Marghera sotto i gas di Clemente Granata

Marghera sotto i gas CRESCE LA PAURA PER I VELENI DELLE CIMINIERE Marghera sotto i gas t L'espandersi delle industrie (oltre 200) provoca un grave inquinamento atmosferico - Nebbie dense di scorie, esalazioni di prodotti tossici - Duecentomila abitanti scrutano il cielo per timore delle nuvole di veleno - Gli operai sono colpiti da frequenti intossicazioni, V85 per cento dei bambini ha malattie polmonari - "Serbatoi come polveriere" - Si rifiutano le maschere antigas: "Bisogna eliminare le cause" (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 13 luglio. A Porto Marghera sono costretti a sperare nella pioggia e nel vento favorevole. Come a Mestre, Malcontenta, Ca' Emiliani ed al villaggio San Marco. Perché la pioggia dissipa la nube di vapore e gas, che viene dal petrolchimico e incombe sulla zona; ed il vento, quando spira nella direzione giusta, può dirottarla altrove, verso il mare. Così, proprio dove la tecnologia più avanzata sembra celebrare i suoi fasti, la gente confida soprattutto negli eventi della natura come ancora di salvezza contro una temuta catastrofe ecologica. Una maledizione Il velo di nebbia che grava su una vasta area è considerato come una maledizione. Stagna nei cortili, prende alla gola chi percorre la translagunare, si infila nelle case, se non si è pronti a chiudere la finestra. L'Ufficio superiore della sanità sta facendo i rilievi, per accertare fino a che punto esso è saturo di veleni. Sono indagini lunghe e complesse. Gli elementi raccolti dovranno essere elaborati e messi a confronto con altri dati, poi si inìzieranno le discussioni, si mobiliteranno altri esperti, infine si prenderanno, quando si prenderanno, i provvedimenti. La parola definitiva è di là da venire. Intanto 200 mila abitanti continuano a scrutare con ansia crescente quello che esce dai camini di scarico delle fabbriche. Ad ogni colorazione che assume il gas si collega, a torto o a ragione, un nome che spaventa: ossido di azoto, cloro, anidride solforosa, fosgene. E' l'antica paura di Marghera e della zona circostante, una paura cresciuta con il sorgere e l'espandersi delle industrie (oltre 200 aziende), che pure vogliono dire posti di lavoro e pane assicurato per migliaia di dipendenti e le loro famiglie. Di queste aziende il complesso più rilevante è costituito dalla Montedison: cinque stabilimenti, il petrolchimico uno e due, la Montefibre, le fabbriche di azotati, fertilizzanti e alluminio, novemila dipendenti, otto chilometri quadrati, 40 chilometri di strade e 30 di ferrovie. Ma non sono in gioco più o meno rilevanti questioni estetiche, ora si teme per la salute di migliaia di persone. Mi dice Ivano Perini, segretario provinciale della Filcea, il sindacato dei chimici collegato con la Cgil: « Noi non facciamo ragionamenti astratti e non parliamo di pericoli teorici. Ci sono dei dati di fatto difficilmente confutabili » e cita un'inchiesta svolta dalla Società Italiana di Medicina del Lavoro, dalla Società Medico Chirurgica e dall'Ordine dei Medici della provincia di Padova. Sono stati compiuti esami su un migliaio di bambini della quinta elementare, abitanti al villaggio San Marco, che sorge a ridosso della zona industriale. I risultati, discussi di recente a Padova, durante un convegno svoltosi al Cto, sono allarmanti. Secondo gli esperti, l'85°/o dei bambini sono risultati colpiti da malattie polmonari ed enfisemi; più in generale « un bambino di 10 anni che vive a Mestre è come se dalla nascita avesse fumato 30 sigarette al giorno, uno che vive a Marghera come se ne avesse consumate 20». Amara statìstica Così, accanto alla questione generale dell'inquinamento atmosferico ed idrico, se n'è posta un'altra: quella della pericolosità di determinati impianti, che a volte assume toni drammatici. Le eruzioni improvvise dì sostanze nocive sono state numerose. Alla Camera del Lavoro di Venezia forniscono un elenco definito solo parziale. Incomincia con il dicembre del 1971: 50 operai intossicati e prima ordinanza di chiusura di uno stabilimento; poi una fuoruscita nel febbraio del '72; altre due nel marzo del '72, nel reparto IDI della Montedison, dove si utilizza fosgene per la fabbricazione di isolanti e di gommapiuma. Ed ancora: tre fughe nell'agosto del '72, con 22 operai intossicati da cloro. Poi ci sono dati recentissimi. Il 27 giugno scorso, alle 8,30, perdita di cloro nel reparto TR 4 (te traci oroetano), e di anidride solforosa nel reparto AS2, con 15 operai intossicati. L'ultima fuga di gas, quella brutta, come