Si avvia il dialogo in Medio Oriente? di Igor Man

Si avvia il dialogo in Medio Oriente? ANALISI Si avvia il dialogo in Medio Oriente? L'anno scorso di questi tempi, con una mossa clamorosa, il presidente egiziano Sadat mise alla porta i consiglieri sovietici. Ora si parla al Cairo della possibilità, se non di abrogare, di «rivedere» il trattato di amicizia russo-egiziano che, come afferma Gheddafi, «l'Egitto fu costretto ad accettare perché sottoposto a gravi pressioni dall'Unione Sovietica. Pressioni che venivano da un falso amico la cui strategia è diversa da quella degli arabi». Lunedi Sadat pronuncerà un «importante discorso» di fronte al Comitato centrale dell'Unione socialista araba (il partito unico) in cui, secondo Radio Cairo, illustrerebbe il futuro atteggiamento dell'Egitto verso l'Urss. Il barometro politico egiziano tende verso la burrasca, ma una schiarita potrebbe venire dai colloqui in cui è impegnato a Mosca il consigliere del presidente, Hafez Ismail. Hafez Ismail è nella capitale sovietica per sollecitare «chiarimenti». Il «Kissinger delle Piramidi» è latore di un messaggio personale di Sadat per Breznev, e porta con sé un lungo elenco di domande che ovviamente si riassumono in una sola: è disposta l'Urss a sostenere l'Egitto nel quadro del contenzioso arabo-israeliano? Parlando l'altro ieri al Cremlino, nel corso della cerimonia durante la quale è stato insignito del Premio Lenin per la pace, Breznev ha cercato di rassicurare il mondo arabo (alla cerimonia assisteva Hafez Ismail), dicendo che dopo il vertice con Nixon, Mosca non ha mutato opinione circa il «ritiro totale» delle truppe israeliane dai territori arabi occupati. Uno degli obiettivi più importanti da raggiungere, ha detto Breznev, è quello di spegnere «il focolaio dell'aggressione» nel Medio Oriente. I diritti dei popoli arabi, vittime dell'aggressione, debbono essere garantiti. «La pace, la sicurezza e i confini di tutti i paesi del Medio Oriente debbono essere tutelati. Da parte nostra, d'ora in avanti, seguiremo questa direttrice di marcia». Queste parole non bastano certamente a rassicurare gli arabi, non fosse altro perché parafrasano la formula, ottanta parole, contenuta nel comunicato di San Clemente. Una formula che ha allarmato gli arabi e ha provocato le più aspre reazioni di quella stampa, in specie libica. In Egitto si fa notare come le parole di San Clemente e quelle di Breznev passino alla larga dalla risoluzione dell'Orni numero 242 e dalla missione Jarring. Il Cairo teme la «messa in mora» della 242, sulla cui applicazione «in tutte le sue parti» ha basato la sua politica estera, non senza contrasti con la Siria e la Libia che la risoluzione hanno sempre respinto. Gli osservatori diplomatici ammettono che gli arabi han più di un motivo per preoccuparsi, ma si dimostrano scettici sulla possibilità che l'Urss voglia abbandonarli a se stessi. Sennonché, alla luce della strategia della distensione, appare poco probabile che Mosca voglia impegnarsi come per il passato in difesa degli interessi egiziani. E' sintomatico il fatto, come protesta la stampa araba, che durante il vertice con Nixon «Breznev non abbia tenuto in nessun conto il trattato di amicìzia russo-egiziano». E' scontato che Breznev sarà largo di assicurazioni circa la buona disposizione del l'Urss nei riguardi dell'Egitto, ma è anche possibile che, per concedere «qualcosa in piii», Breznev chieda al Cairo una contropartita piuttosto pesante, per esempio il rinvio della fusione Libia-Egitto, la scarcerazione di Ali Sabri e del «gruppo filosovietico». A questo punto, conoscendo Sadat, potrebbe anche scoppiare la bomba della denuncia da parte egiziana del trattato di amicizia con l'Urss. Se è vero che l'atteggiamento dell'Urss tradisce un certo disimpegno nei riguardi del Medio Oriente, è anche vero come esistano molti indizi di una vasta revisione della politica estera egiziana. Il ministro degli Esteri, Zayyat, è a Belgrado per colloqui con Tito e si fermerà a Vienna e a Parigi, prima di recarsi a New York per ia ripresa del dibattito al Consiglio di sicurezza sul Medio Oriente. Nonostante tutte le «delusioni» subite, il presidente Sadat sarebbe sempre convinto che siano gli Stati Uniti a tenere le chiavi della pace. Il fatto che i giornali egiziani stiano montando il piano proposto alcuni giorni fa dal segretario della Lega araba, Mahmoud Ryad, per l'utilizzazione dei capitali arabi all'estero, rivelerebbe, secondo gli osservatori, l'intenzione egiziana di esercitare pressioni su Washington perché, a sua volta, prema su Gerusalemme per consentire una soluzione « dignitosa» del conflitto. Come sempre gli egiziani parlano di battaglia, di guerra ineluttabile, ma lasciano socchiusa la porta alla pace. Nelle attuali condizioni, col mondo arabo diviso, con la mancata copertura sovietica, l'Egitto non è in grado di fare la guerra a Israele, anche se la nazione «è tutta mobilitata in attesa dell'ora zero». E' importante che la propaganda araba non abbia reagito con violenza alla proposta di Bourghiba d'incontrarsi con Eban per avviare un dialogo concreto. L'11 luglio, Eban ha detto di aver fatto pervenire la settimana scorsa al presidente tunisino un messaggio in cui si dichiara disposto a incontrare «rappresentanti della Tunisia» per discutere il problema del Medio Oriente. (Il giornale Yediotha Haronoth afferma che il messaggio è stato inoltrato tramite il governo italiano). La stampa egiziana, almeno fino a questo momento, tace sulle dichiarazioni di Eban, mentre sottolinea quelle del ministro degli Esteri algerino, Buteflika, sulla possibilità di negoziati tra Israele e rappresentanti del movimento palestinese. Le dichiarazioni di Buteflika (che, presumibilmente, prima di parlare avrà avuto il benestare di Sadat) starebbero a provare che un cambiamento è in corso nel campo arabo. Secondo gli osservatori israeliani, il presidente egiziano «vorrebbe liberarsi del peso del problema palestinese, che costituirebbe uno dei più grossi ostacoli alla via verso un accordo tra II Cairo e Gerusalemme». Altra notizia che incoraggia gli ottimisti è quella che «al piii presto possibile» re Hussein e il vice primo ministro israeliano si incontreranno. Non sarebbe la prima volta. Per concludere: in queste ultime settimane sono state poste le premesse per avviare un «dialogo» tra arabi e israeliani, premesse che un po' tutti guardano con speranza, se non con ottimismo. Ma è indubbio che molto dipenderà dall'esito dei colloqui tra Hafez Ismail e Breznev. Se l'Egitto si riterrà rassicurato a sufficienza da quello che il capo del Cremlino dirà al consigliere speciale di Sadat, sarà possibile forse sperare nella continuazione della lenta, difficile marcia di avvicinamento alla prospettiva di un «dialogo» pacifico. Se invece Mosca «mollerà» Sadat, ovvero se questi riterrà che l'Urss voglia abbandonarlo al suo destino, tutte le opzioni più catastrofiche rimarrebbero aperte. La pace in Medio Oriente rimane sempre appesa a un filo che potrebbe recidersi da un momento all'altro, oppure fortificarsi grazie a uno sforzo congiunto al quale, tuttavia, non dovrebbero rimanere estranei i due «supergrandi». Igor Man