Perduti mille miliardi da 655 grandi industrie

Perduti mille miliardi da 655 grandi industrie Nel 1972 secondo un'indagine Mediobanca Perduti mille miliardi da 655 grandi industrie La Montedison da sola pesa con 459 miliardi - 264 imprese chiudono in attivo da 5 anni (sono quelle che hanno aumentato gli investimenti) - Uno dei problemi fondamentali: eliminare l'assenteismo - Dal '68 al '72 il costo del lavoro è raddoppiato (Nostro servizio particolare) Roma. 11 luglio. Le 655 grandi imprese Industriali italiane nel 1972 hanno chiuso i bilanci con 914 miliardi di perdite, che Mediobanca rettifica in 1030 miliardi effettivi. La Montedison vi pesa con 459 miliardi: le perdite «ufficiali» degli altri sono 455 miliardi. L'anno prima il totale perduto era di 639 miliardi, di cui 195 Montedison; agli altri tutti insieme andava una perdita di 444 miliardi, 11 di meno dell'anno dopo. Nel 1968, invece, anno iniziale delle indagini Mediobanca, v'era stato un utile di 136 miliardi. Il negativo quadro generale delle 655 società ha una sua zona di luce, sia pure fievole: ce ne sono 264 che hanno sempre chiuso in attivo nei 5 anni considerati, ma il loro attivo complessivo resta immobile: da 172 miliardi nel 1968 a 178 l'anno scorso, pur passando il fatturato da 7172 a 11.594 miliardi. Ci sono poi 281 società che passano, nei 5 anni, dal passivo all'attivo o viceversa e che per lo scorso anno chiudono con 751 miliardi di perdite su 8833 miliardi di fatturato (all'inizio della serie avevano 89 miliardi d'utile su 6421 miliardi di fatturato). La zona totalmente buia del quadro è costituita da un blocco di 110 società sempre in perdita, nonostante che per loro il fatturato cresca più che in linea con la media e con gli altri (cioè del 50 per cento tra '68 e "71), passando da 2383 a 3771 miliardi. Il fatto è che per questo gruppo d'aziende i «mezzi propri » costituiscono appena il 13 per cento del totale (14 all'inizio) e i debiti esigibili istantaneamente (a breve) superano il 50 per cento. Per la « zona nera » c'è dunque una situazione di stallo che dura da quattro anni: la metà della «proprietà» di que ste 110 imprese è, in effetti in mano alle banche, che lucrano una bella dose di quelli che, per le industrie, si chiamano invece «oneri finanziari»: 161 miliardi. Sarebbe necessario spostare quest'indebitamento almeno alla forma del « lungo ter mine». Ma il punto fondamentale, per tutte indistintamente le imprese italiane, appare quello di poter tornare a ricavare fondi diretti, fondi di rischio, fondi di « comproprietà » sul mercato dei capitali. Cioè, emettere obbligazioni e, soprattutto azioni. E' un problema per il nuovo governo, come lo era per i precedenti. Fare che ormai vi sia un vantaggio: aver capito che per emettere azioni il punto non è che siano al portatore (cioè anonime) o meno. Il punto è di riformare tutto il settore, renderlo « europeo », simile a quello che esiste negli altri Paesi della Cee, verso i quali ab biamo aperto i mercati. E' anche evidente che non si tratta solo di trasformare debiti, bensì d'attingere capitali per investire ancora di più, Altra caratteristica, infatti: delle imprese che non chiudono in passivo è d'avere costantemente aumentato gl'investimenti. A questo propo sito si deve aggiungere che l'indagine conforta un giudizio espresso dal governatore Carli nella recente assemblea della Banca d'Italia: l'occupazione industriale è cresciuta troppo poco rispetto ai capitali investiti. Non si pub pensare di vendere, se non s'aumentano le persone che