Nel museo di Malraux di Alberto Cavallari

Nel museo di Malraux Nel museo di Malraux (Dal nostro invialo speciale) Saint-Paul-de-Vence, luglio. La capacità degli intellettuali francesi di « commemorarsi vivendo >> (é di esseré>casta, storia, mito) esplode quest'anno in tre avvenimenti. Oggi Malraux inaugura, a Saint-Paulde-Vence, il « Museo Malraux ». Da pochi giorni, a Nizza, Chagall ha inaugurato il « Museo Chagall ». Nel palazzo dei Papi di Avignone, c'è poi l'ultima grande mostra che Picasso si era preparato, cercando di avervi, da vivo, le sue « logge » in qualche modo vaticane. L'effetto è certamente quello di una vecchia cultura europea che ha fretta d'immortalità, accendendo di colpo tre « santuari », tre grotte, tre Lourdes artistiche, mentre i « santi » (Picasso escluso) sono ancora vivi. Ma è patetico qui lo spettacolo di Malraux che, invecchiato, luciferino, archivistico, sposta casse piene di statue venute dalla Siria per spiegare la .formazione della sua personalità. C'è qualcosa di funebre in queste feste. Ognuno si espone al proprio incenso, e si confeziona il « son et lumière» che lo riguarda. Però ognuno si prepara anche la propria mummia. • ' Moralismi a parte, le tre mostre appaiono come « confessioni in pubblico » non comuni. Gestendo prima di morire la propria gloria, Malraux, Chagall, Picasso, non hanno solo compiuto un esercizio esibizionista. Hanno detto come vogliono essere considerati, come vorrebbero essere ricordati, come amerebbero passare alla storia, scoprendo dopotutto le carte. Le mostre interessano come mostre-testamento. Diabolicamente orgogliose e (come tutte le cose orgogliose) estremamente innocenti. Il « Museo Malraux », che vedo a Saint-Paul, è certamente splendido. Ma non appartiene al genere di esposizioni in cui sono eccellenti i francesi, volte a scandagliare davvero l'opera e la vita di una persona celebre come fosse un'opera d'arte. La vita, soprattutto la vita politica di Malraux, è lasciata da parte, cosi come è trascurato il romanzière, nella pretesa di ricostruire solo i «momenti spirituali » che hanno contribuito alla metamorfosi della-sua' « biografia interiore ». Per farlo, sono state convocate, da ogni parte del mondo, e da ogni parte dei, secoli, decine di opere d'arte d'eccezione. Rarissimi Cézanne, Van Gogh, Léger, Fautrier, Braque vorrebbero raccontare le « matrici d'arte » della sua giovinezza. Superbe collezioni di statue (a cominciare dal terzo secolo avanti Cristo) sono state trasportate da tutti i musei del mondo per simboleggiare come Malraux. sia stato un « crocicchio dello spirito ». Si vedono perfino « la cantante » Mari, del museo di Damasco, statue africane, maschere oceaniche, Budda Ghandhara, gruppi indiani, sumerici, Han, Wei. Poi c'è la grande raccolta fino a Manet: pezzi medievali, vetrate, Goya, Rubens, e un Greco mai visto in nessuna esposizione. E' il Malraux della « Psicologi? dell'arte » e de « La voce ilei silenzio », che trionfa sui manoscritti, i carteggi rari, i documenti del romanziere e dell!uomo d'azione. Nonostante lo splendore delle ' opere d'arte, adunate con magnificenza e megalomania insieme, Malraux resta però quasi invisibile nel « suo museo » che, per molti versi, segue il filo delle «Antimémoires». Sono messe in ombra una vita e un'opera che (come si dice) « furono all'appuntamento della storia ». Manca Malraux che voleva liberare Trotzky esiliato da Stalin, avventuriero in Indocina come Rimbaud ad Aden, testimone a Shangai della rivoluzione cinese, pilota rosso in Spagna, o il Malraux che sogna di entrare nel '49 a Pechino a fianco di Mao e che intanto si colloca a fianco di De Gaulle. L'ambizione è di tramandare alla storia solo « l'esteta cosmico », « il putito focàie dello spirito contemporaneo », intendendo per spirito solo .quello legato all'arte, Probabilmente l'intenzione di Malraux è stata di erigere a se stesso un altro « museo immaginario », collocando la propria vita, secondo l'estetica di Focillon, « al centro di quelle relazioni formali tra le opere d'arte che costituiscono una metafora dell'universo ». Probabilmente il suo sogno è di passare alla storia egli stesso come una «metafora dell'universo ». Ma il risultalo è che la sua vita non è più una vita Appare un pezzo di Louvre. Anzi. Un pezzo di Louvre in trasloco. Un « Vittoriaje » (volendo fare queste cose) sarebbe stato più logico, più