Autista arabo attende 3 ore il padrone e lo uccide davanti alla moglie legata

Autista arabo attende 3 ore il padrone e lo uccide davanti alla moglie legata A Roma: una tremenda vendetta per misteriosi motivi? Autista arabo attende 3 ore il padrone e lo uccide davanti alla moglie legata L'uomo, appena assunto, ha agito con la complicità di due connazionali - Dopo avere imbavagliato la moglie del suo datore di lavoro, ha messo a soqquadro l'alloggio, riempiendo le valigie di denaro e gioielli - Poi ha atteso la vittima, un professore di 68 anni - Quando è giunto, l'ha aggredito e accoltellato (Nostro servizio particolare) Roma, 13 luglio. Un delitto crudele è stato compiuto ieri sera in piazza Vittorio. Un uomo è morto, ucciso con ferocia e sadismo. La moglie, nella stanza accanto, lo ha sentito morire lentamente senza poter intervenire in suo aiuto. La violenza ha fatto irruzione, inaspettatamente, in una famiglia tranquilla che vive in un vecchio palazzo umbertino di piazza Vittorio. Sei stanze arredate con decoro. Tre persone che si vogliono bene: lui. Germano D'Aquino, professore di matematica all'istituto tecnico «Valle»; la moglie, Elvira Delfino, 68 anni, immigrata dal Sud; un figlio di 23 anni, Oreste, studente universitario. Da quest'ultimo, inconsapevolmente, prende il via la vicenda che si è conclusa drammaticamente ieri sera. Alcuni giorni fa egli si trasferisce in casa della fidanzata. Il padre, abituato a spostarsi a bordo di una vecchia «1100» per recarsi a scuola e a dare lezioni private, non sa guidare e si rivolge ad un'agenzia di collocamento perché gli procuri un autista effi¬ ciente e di miti pretese. Giovedì scorso gli viene presentato un giovane arabo, un bel ragazzo. L'impressione che produce sui coniugi D'Aquino è buona. Sabato viene assunto, e prende possesso di una stanzetta nell'appartamento del professore. Si chiama Mahamoud Abdalla Hassan Elkhayat, parla poco e male l'italiano, ma si mostra gentile e servizievole. Praticamente è una persona di casa. Ha le chiavi dell'appartamento. Resta solo per ore e ore. Può liberamente frugare negli armadi e, forse, rendersi conto della consistenza degli averi dei suoi «padroni». Ieri pomeriggio chiede di uscire presto. Gli viene dato il permesso. La signora esce verso le 17. Il marito mezz'ora dopo, circa. L'appartamento resta vuoto almeno due ore. Verso le 19 la signora rientra. Un quarto d'ora dopo il giovane arabo bussa alla porta. Resta sul pianerottolo e chiede se può ricevere due suoi connazionali, per un momento. Ha un sorriso gentile sulle labbra e il permesso gli viene dato senza difficoltà. I tre entrano. La sequenza dell'aggressione è immediata e rapida, come se tutto fosse già stato concordato in precedenza. Elvira Delfino ha appena raggiunto la sala da pranzo che i due nuovi arrivati le sono addosso. Hanno in mano uno un coltello, un altro una pistola. La immobilizzano e la imbavagliano. Le mettono un cerotto sulla bocca. Le legano i polsi e le caviglie. Di peso la trasportano su una poltrona della sua camera da letto. Sotto i suoi occhi aprono armadi, rovistano cassetti, ammucchiano gioielli, denaro, argenteria, che sistemano in capaci valigie. Una mezz'ora basta per concludere questa fase dell'operazione. Dopo, un silenzio appena rotto da brusii e da qualche fruscio cala nell'appartamento. Alle 21,30 una chiave gira nella toppa. Il professore rientra, ignaro dell'agguato. L'aggressione avviene subito, nell'ingresso. Nella camera da letto i rumori arrivano soffocati, ma confermano una colluttazione. L'uomo viene stor¬ dito con numerosi pugni, ma reagisce. E' spinto in una cameretta attigua a quella in cui giace la signora. Gli tolgono la giacca, lasciandolo in maniche di camicia. Gli legano mani e piedi con spezzoni di filo elettrico. Lo imbavagliano. Intorno al capo gli stringono un lenzuolo. Sul corpo, che si dibatte in terra, buttano un materasso e continuano a fare pressione. I gemiti si fanno sempre più fievoli, ma i tre non si arrendono. Gli comprimono la faccia e poi sferrano tre coltellate, alla scapola destra. Quando esattamente i malviventi se ne siano andati, la signora D'Aquino non ha saputo riferirlo. Le ore per lei sono trascorse in un'altalena allucinante di terrore e desiderio di intervenire, stato di choc e tentativi per liberarsi. Alle 22,30, quando ormai nessun gemito più proveniva dalla stanza accanto, è riuscita a togliersi il bavaglio e ha cominciato a gridare, disperata, cercando di superare le voci dei televisori aperti. Quando i vicini l'hanno sentita, sono corsi in suo aiuto. Appena ha potuto parlare, è riuscita solo a . a , i i o a o a dire: «E' stato Habo, l'autista... hanno ucciso mio marito... volevano i soldi...». L'inchiesta prendeva subito il via. Almeno uno degli assassini aveva già un volto e un nome. Si cominciava a indagare sulle sue conoscenze a Roma, sui suoi spostamenti, sui suoi precedenti. Si aprivano gli interrogativi sui motivi per cui i malviventi hanno atteso il professore, lo hanno ucciso, hanno cosi vilmente infierito su di lui. Si tentavano ipotesi sulle ragioni che possono aver fatto esplodere, violento e inaspettato, il dramma che è costato la vita a Germano D'Aquino. La tesi della rapina è, ufficialmente, la più concreta. Ma solleva molte perplessità. Ad esempio, i malviventi si sono trattenuti circa tre ore nell'appartamento di piazza Vittorio e, quando se ne sono andati, hanno «dimenticato» una valigia con due pellicce di valore, e la valigia con documenti e effetti personali dell'egiziano assunto come autista. Come se uccidere il professore D'Aquino fosse più importante che portare via la refurtiva. 1. m.

Persone citate: Abdalla Hassan, D'aquino, Elvira Delfino, Germano D'aquino

Luoghi citati: Roma