la chiamano i dipendenti della Montedison, è avvenuta a mezzogiorno e dieci del 3 luglio scorso. Il vento l'ha spinta verso lo stabilimento Montefibre. L'aria all'improvviso è diventata acre e irrespirabile. Ci sono state grida di spavento, un correre di operai. Un'ottantina di essi sono rimasti intossicati, tredici sono stati ricoverati all'ospedale, uno è ancora sotto la tenda a ossigeno. A questo punto si è mossa la magistratura. Il pretore di Mestre dott. Di Mauro ha inviato tre comunicazioni giudiziarie al direttore, al vicedirettore e al capogruppo produzione dello stabilimento petrolchimico. Nello stesso tempo sono all'opera tre commissioni, una del ministero del Lavoro, la seconda medico-legale, la terza per ì gas tossici. A quest'ultima l'azienda ha fatto pervenire un documento. Vi sì afferma che il 3 luglio si registrarono « alcune punte di anidride solforosa con un valore massimo leggermente inferiore a una parte per milione » e si dice che « la massima concentrazione tollerabile per detto gas stabilita dal contratto di lavoro per l'industria chimica è di cinque parti per milione, nell'arcj delle otto ore lavorative ». E' il primo passo difensivo. Molte richieste Questi fatti drammatici hanno contribuito ad aumentare la tensione in tutto il complesso. Si accentuano le polemiche, si moltiplicano le prese di posizione. Il punto di partenza è rappresentato dal gennaio dì quest'anno, quando l'ispettore provinciale del lavoro, dott. Lo Grasso, ha emanato l'ormai famosa ordinanza sull'uso delle maschere all'interno dello stabilimento. Un'ordinanza che nessuno ha osservato e che nessuno osserva, come ho constatato nel corso di una visita allo stabilimento. Il « no » dei sindacati è stato infatti reciso: «Non si può riconoscere che l'ambiente è inquinato — hanno affermato sostanzialmente — e costringere nello stesso tempo gli operai a lavorarvi anche se con il palliativo della maschera. Occorre eliminare le cause di fondo che rendono la zona ricca di gas tossici». Ed hanno aggiunto: «Il problema non riguarda solo il complesso, ma tutta l'area che lo circonda, dove vivono migliaia di famiglie ». Così, dopo le proteste generiche che risalivano indietro nel tempo, si sono cominciati a compiere alcuni passi concreti. Il primo è stato la costituzione di una commissioneambiente, composta da operai, con l'incarico di raccogliere tutti i dati sulle conseguenze negative dei fattori inquinanti all'interno della fabbrica. Nello stesso tempo hanno preso corpo una serie di richieste. Esse costituiscono la piattaforma che i sindacati sottoporranno quanto prima all'azienda. Dicono Armando Vanin, membro dell'esecutivo del consiglio di fabbrica, e Ivano Perini: « Nessuno vuole distruggere Marghera, perché significherebbe distruggere anche Venezia, i posti di lavoro, portare la produzione a zero. Occorre cambiare invece dall'interno, modificare una certa logica dello sviluppo». C'è chi, guardando al futuro, vorrebbe che i nuovi investimenti della Montedison, anziché sui prodotti di base, puntassero sulla chimica secondaria: « meno nociva e in grado di aumentare l'occupazione». Ma è soprat¬ tutto il presente, che interessa e preoccupa. C'è il problema della produzione. « Gli impianti — dice il consiglio dì fabbrica — sono stati progettati per un certo standard di produzione, ma spesso sono tirati per il collo pur di ottenere di più». C'è il problema della bonifica e della rianutenzione. Dice Perini: « E' il punto centrale della piattaforma. Il costante inquinamento, certe fughe di gas avvengono perché la manutenzione è scarsa e le ore che vi si dedicano diminuiscono sempre di più. E lo stesso vale per i reparti i cui organici si sono impoveriti in modo allarmante ». C'è la questione dell'estrema pericolosità di alcuni serbatoi, come quelli di fosgene, « vera polveriera accanto all'abitato ». Poi le richieste dei sindacati si allargano per comprendere anche gli inter¬ venti a livello di territorio. Essi chiedono una politica urbanistica per eliminare gli attuali squilibri, una politica della casa, la costituzione di centri sanitari locali di medicina preventiva. Chiedono, inoltre, la collaborazione e l'interessamento degli enti locali, soprattutto del Comune. « C'è un assessorato all'ecologia — dicono —, incominci a funzionare ». Clemente Granata liti I miasmi a Porto Marghera: un triste spettacolo che purtroppo è sempre più frequente (Foto Grazia Neri)

Persone citate: Armando Vanin, Di Mauro, Grazia Neri, Ivano Perini, Lo Grasso, Perini

Luoghi citati: Padova, Porto Marghera, Venezia