77 mistero della czardas di Stefano Reggiani

77 mistero della czardas Operette-kolossal al festival di Trieste 77 mistero della czardas Una stagione che gareggia per impegno e costi con la lirica - Gli spettatori accettano questo genere di spettacolo forse non solo per ricordi lontani • Amori contrastati nel tabarin, la "belle epoque" (Dal nostro inviato speciale) Trieste, 16 luglio. E' finito il festival cinematografico, ma la fantascienza continua, sotto il nome frivolo di operetta. Il viaggio nel tempo comincia tutte le sere al Politeama Rossetti, singolare parafrasi neoclassica di Cape Kennedy, in fondo al viale Venti Settembre, caro alle passeggiate triestine e ai frequentatori di caffè. Nel foyer, la sera della prima, gli spettatori sono delicatamente cosparsi di una cipria absburgica, che illanguidisce il fascino ironico delle signore bionde e trasforma in bianchi uffiziali gli studenti reduci dalla maturità. E' un'impressione forzata dai luoghi comuni 0 davvero si parla piano e si ride sottovoce? Il forestiero, pur appassionato di triestinità, non potrà mai capire. Dice un esperto che si tratta di trance mitteleuropea, di una congiura. Non è vero che 1 cittadini credano alla suprema incredibilità dell'operetta, ma sono sospinti prima dal dovere civico e poi catturati dall'incantamento. Il viaggio nel tempo coincide, in modo fantascientifico, con la fuga in un'altra dimensione. L'operetta non è mai tramontata, è il genere più fresco che esista. Altrove si ricorre per mascheramento a Garinei e Giovannini, qui, semplicemente, si ha più fiducia in Lehar e in Kàlman. Evasione per evasione, tanto vale abbandonarsi con un po' di decoro musicale, e col conforto del tenore in scena che recita con la voce di petto e si muove come il Golem di un film espressionista. Tuttavia il forestiero agghiaccia sulla sua poltroncina e suda di insofferenza. Sogguarda le signore che sono dagiate dolcemente nella trance austroungarica. Esse muovono appena le labbra ogni tanto, e si scambiano pallidi sorrisi. Negli anziani le rughe si stratificano d'improvviso in epoche geologiche. Ed i giovani sono sorpresi e incerti, si vede che vorrebbero fuggire, ghignare torvi alle battute intollerabili e alla storia offensiva che si svolge sul palcoscenico. Ma non possono, anzi ridono alle uscite più mostruose, applaudono alle esibizioni più gigionesche. E' il fascino dell'operetta, colto nel luogo dove è più autentico, festeggiato dall'Ente autonomo Teatro Verdi con impiego di milioni e di valenti artisti. Questa sera si celebra La principessa della czardas, un mistero in due tempi e cinquanta ballerini che non chiede di essere svelato. Innanzi tutto: che cos'è la czardas? Un attore della compagnia, interpellato con urgenza, asserisce trattarsi di un locale tipico di Budapest, una specie di tabarin con risvolti folcloristici. Ma il regista assicura che il nome esoterico indica solo una danza, che vuole agilità di gambe e manate sulle cosce, come nelle coreografie altoatesine. Altri spettatori, circospettamente interrogati, ammettono di ignorare l'esatta accezione, ma di apprezzare la parola per il suo suono euritmico e la sua parte di mistero. Poiché neppure sulla pronuncia sono tutti d'accordo (chi dice «ciarda», chi allunga «ciardas») bisogna improvvisamente ammettere che an che questo particolare fa parte del segreto più largo dell'operetta celebrata. Sono in scena (dice il regista Molinari) gli eterni sentimenti dell'uomo, il quale apprezza che i principi stiano lontani dal lavoro e sposino dopo qualche contrasto le canzonettiste del tabarin. E' quello che accade ancora sui rotocalchi e nei fotoromanzi. A Budapest, per giunta, le cantanti del 1915 conservano l'illibatezza benché strette nell'assedio dei viveurs che fanno notte senza ottenere ricompensa. Silva Varescu è definita dagli ammiratori «principessa della czardas» per pura compiacenza nominalistica: l'in¬ terprete della storia di Kàlmàn non è stata vista mai fare un gesto sconveniente, né accennare a un passo di danza popolare con relativa pacca sulle cosce. E' naturale che gli imperativi erotici le giungano da altezze stratosferiche; infatti «ode un coro di angioletti» che dicono «devi amar». Solo per questa ingiunzione angelica accetta la corte del principe Edvino Carlo di Lippert-Weylersheim, il quale, per sposarla, è disposto a rinunciare al consenso dei genitori ed anche agli agi del casato. Credete che ci riuscirà? Giammai; avrà il consenso e gli agi, perché alla fine interpone i suoi buoni uffici l'arciduca Federico intervenuto con grandi baffi in forma di manubrio alla festa in casa Lippert-Weylersheim. Non sbagliamo: nel fragore di battimani che saluta la lieta conclusione c'è una punta di rispetto per il personaggio arciducale, di poche parole e di tanti baffi. Lui non canta e non balla, ma rappresenta la corte di Vienna, la declinante autorità degli Absburgo. La principessa della czardas è del 1915, anno terribile; qualcuno ha scritto spavaldamente che il successo dell'operetta a Vienna fece dimenticare «la nube nera e pesante» che gravava sull'Europa in guer¬ ra. C'è sempre qualche musichina a contrastare il tuono dei cannoni. Silva sposa Edvino, la belle epoque si salda al fotoromanzo, i valzer restano nelle orecchie anche dello spettatore forestiero più che mai imbarazzato. Ha scoperto che La principessa della czardas è originale solo nelle musiche, la «sceneggiatura» è stata completamente rifatta sei anni fa. Dunque, si può avere l'evasione aggiornata, con l'alibi culturale. Solo la finezza triestina poteva comprendere e assolvere questo capolavoro di compromesso. Fuori di qui sarebbe difficile mantenere il delicato sistema d'inganni in precario equilibrio. Invano altre città ed altri enti autonomi hanno chiesto al Teatro Verdi di ospitare i solenni allestimenti d'operetta preparati per Trieste. (Nei prossimi giorni si vedranno La danza delle libellule e Al Cavallino bianco). Gli organizzatori hanno rifiutato adducendo la scusa dei costi e l'esigenza di impegnare orchestre stabili e masse corali bene addestrate. In verità si rendono conto che fuori dei confini triestini l'operetta-kolossal in gara con l'opera lirica apparirebbe forse impossibile, un tentativo patetico che cigola e affonda a ogni giro di valzer. Stefano Reggiani

Luoghi citati: Budapest, Europa, Trieste, Vienna