IL NOSTRO DIBATTITO SULLA DIFESA di Emanuele Gazzo

IL NOSTRO DIBATTITO SULLA DIFESA IL NOSTRO DIBATTITO SULLA DIFESA L'Urss vuole un vuoto nel centro dell'Europa La discussione proposta da « La Slampa » sulla difesa dell'Europa continua oggi con un articolo di Emanuele Cazzo, direttore dell'* Agence Europe ». / precedenti Interventi: Michel Tatù, Lord Chal/onl e Aldo Rizzo («La Slampa» del 30 giugno), Lolhar Ruehl e Arnaud de Borchgrave («La Stampa » del 5 luglio) e Stefano Silvestri (« La Stampa » di ieri). Il dibattito sulla difesa è aperto. Anzi, esso si riapre 19 anni dopo il fallimento della Comunità europea di difesa, dovuto all'opposizione della Francia. Questa riapertura stava maturando. Ma il «detonatore» è stata la «piccola frase» contenuta nel discorso pronunciato da Jobert, ministro francese degli Esteri, il 19 giugno davanti all'Assemblea nazionale: «Questa Europa, l'Europa dei Nove, è disarmata... i paesi europei sanno che il vero dibattito, la vera questione, è quella della loro sicurezza». La situazione creata dall'accordo di Washington è per il momento fluida, dato che non è ragionevole pensare che l'insieme del mondo occidentale si rassegni, accettando il fatto compiuto di una dichiarazione unilaterale. Ma questa fluidità è destinata a cristallizzarsi nel processo che si è avviato ad Helsinki e che procederà parallelamente a Vienna. "Status quo" La Conferenza di Helsinki deve infatti condurre, nelle intenzioni di chi l'ha promossa, alla cristallizzazione totale e permanente dell'Europa, dagli Atlantici agli tirali e dal Capo Nord a Pantelleria. Si fa una fotografia della situazione attuale e guai a chi sgarrerà di un millimetro. L'immobilismo è totale perché nulla può essere cambiato, neanche con mezzi pacifici e di comune accordo (non per nulla si è tanto discusso, nella fase preparatoria, di «inviolabilità» e di «immutabilità» delle frontiere). 11 che è logico: mutamenti «pacifici» potrebbero condurre alla riunificazione della Germania o alla abolizione totale delle frontiere fra i Nove, cioè all'unione politica dell'Europa Occidentale. Per garantire questa immobilità di morte si dovrebbe istituire fra europei una relazione «speciale», scavalcando così l'Onu e la sua Carta, gestita da un organo non meno « speciale » cioè paneuropeo. Tutto il resto è chiacchiera. Salvo beninteso lo sviluppo degli scambi, che ha uno scopo preciso del quale parlerò. La seconda Conferenza, quella sulla riduzione degli armamenti, condurrà, Io si voglia o no, alla creazione, al centro di questa Europa, di una zona a statuto "ancor più speciale" dalla quale le armate «straniere» (cioè americane e sovietiche) potranno gradualmente ritirarsi. Questa zona comprende le due Germanie. L'aspetto preoccupante (e si comprende soprattutto l'inquietudine francese) è che si realizzi così una sorta di riunificazione «a rovescio» della Germania, con il distacco di quella Occidentale dall'attuale Comunità, che non potrebbe più sussistere come tale In sostanza, accordo di Washington e conferenze di Helsinki e di Vienna sono le fasi iniziali di un processo che può condurre alla situazione descritta da «Verax» (l'ambasciatore Roberto Ducei) più di un anno fa (in «Affari Esteri» luglio 1972). Verax diceva che gli Usa potrebbero essere indotti dall'Unione Sovietica ad esercitare con essa la parte di potenza garante della sicurezza in Europa continentale: «Questo program ma si applicherebbe soprattutto agli aspetti politici del sistema europeo che nascerebbe dalla Csce. In questa specie di nuovo e magnificato trattato di Locarno, la sicurezza degli Stati europei gli uni nei confronti degli altri, e di ciascuno di essi nei riguardi della superpotenza del campo opposto, sarebbe dunque garantita dall'intesa costante dell'Unione Sovietica e degli Stati Uniti». Può l'Europa accettare questa sorte? E soprattutto può rassegnatisi quella parte di Europa Occidentale che, avendo costituito già una Comunità, ha messo in comune l'economia e prevede di avviarsi verso la fine dell'attuale decennio a costituire un'entità politica (qualunque sia la forma istituzionale che essa potrebbe assumere)? Spingiamo un poco avanti l'analisi. Che cosa aspetta l'Unione Sovietica dalla Csce (della quale lanciò l'idea proprio quando i tentativi pei creare l'Europa unita prendevano forma: il piano Molotov è del 1954, il piano Rapacky è del febbraio 1958:;? Il professor Alexei Chitikov, presidente di quella «Assemblea di Bruxelles» che ha tanto propagandato la Conferenza, l'ha detto: «Crea¬ re in Europa un'atmosfera qualitativamente nuova». E questo per tre vie: a) il gelo delle frontiere; b) la riduzione delle forze stanziate; c) il larghissimo intercambio economico. Quest'ultimo deve essere negozialo «da Stato a Stato» (messe quindi da parte le istituzioni europee esistenti) e deve basarsi — come ha spiegato il professor Stanisi a v Rozkowski, consigliere economico