Disputa sulla Chiesa infallibile di Hans Kung

Disputa sulla Chiesa infallibile UN ARTICOLO DI HANS KUNG, IL TEOLOGO "RIBELLE,, Disputa sulla Chiesa infallibile Il documento della Congregazione per la dottrina della fede (ex Sant'Uffizio) "è antiecumenico: invece d'interpretare il Vaticano II tenendo conto dell'evoluzione della Chiesa, lo analizza in uno spirito preconciliare" - L'infallibilità "garantita dallo Spirito Santo" Roma locuta, causa aperta (Roma ha parlato, la causa è aperta) Dopo il Concilio, Roma ha pubblicato una serie di documenti importanti che, tutti, lungi dal risolvere i problemi, li hanno aggravati o lasciati sospesi: enciclica sul celibato (1967), enciclica Humanae vitae (1968) sulla limitazione delle nascite, decreto sui nunzi (1969), dichiarazioni sui sacramenti di penitenza (1972), sulla natività di Gesù e la Trinità (1972). E' da temere che ogni recente dichiarazione romana sulla Chiesa abbia un simile effetto paralizzante. Roma ha perso un'altra occasione. Perché, evidentemente, dopo che Giovanni XXIII è stato il primo papa a parlare, per l'apertura del Concilio, dell'abito mutevole delle formule dogmatiche, negli ultimi dieci anni, a proposito della Chiesa e del dogma, si sono posti una quantità di problemi, che esigono una risposta. Sono numerosi coloro che accoglierebbero con gratitudine orientamenti costruttivi come le grandi encicliche di Giovanni XXIII sulla pace e i problemi sociali. Controriforma L'ultima dichiarazione romana ha purtroppo un altro carattere. E' stata emanata da quest'organismo dell'Inquisizione (Sant'Uffizio), istituito durante la Controriforma, celebre per aver condannato Giordano Bruno e Galileo, e che, d'accordo con la Congregazione integrata dell'Indice, ha proibito la lettura di quattromila libri, minacciando la scomunica. I più conosciuti teologi cattolici del nostro secolo — da Karl Adam a Chenu, Congar, De Lubac, Teilhard de Chardin, Karrer, Rahner, Schoonenberg, Schillebeeckx — hanno tutti avuto serie difficoltà con quest'organismo. Ancora sotto Pio XII ha potuto provocare ondate d'epurazione metodiche con disposizioni, proscrizioni, interdizioni dall'insegnamento e dalle pubblicazioni. Giovanni XXIII ha riabilitato alcuni teologi nominandoli esperti al Concilio. Paolo VI ha soppresso l'Indice, istituendo una commissione internazionale di teologi e avviando una riforma del Sant'Uffizio. Malgrado una nuova denominazione (« Congregazione per la dottrina della fede») e nuove regole di funzionamento, quest'organismo romano per la fede cerca di ripristinare numerose pratiche della vecchia Inquisizione. Anch'esso preferisce restare sullo sfondo (Olanda, caso Pfurtner) e delegare, fin tanto che ne siano membri, padri d'Ordine e vescovi. I servizi diplomatici del Vaticano sono preziosi per informarlo e permettergli di raggiungere i suoi scopi. Ma basta. Che cos'hanno a fare con il Vangelo di Cristo tutte queste pratiche del Palazzo del Sant'Uffizio, che tanto hanno pregiudicato la credibilità della Chiesa cattolica e della sua teologia? Dogi ma e fede Nel 1967, la Congregazione romana per la dottrina della fede istruì un processo segreto contro il mio libro La Chiesa (di cui erano allora vietate la vendita e la traduzione), e nel 1971 aprì un secondo processo contro Infallibile? Un problema. Dal 1965 Paolo VI aveva ordinato che questa congregazione si desse un nuovo regolamento di procedura più giusto. Soltanto sei anni più tardi l'organismo pubblicò un regolamento che suscitò serie critiche per le sue caratteristiche inquisitorie: nessuna divisione dei poteri, nessuna comunicazione dei dossier agli accusati, nessuna possibilità di difendersi, nessuna istanza d'appello, segreto assoluto. Nelle posizioni sull'unità della Chiesa, sulla successione del papa, sul sacerdozio comune, sui ministeri nella Chiesa, sulla celebrazione eucaristica e sull'infallibilità e in tutte le vertenze, sulle quali s'impone un accordo data la situazione