conseguente al personaggio. Nel senso che l'avrebbe tradito meno, col suo inevitabile cattivo gusto, di tutto questo « buon gusto » che serve a poco. Le idee sull'arte di Malraux 'sono state certo importanti. Non meno di quelle di Esteinne, di Huyghe, di Bazin, e per qualcuno anche di più. Ma la sua « vita inimitabile », la sua genialità nevrotica, collocata tra D'Annunzio e Lawrence, è più importante delle sue idee sull'arte. Già che ci sono, dirò che semmai una delle sezioni più interessanti del « Museo » è quella trascurata- delle lettere. Qui si scopre un Malraux che ripetutamente si riferisce a Lawrence. Certe volte per paragonarsi, altre per giustificarsi, sempre specchiando la sua « avventura » in quella dell'* avventuriero » d'Arabia. Il « museo. » dimentica invece proprio l'essenza del personaggio: la salamandra passata attraverso tutti i fuochi e tutte le metamorfosi. Non c'è traccia del dandy, che debutta nella Parigi letteraria degli Anni Venti, con guanti, perla'sulla cravatta, canna, e una pedanteria erudita, sotto la pelle del « genio sregolato », che si farà sempre sentire. Non c'è ricordo del giocatore in Borsa che parte per l'Indocina (pochi lo sanno) per trafficare statue orientali, rifarsi delle perdite, solo casualmente portato al cosiddetto « appuntamento orientale ». Non esiste il piccolo editore che nel '22 pubblica libri erotici, fa distribuire film espressionisti tedeschi, tra frequenti viaggi a Firenze, « pour le pays de D'Annunzio ». Ma soprattutto manca ciò che spiega davvero lo scrittore sommato al « personaggio»: l'aria del secolo che l'ha marchiato. Non c'è l'ambiguità dell'intellettuale tra le due guerre che approda alì'espoir e alla condition humaine, alla rivoluzione cinese e alla Spagna, però partendo dalle spiagge più contraddittorie, oscillando tra Nietzsche, Maurras (per cui scrive una prefazione), e il Gide che rappresenta l'anti-Maurras. Non c'è l'anticomunista del '44 che ammira- Lawrence, e la sua fuga nell'anonimo, perché dibattuto tra l'amarezza dell'inazione e il disgusto per «là demi-impò.iterc ^dell'azione legata'>aìle combinazioni - politiche''della Resistenza. Inutile dire che manca totalmente l'ultimo Malraux gollista: il « mistico della legittimità » succeduto al « mistico della rivoluzione ». Come demiurgo di se stesso, Malraux. s'è risparmiato di cercarsi (e di scegliersi) là dove la sua vita è più autentica e «inimitabile». Voglio dire nel groviglio di « espoir » e di « cadute » intrecciato per cinquantanni. Piccolo, avvizzito, gli occhi però ancora lucidi, grossi come due biglie bianche alla Baudelaire, visibile in questi giorni al centro della « gioire » di un museo pedante ed erudito (e che riporta a galla la sua seconda natura giovanile), Malraux pone così una serie di domande che lo riguardano e riguardano la sua generazione. Sono domande su questa «fuga in avanti» nel misticismo estetico^ Sopra una vita che, dopo aver tradotto in «azione» tutte le contraddizioni di un'epoca, decide di consegnarsi alla storia solo con un Louvre immaginario. . Rispondere non è facile dato che l'uomo ha dimostrato recentemente di credere ancora alla , sua « leggenda », progettando spedizioni nel Bengala' vestito con dannunziani giubbotti di pelle. Ma proprio nel testamento, letto alla rovescia, vi sono molte indicazioni per intuire. Malraux, e molti della sua generazione, sono i sopravvissuti di un'epoca che ha visto gli esteti essere politici e viceversa, sono poi i responsabili di scelte rivoluzionarie o d'impegno compiute fuori da una logica storica o di classe. Arte e azione si sono in loro saldate in uno svolgimento sempre radicato nell'irrazionale « vitalista », sia nell'avventura anarchica sia nell'avventura «legittimista». Cina, Spagna, gollismo, i grandi temi del mondo, sono stati pretesti per una «leggenda» vissuta sempre in termini di «stile», di «slancio», di «virilità», così come la politica e i contenuti umani di libri famosi sono stati il frutto di argomenti mezzo estetici e mezzo etici. Forse non ha torto Lacouture, in una eccellente biografia, di collocare Malraux tra D'Annunzio e Montherlant, Junger e Péguy. Malraux (questo mi sembra il punto importante) deve però averlo capito prima di Lacouture. Perciò questa drastica ricerca di un'uscita di sicurezza. E' sempre meglio un trionfo « estetico » di un difficile esame di coscienza. Alberto Cavallari