del Presidente al Piano in Polonia — su una serie di progetti di cooperazione industriale a lunghissimo termine, comportanti trasferimento di risorse tecnologiche e finanziarie in vista dello sfruttamento di risorse naturali nella Russia asiatica. Lo schema si precisa, e può così essere sintetizzato: a) distensione e status quo in Europa; b) sviluppo dell'interpenetrazione economica tra Stati dell'Occidente e dell'Europa Orientale; c) questo sviluppo condurrà ad un relativo «livellamento» di prosperità e di sviluppo e soprattutto renderà l'economia dell'Europa Occidentale strettamente dipendente da quella Orientale, tanto dal punto di vista dell'approvvigionamento in materie prime e fonti energetiche, quanto dal punto di vista dello smercio di prodotti finiti; d) la scomparsa di ogni tensione e l'aumento della prosperità creerà in Europa Occidentale un clima nel quale ogni sforzo verso l'unione politica o la difesa sarà divenuto inconcepibile e inaccettabile da parte dell'opinione pubblica. Le relazioni con gli Stati Uniti saranno allentate. L'apporto finanziario e tecnologico occidentale avrà consentito all'Unione Sovietica di colmare il divario economico pur dedicando risorse sufficienti all'armamento. L'entità «paneuropea» comprenderà di fatto una moltitudine di prospere potenze piccole e medie, fiere ciascuna della propria indipendenza ma di fatto politicamente dipendenti dall'unica grande potenza euro-asiatica: la Russia. Ovviamente, in caso, abbastanza probabile, di conflitto russocinese, l'Europa sarà la retrovia e l'arsenale dell'Unione Sovietica. Lo scenario Questo scenario non ha nulla di immaginario: è del più crudo realismo. La sua attuazione beninteso non è certa, ma questo dipende dal fatto che gli europei vogliano e possano arrestare il processo prima che sia troppo avanzato. Ci sono alcuni segni che essi lo vogliano. L'apertura del dibattito sulla difesa è uno di questi indici. Evidentemente, In creazione di una difesa europea è un problema molto complesso. Ma da questo a dire, come fa Tatù, che essa è irrealizzabile, ci corre molto. Gli ostacoli finanziari, tecnici e giuridici sono sicuramente superabili, se c'è una volontà politica. I veri ostacoli sono quelli politici e una forte convergenza di volontà politiche li travolgerebbe. Certo, questa si deve manifestare. Dal 1954 ad oggi, l'elemento negativo e frenante è stato la Francia, la cui dottrina era che non si può parlare di difesa europea perché non esiste una «patria europea». Questa è, allo stato attuale delle cose, una pura chimera. Oggi sembra di capire che la posizione francese, non solo cambi, ma si sia completamente rovesciata. Jobert ha sorpreso tutti dicendo quel che ha detto, ma ancor più quando ha precisato anche i tempi: «L'anno 1973 sarà per gli europei l'anno della difesa» ha detto. E un gollista come Sanguinetti ha preso la testa, con il beneplacito di Pompidou, del famigerato «movimento per l'indipendenza dell'Europa», già fortemente filosovietico, e che ora difende apertamente l'idea della creazione di una difesa nucleare europea. Poiché nei Salt in ogni caso i sovietici pretenderanno di conteggiare le forze nucleari francese e inglese, tanto vale — stanno pensando gli americani — che queste forze siano potenziate mettendo a loro disposizione i cosiddetti «segreti» protetti dalla legge McMahon. Utopia? E' chiaro quindi che le premesse per l'apertura e per la rapida conclusione del dibattito sulla difesa europea esistono. Può darsi che la Francia vi scorga la possibilità di riprendere o di assicurarsi quella «leadership» europea che De Gaulle cercò invano... Detto questo, dobbiamo auspicare che l'Europa dei Nove, che immaginiamo pacifico modello di una più umana civiltà, stia superbamente assisa su un minaccioso arsenale termonucleare? Credo che dovremmo difendere una visione molto più avanzata e coraggiosa, anche se essa sarà da tutti definita, oggi, come assolutamente chimerica. Ma l'utopia di oggi è la realtà di domani. L'Europa comunitaria, che già sta integrando la propria economia, deve creare rapidamente le condizioni politiche, come quelle tecnologiche e finanziarie (un bilancio europeo degli armamenti, classici e nucleari) che le consentano di fare quel che altri hanno fatto, cioè munirsi di una forza di dissuasione «credibile», che le permetterà di dialogare con chiunque da pari a pari. E allora ma solo allora — ed è su questo punto che mi sento accusare, e non mi spiace, di utopismo — essa potrà validamente, non per via di imposizione ma di persuasione, condurre i suoi potenti partners in Europa, in Asia, in America, a rinunciare tutti all'arma atomica e, via via, a tutto l'arsenale della nostra civilizzata barbarie. Emanuele Gazzo Direttore di « Agcncc Europe »

Persone citate: Aldo Rizzo, Arnaud De Borchgrave, De Gaulle, Lord Chal, Michel Tatù, Pompidou, Roberto Ducei, Ruehl, Sanguinetti, Stefano Silvestri