IL PORTO DI PESCATORI SEPOLTO DAL VULCANO di Mario Ciriello

IL PORTO DI PESCATORI SEPOLTO DAL VULCANO IL PORTO DI PESCATORI SEPOLTO DAL VULCANO Nella Pompei d'Islanda Heimaey, il più pittoresco e ricco centro di pesca, era costruito su un vulcano silenzioso da migliaia d'anni - "Surtur, il dio del fuoco" si risvegliò il 23 gennaio, con un'esplosione accecante: in poche ore, dalla città invasa dalla lava dovettero fuggire i 5000 abitanti - La pioggia di cenere continua sulle rovine; la montagna, la spiaggia, il mare hanno cambiato aspetto (Dal nostro inviato speciale) Heimaey, luglio. L'aereo comincia a scendere verso Heimaey, ma l'occhio cerca invano tracce della catastrofe. L'isola sorge bellissima dal mare azzurro, e il suo profilo montuoso, le sue vallate, i suoi dirupi ricordano Capri. Poi le case, variopinte come sempre in Islanda, un vivido caleidoscopio di tetti gialli, rossi, verdi, gualche campo, qualche pennacchio di fumo, ma non minaccioso, verso il porto. D'improvviso si scopre la tragedia. Quei tetti sbucano da un oceano di cenere nera, tutto è nero, persino i fianchi delle rocce, su cui si stagliano i gabbiani, uniche chiazze candide e palpitanti. E' come affondare in una miniera. Il piccolo velivolo si tuffa verso la pista e la tocca e la percorre in un ghibli di ce¬ nere. A terra lo spettacolo è allucinante. Il vento scaglia la polvere vulcanica che, come una sabbia fetida e scura, penetra negli occhi e negli abiti. Guardo l'aereo: non sembra calato dal cielo, ma uscito da una carbonaia. Sotto scorta Un agente in canottiera e bretelle, verifica il permesso rilasciato a Reykjavik, e senza il quale non si mette piede a Heimaey. Scrive il mio nome su un registro: « Dobbiamo sapere chi c'è sull'isola, qualora accada qualcosa. Il vulcano non s'è ancora addormentato. Parta appena può. Non si può pernottare qui. Grazie per essere venuto ». Sono passati oltre cinque mesi dall'eruzione a Heimaey (fu il 23 gennaio) e il mondo ha cominciato a di- menticare la sciagura. Per alcune settimane, i telegiornali mostrarono il fiume di lava che avanzava inesorabile verso il porto, la pioggia di cenere, il volto tetro di qualche abitante: poi l'attenzione si è rivolta altrove e del disastro di Heimaey non è rimasto che un pallido ricordo. Ma la storia non è finita, il tormento continua e un enorme punto interrogativo incombe ancora sul futuro di questa cittadina. Era il più importante centro peschereccio islandese, forse di tutta l'Europa atlantica: oggi sta diventando una seconda Pompei. M'illudevo di arrivare ad Heimaey senza difficoltà: un regolare servizio aereo la collega con Reykjavik. Ma per quattro giorni ho atteso invano di salire su quell'apparecchio: o la nebbia o il vento rendevano impossibile atterrare sulla breve pista, e il margine di sicurezza è minimo ora che un'improvvisa folata può accecare il pilota I in una bufera di polvere. Non restava che tentare con un piccolo aereo, uno di quei tassì del cielo che sgambettano da un capo all'altro dell'Islanda, di ogni stagione, scendendo ovunque, spingendosi fino all'altra terra vichinga, la Groenlandia. La prima prova non è stata fortunata, per il tempo pessimo. Al secondo volo l'incertezza è durata fin quasi all'arrivo, perché un banco di nebbia sedeva sull'isola. Una brezza l'ha dispersa d'improvviso, insperatamente, e subito l'occhio ha colto lo splendido spettacolo di Heimaey e del suo arcipelago. Heimaey è la principale (e l'unica abitata) delle 15 isole che compongono il gruppo delle Vestman, «Vestmannaeyjar» in islandese, una quindicina di chilometri a Sud