hanno un reddito di lavoro Gli occupati delle imprese censite sono aumentati appe na del 15 per cento, contro crescite del 50 per cento dei fatturati e del valore degli impianti. Un problema che i risultati dell'indagine pongono in primo piano, a proposito dell'occupazione, è quello di eliminare almeno una parte del cosiddetto assenteismo, discorso che si pub ormai fare al riparo delle garanzie offerte dallo « Statuto dei lavoratori ». Le ore di sciopero fatte sono una parte persino trascurabile (in ogni caso non si pagano) delle ore che le imprese perdono. Le ore lavorate in totale dagli operai orano 2 miliardi 23 milioni nel '68, e il costo complessivo del lavoro (compresi oneri sociali e costo degli impiegati) era di 3625 miliardi. Si passa, nel '72, a 1 miliardo 997 milioni di ore lavorate e a 6508 miliardi di costo del personale. Il costo del lavoro prò capite si raddoppia e le ore di lavoro diminuiscono. Questo è un problema di contrattazione, che ha la sua risposta anche negli Investimenti. Ma c'è un problema « interno »: fatte eguali a 100 le ore pagate (che compren- I dono le ore di lavoro e le ore di assenza), le ore realmente lavorate erano nel 1968, il 92,2 per cento del totale, mentre scendono nel '72 all'88,5 per cento. A parità di prodotto (cioè quando la domanda è ferma) il maggior assenteismo pesa con lo 0,5 per cento sul fatturato. Se poi la domanda sale (come attualmente) il costo dell'assenteismo si moltiplica, frenando la quantità di prodotto. Senza pensare d'annullare il fenomeno (per indurlo a scarsa proporzione si dovranno creare industrie prossime alle abitazioni, negozi, scuole, ospedali) si può pensare che sia facile riportare l'assenteismo ai livel¬ li almeno del '68: basterebbe annullare qualche « ponte ». L'indagine di Mediobanca, infine, mostra quale necessità vi sia di sviluppare in Italia soprattutto le imprese cosiddette « minori », e di svilupparle attorno alle grandi fabbriche già create nel Sud. Per la prima volta si sono esaminati gli andamenti (1968-72) di 94 imprese non dipendenti da nessun «gruppo », ma il cui capitale massimo del '68 non superasse il miliardo, il fatturato non superasse 10 miliardi e l'occupazione i mille dipendenti (il limite inferiore è a 500). Il fatturato delle « medie » è cresciuto da 378 a 565 miliardi, l'utile d'esercizio da 2,7 a 3,4 miliardi e gli occupati da 39.191 a 41.721. Il segreto di questi successi? Gli scioperi sono un poco più ampi che altrove, l'assenteismo è uguale. Cambia invece la « proprietà »: il totale dei debiti è pari al 44 per cento del bilancio, contro il 51,7 in media delle 655 « grandi » società. Giulio Mazzocchi Il bilancio 1972 delle 655 maggiori imprese 1968 1971 1972 Immobilizzi tecnici (miliardi) 18.021 25.064 27.924 Totale di bilancio (miliardi) . . 29.910 41.556 45.988 Mezzi propri 6.244 7.883 7.166 Percentuale 20,8 17,6 15,6 Debiti medio-lungo 6.022 9.010 10.664 Percentuale 20,2 21,7 23,2 Debiti a breve 7.622 11.896 13.111 Percentuale 25,4 28,6 28,5 Risultalo esercizio 136 — 639 — 914 Percentuale 0,5 —1,5 — 2,0 DI cui Montedison — —195 —459 Dividendi 246 157 168 Dipendenti 1.376.451 1.557.094 1.589.652 Ore operale (milioni) 2.023 2.061 1.997 Ore di scioperi (milioni) ... 26 39 49 Ore d'assenza (milioni) .... 171 243 260 Fatturato (miliardi) 15.977 22.087 24.298 Costo personale 3.625 5.859 6.508 Oneri finanziari 620 1.022 1.110 Autofinanziamento 1.044 775 930 Aumento Immobilizzi 1.574 2.863 2.860

Persone citate: Carli, Giulio Mazzocchi

Luoghi citati: Investimenti, Italia, Roma