 1969, a Canterbury, il Comitato centrale del Consiglio Ecumenico prese clamorosamente partito a fianco degli insorti, decidendo di finanziare i movimenti di liberazione in Angola e Mozambico: «Da allora — dice la voce pacata — abbiamo erogato per due volte mezzo milione di dollari». Ma è soltanto una goccia, di fronte alla massiccia potenza dell'esercito portoghese. «Che ha alle spalle la Nato, in aperto dispregio della convenzione che la regola. La convenzione prescrive che le armi della Nato possano essere impiegate soltanto nella sua giurisdizione. Invece il Portogallo le usa in Africa, che non ricade sotto questa giurisdizione». Naturalmente, il governo portoghese lo nega. «Ma non si è fatto nulla per accertare le verità. La segreteria generale Nato, a Bruxelles, ha sempre sostenuto la tesi che la guerra in Angola e Mozambico è un affare interno del Portogallo e che nessuno ha il diritto di intervenire». La tesi contraria è che la Nato ha il diritto di controllare se le sue armi sono impiegate secondo le norme della convenzione: «E noi abbiamo le prove — dice il mio tranquillo interlocutore — che il governo portoghese quando nega di usarle in Africa mente». Spinge verso di me un foglio: vi sono elencati quattordici casi in cui l'uso di armi Nato in Angola e Mozambico è stato documentato senza ombra di dubbio. Al numero 3, figurano quaranta caccia a reazione Fiat G-91 R 4, visti sull'aeroporto di Beira nel Mozambico. Le testimonianze sono della Frankfurter Allgemeine Zeitung, della Wehr und Wirtscaft, della Weltwoche. Più un'ammissione del portoghese Diarios de Noticias. Gli altri casi riguardano aerei da combattimento e da trasporto, carri, armi pesanti forniti da Germania, Francia, Belgio e Olanda. Tutti paesi di un'organizzazione nata per la difesa e coinvolta nell'oppressione. Ora il Consiglio ecumenico delle Chiese interviene non soltanto per opporre le sue deboli forze alle armi della Nato in Africa, ma per aiutare i giovani portoghesi che hanno rifiutato la guerra: disertori e renitenti alla leva. «Il fenomeno della diserzione — dice il mio interlocutore — cominciò già il primo anno, il 1963, ed è andato via via accentuandosi. La renitenza alla leva, con conseguenti massicci espatri clandestini, è più recente, ma ha assunto subito proporzioni ben più massicce». I disertori sconfinano nello Zambia o si consegnano alle forze di liberazione: «La prima è la scelta peggiore. Lo Zambia li considera immigrati clandestini, privi di documenti, e li condanna a due, tre anni di carcere. Soltanto dopo aver scontato la pena possono unirsi ai compagni che si sono consegnati alle forze di liberazione». Questi, dopo essere passati attraverso un severo controllo per vagliare eventuali spie, vengono trasferiti nello Zaire, in Tanzania e in Algeria come prigionieri di guerra. La loro posizione è estremamente difficile. Soltanto grazie all'aiuto del Consiglio ecumenico riescono a sbarcare in Francia: «Qui vengono presi in consegna, insieme con i renitenti che giungono attraverso i canali clandestini spagnoli valican¬ do i Pirenei, dalla Cimade. La stessa organizzazione nata per iniziativa delle Chiese protestanti e ortodossa per difendere i detenuti e i torturati del Fin algerino. E' la Cimade che ora fornisce i permessi di soggiorno e di lavoro e assiste questi giovani nei primi passi di una nuova vita». Ci si chiede come sia possibile una simile emorragia in un paese come il Portogallo, da 47 anni chiuso nel cerchio di una dittatura che impedisce la circolazione delle idee e delle informazioni, che nasconde gli orrori della guerra coloniale e alleva le giovani generazioni nel culto di un patriottismo cieco ed esasperato. La risposta che ricevo conferma che nessuna censura riuscirà mai a soffocare la verità: «Non si può nascondere il lutto delle famiglie che hanno perso un figlio In Africa. Non si può impedire ai reduci di raccontare. Certo, nessuno può dire in che misura tutto questo si limiti ad evocare il timore di sofferenze e fatiche e morte in una guerra crudele o susciti una presa di coscienza civile prima ancora che politica. Non è facile distinguere e, forse, non si ha nemmeno il diritto di indagare». Resta un fatto: che giorno per giorno il Portogallo è abbandonato da una quota sempre più alta dei suoi cittadini più giovani. Ha dovuto chiedere alla Francia di non accogliere più di 50 mila lavoratori portoghesi tra i 18 e i 25 anni e la Francia ha accettato. Ma i canali clandestini continuano a funzionare e questa cifra verrà certo largamente superata. Nemmeno un Paese retto con il pugno di ferro può continuare a combattere una guerra sporca e insensata per dieci anni, senza chiedersi perché. Giorgio Martinat

Persone citate: Wehr