dell'Islanda, le cui acque pullulano di pesci e il cui cielo pullula di uccelli. E' una storia affascinante, quella delle Vestman, che meriterebbe più spazio. Nel 1627, pirati algerini piombarono su Heimaey, rapirono 300 abitanti, li vendettero in Africa come schiavi (solo tredici si salvarono e tornarono). Più recentemente, nel 1963, il gruppo si arricchì di un'altra isola, eretta nel corso di tre anni da un'eruzione vulcanica sottomarina: fu chiamata Surtsey da Surtur, una divinità vichinga che, dicono le leggende, «giunge dal Sud con il fuoco ed il tuono». La fenditura Il 23 gennaio Surtur salì dalle viscere di questa terra, l'Islanda, costellata di vulcani, geologicamente ancora incompiuta, e colpì nuovamente. Erano le due del mattino, parecchi dei cinquemila abitanti erano svegli, destati da scosse telluriche di crescente intensità. «E' un momento che è impossibile dimenticare — mi ha narrato uno di questi testimoni —. Le scosse cessarono, scese un lungo silenzio, rotto soltanto dal latrato dei cani, poi udimmo un boato che parve spaccare il cielo. Al boato segui un'esplosione di luce, accecante, come una bomba atomica, e a circa 400 metri da Heimaey la ter- ra si apri di colpo per una lunghezza di due chilometri. Dalla fenditura cominciò a sgorgare lava ». Era nato un nuovo vulcano sulle pendici del Helgafell (montagna sacra) il cui cratere, a 226 metri d'altezza, dorme da seimila anni. Getti di pomice saettarono verso il cielo per centinaia di metri: poi vennero la pioggia di lapilli e la pioggia di cenere. Si ascolta questa gente e sembra di ascoltare il racconto di Plinio il Giovane sulla distruzione di Pompei, nel 79 dopo Cristo. Con una felice differenza: che a Heimaey non morì nessuno, perché in poco più di tre ore, con un'operazione che se non fosse stata compiuta dagli uomini si sarebbe tentati di definire miracolosa, tutti i cinquemila abitanti furono trasferiti sulla terraferma o con ì pescherecci o con un ponte aereo. Quando venne il mattino, non vi erano sull'isola che il bestiame, gli uccelli marini e un manipolo di soccorritori. Le scorie nere Da allora, dopo quel preludio wagneriano, Heimaey ha subito un duplice attacco. L'attacco della lava che, in cinque mesi, ha modificato il paesaggio e ha innalzato, lungo il crepaccio spalancatosi il 23 gennaio, una nuova montagna, di cui settanta metri sono sott'acqua e 50 sopra. Per fortuna, questa lava si è riversata principalmente verso il mare e non verso il cuore dell'isola, altrimenti di Heimaey non esisterebbe più traccia. L'altro attacco è quello delle scorie, della cenere, che non ha risparmiato invece quasi nessuna contrada. Nessuno può dire quante tonnellate di questa infernale arena siano precipitate su Heimaey, e ancora scendono di tanto in tanto, dieci milioni di tonnellate forse nella prima settimana, divenute poi venti o trenta anche per l'effetto delle piogge. Di questo manto, 300 mila tonnellate soltanto sono state finora trasportate altrove. Heimaey era la più graziosa cittadina islandese, la più pittoresca: e la più ricca, perché, con il due e mezzo per cento della popolazione nazionale, catturava oltre il 12 per cento del pesce esportato dall'Islanda. Oggi l'isola è deserta, fatta eccezione per 200-300 persone che si alternano nello spossante compito di salvare il salvabile. Gli abitanti sono divenuti «profughi» e vivono a Reykjavik ospiti di amici o in locali trovati dal governo: le scuole della capitale hanno fatto posto a milleseicento allievi in più; e i famosi marinai delle « Vestmannaeyjar » salpano con i loro pescherecci da altri porti. Delle 1.100 