A 13 giorni dal sequestro ancora nulla di certo

A 13 giorni dal sequestro ancora nulla di certo A 13 giorni dal sequestro ancora nulla di certo San Marino: che verità dietro il duplice ratto? Perché questo rapimento non segue in alcun modo lo svolgimento consueto di questi casi? La famiglia si è trincerata dietro il più assoluto riserbo - Si ignora persino se i contatti sono avvenuti con i veri rapitori o con "sciacalli" - Non si è neppure sicuri che lo scopo del rapimento sia l'estorsione - La magistratura è tornata sulla decisione di iniziare le indagini (Dal nostro inviato speciale) San Marino, 10 luglio. Quella sera del 28 giugno, dodici giorni fa, il dottor Italo Rossini non aveva alcuna voglia di lasciare la sua villa di Ca' Rinaldo, a San Marino, per andare a mangiare a casa della figlia Rossana e del genero Maurizio Vicari, a Rimini. Non ne aveva voglia, ma si era lasciato convincere dalla moglie e dalla figlia Rossella: andò a Rimini, mangiò, scherzò coi due nipotini. Verso le 11, salutò il genero, baciò la moglie e Rossana e i nipotini e risali a San Marino con Rossella, sull'utilitaria di lei. Con loro c'era anche la giovane domestica, Anna Zavoli, che abita in una villetta accanto a loro. Arrivarono al centro storico della piccola Repubblica, si fermarono davanti all'ambulatorio del dottore, dove lui aveva lasciato l'auto. La figlia e Anna Zavoli si avviarono con l'utilitaria; la domestica scese davanti casa sua, duecento metri prima di villa Rossini, Rossella prosegui. Qualche minuto dopo giunse il dottore. Alma Zavoli, che stava per andare a letto, senti rumori e urla, distinse la voce del medico che diceva «State calmi, state calmi, è solo una bambina, io ho avuto un infarto», e poi ancora, «Giò, Giò», il nomignolo di Rossella. La giovane domestica vide anche le luci della villa accendersi e poi spegnersi, udì una macchina partire e la vide passare: era la 128 del dottore che veniva rapito assieme a sua figlia. Anna Zavoli avverti il fratello del misterioso armeggio. Il giovane andò con altre persone a villa Rossini, ma tutto sembrò loro normale. Pensarono che il medico e la figlia avessero deciso di ritornare a Rimini e neppure si accorsero che la 127 di Rossella aveva un vetro infranto, una portiera forzata. Se ne andarono a letto tranquillamente. Il rapimento venne scoperto solo la mattina dopo, quando Anna Zavoli disse per telefono alla signora Dina che i letti erano intatti, che la macchina del dottore non c'era. Avvenuto pressappoco alle urdici e mezzo della sera prima, il ratto fu accertato alle dieci e mezzo del giorno successivo. Cominciarono le ipotesi, di ogni tipo: dal rapimento effettuato da alcuni ladri scoperti in flagrante a quello voluto da un fuorilegge latitante e bisognoso di cure. L'ipotesi più ovvia, quella del ratto a scopo di estorsione, veniva per ultima. I sammarinesi trovavano strano che i banditi avessero scelto il dottore anziché uno dei tanti cittadini più ricchi di lui che, dopo avere vissuto per trent'anni con 10 stipendio dell'ospedale, era andato in pensione con una liquidazione di una dozzina di milioni. L'unico a parlare di ur>. rapimento per riscatto fu Maurizio Vicari, il genero, secondo il quale cento, centocinquanta milioni era quanto s! poteva ottenere liquidando tutti i beni del medico: la villa, due appartamentini a San Marino, un altro a Rimini. Gli interventi del commissario della Legge di San Marino furono discreti: vennero interrogate alcune persone (in prima fila Anna Zavoli, dall'ottimo udito), si accertò che nessuno dei dieci o dodici giovanotti in perenne contrasto con la giustizia mancassero dallo Stato; non si andò oltre, per le pressanti richieste della famiglia Rossini (appoggiate da un cugino, il professor Dominici, che è ministro di Grazia e Giustizia), per il timore di far scemare le possibilità di rivedere vivi il medico e la figlia. Cominciò l'altalena: il 29 e 11 30 giugno, neanche un cenno, ma si sperava; la famiglia lanciò un appello ai rapitori, perché si facessero vivi presto. La gente si chiedeva perché mai i banditi avessero rapito due persone. Il commissario della Legge Viroli affermò che era stata sbagliata la valutazione delle possibilità economiche delle vittime. Dai discorsi di ognuno balzava possente la figura del dottore, gran mangiatore, gran bevitore malgrado il cuore malmesso, romagnolissimo fautore del carpe diem, grande appassionato di caccia. Restava in ombra, dietro un cosi vasto padre, Rossella, ventitreenne insegnante di lettere, alta e bionda e, da qualche tempo, esile, dopo drastiche cure dimagranti che sommate alla preoccupazione per la laurea l'avevano portata all'esaurimento nervoso. Sul palcoscenico delle chiacchiere Rossella fu protagonista il giorno dopo, 2 luglio, allorché i tiratardi del paese, per far venir