della cristianità, il documento romano si rivela purtroppo antiecumenico. Invece d'interpretare il Vaticano II, attraverso i fatti e i testi, tenendo conto dell'evoluzione teologica in seno alla Chiesa e sul piano ecumenico, lo si analizza in uno spirito preconciliare. Questo Concilio che aveva aperto tante porte e s'era proposto di non chiuderne alcuna, è falsato per bloccare un ulteriore progresso della teologia, del rinnovamento della Chiesa, degli accordi ecumenici. Certo sarebbe esagerato af fermare che la Congregazione per la fede non ha imparato nulla. Sotto la pressione dell'Interpellanza, la «condizione storica» delle formule di fede, considerate fino a quel momento come atemporali, non è stata, per la prima volta in un documento romano, sem¬ psepenlsgt plicemente citata oppure scartata, ma positivamente esposta. L'imperfezione e la possibilità di migliorare le enunciazioni dogmatiche sono state espressamente sottolineate. Il senso delle professioni di fede sarebbe, almeno in parte, dipendente dal linguaggio in uso in un certo periodo e in una determinata situazione, e dovrebbe pertanto essere rinnovato dai teologi. Data questa prera di coscienza relativamente acuta del problema, non ci si poteva attendere un atteggiamento serio e onesto di fronte al Problema dell'infallibilità? Il Problema di un'infallibilità, garantita dallo Spirito Santo, di certe enunciazioni o di certe istanze, non ha ricevuto risposta; è stato schivato. Quando si attende una giùstificazone, si ascoltano affermazioni; quando si attendono spiegazioni si ascoltano esortazioni, e finalmente questa dichiarazione: il dogma dell'infallibilità non dev'essere «provocato da un'indagine sui fondamenti della nostra fede», ma basta che la dottrina sia « afflffldata alla memoria ». Il Problema rimane: causa aperta! Poiché la Congregazione per la fede non può, neppure essa, dare alcuna risposta fondata, s'allontana ogni giorno di più la possibilità di mantenere la dottrina romana dell'infallibilità nel senso in cui la s'intendeva nel XIX secolo. Il recentissimo documento romano accelererà quest'evoluzione, perché: 1) il succinto riassunto della dottrina romana sull'infallibilità rende particolarmente visibili i suoi punti deboli (è ugualmente un certificato per la dottrina sulla successione del papa); 2) il termine «infallibile», curiosamente, è spesso sostituito da altri come «immutabile», «non riformabile», «indefettibile»; 3) la questione — contestata anche a Roma — dell'infallibilità della dottrina espressa nell'enciclica Humanae Vitae non ha ricevuto alcuna risposta; 4) non si osa più, come fin poco tempo fa, parlare perentoriamente di proposte o enunciazioni infallibili. Senza martìri Per finire, c'è tuttavia qualcosa di positivo in questo documento, che non bisogna tacere: non soltanto nessuno vi è personalmente nominato, ma anche non vi si trova nessuna formula di scomunica né di condanna. Ecco ancora una cosa che Roma sembra aver imparato dell'evoluzione precedente: le questioni pendenti non possono essere risolte con le condanne; una causa come questa non può essere regolata con misure disciplinari. Pare dei martiri non porta più vantaggi. I teologi cattolici (e io mi sono sempre e senza reticenza definito un teologo cattolico) seguiranno certo attentamente Roma. E lo faranno anche volentieri ogni volta che, alle miserie e alle speranze di questo tempo, saranno date risposte motivate, costruttive, efficaci. Nel corso dei secoli Roma ha dimostrato che cos'è capace d'imparare. Perciò abbiamo la fondata speranza che la Congregazione per la dottrina della fede imparerà e che da organismo d'inquisizione della fede diventerà un giorno organismo di predicazione della fede, il compito che Paolo VI le ha assegnato nel decreto di riforma del Sant'Uffizio del 7 dicembre '65, che ne ha cambiato il nome. Hans Kung Copyright di « Le Monde » e per l'Italia de « La Stampa »

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