case di Heimaey ne è rimasta la metà, le altre sono distrutte o semidistrutte. Un insegnante mi fa da guida, al volante della sua jeep. Corriamo per le vie coperte di quella cenere nera, gli occhi bruciano, sembra un viaggio attraverso una città appestata. « Guar- di, il nuovo ospedale, appena finito. Ora è uno spettro, con la cenere che arriva al terzo piano ». Scendiamo al porto che, circondato da immani faraglioni e popolato di migliaia di uccelli, era uno dei più deliziosi d'Europa: il torrente di lava che scende dalla montagna preme adesso contro le sue banchine. « C'è mancato popò, la lava stava per chiudere la stretta apertura fra le rocce che permette ai battelli di entrare e uscire dal porto. La minaccia non è scomparsa, ma è diminuita. La lava è arrivata fino alla punta del molo, ma non l'ha superata ». E' un « miracolo » al quale ha contribuito, in modo forse decisivo, il prof. Thorjorn Sigurgeirsson, la cui opera è adesso oggetto di studio e di ammirazione da parte di lutti i vulcanologi. La sua teoria poggia su due punti. Primo: se la temperatura della lava è abbassata da 1.100 a 500 gradi, la sua massa si rassoda. Secondo: la lava è « pigra », se incontra un ostacolo lo aggira. Sigurgeirsson bombarda pertanto la lava con le otto tonnellate d'acqua aspirate ogni secondo da otto superpompe, ne trasforma l'avanguardia in una sempre più robusta barriera e valendosi di questo « muretto » costringe il flotto successivo a deviare in direzioni meno pericolose. Costruisce insomma con la lava le difese anti-lava. Lo spettacolo del magma incandescente è dantesco, con quei vapori, quel tanfo di zolfo e quel continuo profondo ruggito: ma ancora più drammatico e sconvolgente è lo spettacolo del¬ la città soffocata dalla cenere. La jeep corre sul nero Sahara. Sflora una punta metallica, è la cuspide di una casa: sflora un cippo di legno, è la cima di un palo telegrafico. « Scenda, facciamo due passi ». Camminiamo sulla desolata distesa. « Ecco, adesso stiamo camminando sulla casa di mio suocero, e qui su quelle dei miei vicini ». Di nuovo sulla jeep. « Le faccio vedere la mia casa. Non le potrò offrire nulla, neppure una tazza di tè ». La graziosa dimora, a due piani, sta crollando, la cenere ha quasi raggiunto il tetto, entriamo da una finestra, le scorie sono calde, sudano, avanzano di stanza in stanza come un mostro da fantascienza. Al pianterreno già si muore. Le esalazioni velenose uccidono, come uccisero i pompeiani che cercarono scampo negli scantinati. Torniamo verso il centro, dove la cenere è più bassa: e rasentiamo il cimitero. E' una stretta al cuore: affiorano soltanto le croci e le lapidi più alte, uniche pennellate di bianco in quell'incubo nero. « I nostri morti possono dire d'essere stati sepolti due volte ». Incontriamo alcune donne con dei bambini. « Vengono qui per la giornata, da Reykjavik. Vanno a vedere se la casa è ancora in piedi. Portano i piccini perché non scordino la loro città, la loro Heimaey ». Ma rinascerà questa Heimaey, potranno tornare i battelli ora esuli? Il vulcano è ancora considerato pericoloso, il governo non fa previsioni: anzi, prudente, già costruisce altrove alloggi per i sinistrati. Per gli abitanti invece non vi sono dubbi, si tornerà. Domando alla mia guida: « Le devo qualcosa? » « No, nulla. Siamo lieti di accogliere i rari visitatori. E a tutti diciamo, se volete dare qualche corona, offritela per l'ospedale ». E' un segno di fiducia nel futuro: come quei fiori freschi posti ogni mattina ai piedi dell'unico monumento dì Heimaey, la statua del marinaio islandese. Mario Ciriello