l'alba, ripercorsero la storia di un fidanzamento durato quattro anni e appena finito. Il personaggio del 3 luglio avrebbe dovuto essere il «basista»: nessuno dubitava, chissà perché, che si trattasse di un simmarinese, o comun- que di un residente a San Marino Era stato lui a sbagliare i calcoli sul patrimonio del dottor Rossini? Quel giorno il cerchio avrebbe potuto stringerglisi attorno, il magistrato disse: «Non potremo mantenere ancora per molto quest'inazione». Lo disse pubblicamente, e forse a quel punto i Rossini avrebbero dato il loro assenso, ridotti com'erano a una certezza che la signora Dina esprimeva per tutti dicendo e ripetendo: «Me l'hanno ammassato, me l'hanno ammassato». Ad allontanare dal basista la minaccia delle indagini venne, con perfetta scelta di tempo, una telefonata, alle 22,30. Non la prima della giornata, ma la prima credibile. Una voce limpida e dalla perfetta dizione rassicurò i Rossini sulla sorte dei loro familiari, diede qualche particolare che uno «sciacallo» non avrebbe potuto conoscere. Poi, il giorno dopo, in pieno pomeriggio, ancora quella voce da lettore del telegiornale che dava altra speranza, altri particolari e un invito a attendere. Il paese si rassegnò, per il momento, a escludere le ipotesi fantasiose: ormai veniva data per scontata l'estorsione, e Italo e Rossella sembravano già di nuovo a casa. Cosa accadde nella notte non si sa, ma la mattina dopo l'ottimismo era tornato angoscia perché i Rossini decisero di lanciare per televisione un nuovo appello, letto dal parroco don Foschi che giurò di aver lui stesso distrutto i nastri con la registrazione della voce che aveva stabilito il contatto, ma che da un giorno ormai non alimentava più la speranza. Perché il parroco parlò di una minaccia che gravava «sul passato e sul futuro della famiglia»? Il paese abbandonò una volta di più la tesi dell'estorsione, antiche chiacchiere ripresero forza, il setaccio del pettegolezzo ripassò storie di dissapori tra il dottor Rossini e il genero. A cosa mai potevano portare? Al massimo, all'ipotesi che fosse stato Maurizio Vicari l'involontaria fonte dell'errata valutazione del patrimonio del suocero. Dopo il messaggio del prete, i contatti ripresero, avallando l'ipotesi che le telefona¬ te fossero state fatte dal basista, preso poi dal timore di essere riconosciuto, malgrado la perfezione della pronuncia. La voce, dopo, non fu più la stessa, altre se ne aggiunsero, più facilmente attribuibili a una regione ma forse proprio per questo meno identificabili, che in fondo nulla è più caratterizzato di ciò che è privo di ogni caratteristica. I nuovi contatti sciolsero un po' la tensione, ma le voci del paese ne fecero nascere una nuova, di diverso tipo. «Tra i Rossini c'è un clima di sospetto»: e lo disse il magistrato, Viroli, non uno dei tanti preoccupati di riempire le ore piccole. Il sospetto, la tensione peggiore. Villa Rossini si chiuse dietro una barriera di silenzio. Lunghe ore d'attesa, la morte nel cuore, la memoria che ripercorre particolari che sembrarono insignificanti e ora assumono un'importanza spropozionata. E poi, il telefono che non squilla più. Il contatto cadde di nuovo, il 7 luglio passò senza notizie, e anche l'8 luglio. Ma era silenzio vero o era il filtro implacabile dei Rossini a fermare ogni voce tra le mura della villa? E' vero o è solo l'ennesima ipotesi, che il riscatto era già stato richiesto, e la notte tra il 7 e 1*8 fu versato, pur senza alcuna garanzia che riceverlo fossero proprio i rapitori, che Italo e Rossella sarebbero tornati a casa? Di ufficiale, nulla, e il magistrato ieri ha deciso che è tempo di rompere gli indugi, di setacciare il territorio, di ripetere interrogatori fatti sommariamente all'inizio della vicenda e dai quali uscirono risposte vaghe, inconcludenti. Pochi minuti dopo la decisione del magistrato, però, ecco una voce dalla villa: c'è un nuovo contatto, bloccate le indagini. Un contatto davvero tempestivo, che fa sorgere il dubbio che sulla magistratura abbia agito una pressione diversa e superiore a quella della comprensione per una famiglia immersa nell'angoscia. Ma quale via tiene quest'angoscia, se una telefonata fatta ieri alla villa da un giornalista ha avuto risposta, da una voce maschile calmissima, solo dopo otto squilli? E' di nuvo la sensazione di tutti è che le cose stiano per giungere alla conclusione, e per il meglio. Ma questa sensazione non dà una risposta a domande che non potranno essere sempre respinte: che rapimento è questo, che non ha movente né soluzione, che non ha rapitori certi e in cui i rapiti sembrano essersi dissolti, in cui i familiari delle vittime invocano il silenzio e l'inazione ma si lasciano andare a confidenze e in cui un cenno basta a condizionare le decisioni di chi amministra la legge? Franco Mimmi Rossella Rossini