Mitchell: ciò ero che contava era la vittoria di Nixon
Mitchell: ciò ero che contava era la vittoria di Nixon Watergate, la versione dell'ex ministro Mitchell: ciò ero che contava era la vittoria di Nixon Nei prossimi giorni saranno interrogati Haldeman e Ehrlichman, anche loro ''fedelissimi" del Presidente - La strategia della Casa Bianca si basa sulla tesi delle ragioni di sicurezza per le quali Nizon sarebbe stato tenuto all'oscuro (Dal nostro corrispondente) New York, 11 luglio. John Mitchell ha oggi spiegato al Senato le ragioni del suo lungo silenzio sullo scandalo Watergate. Prima deUe elezioni, egli ha detto, nascose quanto sapeva per impedire che la campagna di Nixon ne fosse danneggiata; e più tardi, perché sarebbe stato inutile «marchiare d'infamia il secondo mandato del Presidente». «E' sempre stata mia convinzione, condivisa da altri, ha dichiarato, che la vittoria di Richard Nixon fosse più importante di qualsiasi cosa». La tesi dell'ex ministro della Giustizia è dunque che il superiore interesse nazionale giustificava l'insabbiamento della vicenda. A due settimane dalla depo sizione di John Dean III, infamante per il Presidente, la strategia di difesa della Casa Bianca si delinea con chiarezza. John Mitchell è il primo degli «uomini del re» a testimoniare. Nelle prossime setti¬ mane, testimonieranno anche gli altri, con Bob Haldeman e John Ehrlichman in testa. Si può tranquillamente predire che cosa sosterranno: che Nixon fu tenuto all'oscuro sia dei piani di spionaggio che dei tentativi successivi di nasconderli perché lo esigeva la sicurezza del Paese, e che i veri colpevoli furono i funzionari minori, come Jeb Magruder e lo stesso Dean, i quali presero le decisioni sbagliate. A questa strategia, lavorano da più di un mese sei avvocati, capeggiati dal professore Charles Wright della scuola di giurisprudenza del Texas, che percepisce 100 mila lire al giorno. I sei avvocati hanno consigliato al Presidente di non deporre davanti alla commissione inquirente, e di rifiutarle l'accesso agli archivi della Casa Bianca, sulla base del principio della separazione dei poteri. V'è il pericolo di una crisi costituzionale: la commissione potrebbe ottenere un'ingiunzione dal tribunale per l'esame del «dossier», e anzi, probabilmente, voterà domani in questo senso. E' quindi logica la domanda: se Nixon veramente «non sapeva», perché giungere a questo, perché non consegnare i documenti? La strategia della Casa Bianca ha buone prospettive di successo? E' difficile dirlo. Il Senato, per ora, si mostra conciliante con il Presidente. Un membro della commissione, Baker, rifacendosi a precedenti stabiliti da Lincoln e da Woodrow Wilson, ha pubblicamente invitato Nixon a ricevere i senatori in privato, e a «spiegarsi». Mitchell, oggi, s'è mostrato certo che Nixon lo farà «al termine dell'inchiesta». Ma il portavoce della Casa Bianca Warren lo ha smentito: non ci sarà testimonianza presidenziale «in nessuna circostanza», ma o una dichiarazione o una conferenza stampa. E' possibile che dal confronto tra il potere legislativo e quello esecutivo scaturisca l'impasse. In questo caso, toccherebbe alla magistratura scioglierlo. Il grande inquisitore Archibald Cox prepara l'inchiesta per settembre-ottobre. Il « gran giuri » avrebbe già deciso di incriminare oltre a Magruder e a Dean, che sono rei confessi, anche Mitchell, Haldeman e Ehrlichman, che protestano tuttora la loro innocenza. La posizione di Richard Nixon sarà allora molto più precaria: egli dovrà finalmente parlare, ed in modo preciso e circostanziato. Solo a quel punto si capirà Ennio Carette (Contìnua in 2° pagàia in quinta colonna)
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