Per la "difesa,, del bello e dell'antico l'Europa ha tante buone intenzioni

Per la "difesa,, del bello e dell'antico l'Europa ha tante buone intenzioni Chiusa la conferenza del Consiglio d'Europa sul patrimonio artistico Per la "difesa,, del bello e dell'antico l'Europa ha tante buone intenzioni Avviata una politica comune di conservazione dalla Norvegia al Mezzogiorno d'Italia - La cattiva tendenza in Italia ad abbandonare le vecchie costruzioni quasi sempre inserite nell'ambiente naturale, per affastellare nuove case che divorano spazio e paesaggi ■ Gli esempi nei Paesi scandinavi e in Francia - L'uso del suolo in Gran Bretagna (Dal nostro inviato speciale) Roma, 7 luglio. La conferenza per il lancio dell'« annata europea del patrimonio architettonico » (1975) indetta dal Consiglio d'Europa si è conclusa come una vasta rassegna di opinioni non nuove (l'interminabile disputa sui metodi di intera vento nei centri storici e sul modo di rivitalizzarli, il disaccordo sulle tecniche dei restauri) coronata però da alcuni impegni comuni e da una «risoluzione» dì cui i governi dovranno tener conto. Anzitutto l'Europa è ben decisa a salvare e riutilizzare il patrimonio ereditato da secoli. Via italiana Per l'«annata europea del patrimonio architettonico» i delegati dei 27 Paesi partecipanti alla conferenza si sono accordati sul proposito di armonizzare le rispettive legislazioni (compresa quella fiscale) e le rispettive politiche in materia di difesa del patrimonio storico - artistico. Ottimo proposito, destinato però a rimanere per molto tempo sulla carta. Basti accennare alle differenze fra la pratica urbanistica in Gran Bretagna e in Italia. Si è visto nettamente che ogni Paese segue una propria «via nazionale alla conservazione», come diceva ieri Giorgio Bassani dopo aver presieduto i lavori di una commissione. La «via italiana» è forse quella più ricca di apporti scientifici e culturali e più povera di realizzazioni. Tanti dibattiti e convegni e progetti, da Venezia a Gubbio, a Bergamo, a Roma, a Bologna, hanno fruttato un patrimonio di idee che a Zurigo ci ha posto su posizioni di avanguardia teorica (col contrappeso di scarsi risultati per colpa dei politici e degli amministratori, anche per eccesso di sofisticazioni degli urbanisti e degli architetti). Fra le diverse «vie alla conservazione» quella britannica è la più elastica e pratica, affidata al rapporto bonario fra Stato, autorità locali, cittadi¬ ni, sulla base di un severo controllo dell'uso del suolo. Ne ho parlato a lungo con mr. Lloyd Warburton, direttore della «Historic Buildings Association» e con mr. Michael Middleton, segretario generale del comitato del «Civie Trust» per l'annata europea del patrimonio architettonico. «Anzitutto noi abbiamo il valido sostegno del controllo pubblico dell'uso del territorio, attuato efficacemente dal dopoguerra. Questo fatto ha contenuto le spinte speculative. In più conta molto la mentalità protezionistica, o conservatrice, degli amministratori locali e delle popolazioni, delle centinaia di associazioni volontarie che operano come cani da guardia. Generalmente non c'è bisogno di arrivare all'esproprio per imporre il rispetto di un piano e per difendere luoghi o edifici di speciale interesse. Di regola si fanno accordi con i proprietari, caso per caso». Il meccanismo britannico è semplice. Più di 150 mila munumenti o edifici di valore storicoartistico sono stati schedati e sono divenuti automaticamente intoccabili senza il permesso delle autorità locali. In più sono state catalogate 2400 «aree di conservazione» in cui è vietato demolire, costruire, manomettere il suolo e tagliare gli alberi. Se gli edifici sono in condizioni inaccettabili, i proprietari ricevono contributi per migliorarli all'interno (bagno, cucina, riscaldamento). Il sistema funziona talmente bene che nel 1972 il numero delle abitazioni restaurate ha superato quello delle abitazioni nuove. Una svolta di rilievo storico: dice quanto sia insensata la nostra tendenza ad abbandonare le vecchie costruzioni, quasi sempre perfettamente inserite nell'ambiente naturale e sociale, per affastellare nuove case che divorano spazio e paesaggi. Va anche messo in luce un fatto che smentisce luoghi comuni diffusi in Italia: il costo del recupero degli antichi edifici, compresi quelli rurali, è minore del costo di costruzione dei nuovi. A Stoccolma il consolidamento e il ripristino della città vecchia, sull'isola di Gamlastan, costa in media 30 mila lire il metro quadro contro le 120 mila dei nuovi edifici. A Copenaghen il quartiere Nyboden, occupato prevalentemente da famiglie di marittimi e ridotto in pessime condizioni, è stato risanato a spese del ministero della Marina e restituito ai residenti contro affitti moderati. In Svizzera un intero villaggio sulla valle del Reno, Werdenbeg, è stato restaurato (compresi i bagni e le cucine per 280 abitanti) con la modesta spesa di 200 milioni di lire L'intervento pubblico è sempre determinante, e lo conferma ancora la vasta esperienza inglese: 40 città di interesse storico si sono date uno speciale piano regolatore del centro antico e ricevono dallo Stato un contributo del 50 per cento nelle spese di ripristino e restauro. Tutto viene realizzato attraverso convenzioni con i proprietari. Da parte nostra i delegati dell'«Associazione dei centri storici» e di «Italia Nostra», gli urbanisti e gli esperti del ministero dei Lavori pubblici, degli Esteri e della Pubblica Istruzione (Piero Gazzola ha largamente contribuito al monumentale rapporto del Consiglio d'Europa) hanno potuto parlare più di progetti che di realizzazioni. Alcuni piani sono di valore eccezionale: Urbino, Bergamo Alta per dirne due più noti. Al nostro attivo la legge per le ville venete, la rivitalizzazione di Spoleto. Gli stranieri hanno parlato molto, e con enfasi, del piano del comune di Bologna, additandolo come un modello. Triste agonia Nella lista dei «progetti pilota» inclusi nel programma europeo per l'vannata» del 1975 figurano ancora i piani di Bologna e quelli di Verona e di Taranto (assieme ai piani di Bruges, Edimburgo, Colmar ecc.) ma il nostro ritardo è pari alla immensità del patrimonio storico-artistico italiano, il più ricco e il più abbandonato d'Europa. Per ami¬ cizia condita con un pizzico di ipocrisia, immancabile a tutte le conferenze, non ci è stato rinfacciato l'abbandono dei monumenti, la triste agonia delle ville palermitane, il disfacimento di centinaia di piccoli centri storici dal Nord al Lazio e alle isole, la condizione incredibile dei centri antichi di Palermo e di Napoli. Fiumi di parole Nelle commissioni di lavori si è parlato molto di metodi, di valori, di problemi finanziari, giuridici e sociologici anche di propaganda. Si è raggiunto l'accordo su dichiarazioni di principio (non senza contrasti dovuti anche alla presenza del Portogallo e della Grecia) per trarre dalle diverse esperienze l'avvio a una politica comune di conservazione, dalla Norvegia al Mezzogiorno d'Italia. Ma è apparso evidente che, al di là delle discussioni accademiche e dei fiumi di parole (qualcuno ha fatto discorsi sui pali e sui fili che guastano il paesaggio), il problema della conservazione e rivitalizzazione delle parti antiche dell'Europa è problema di indirizzi politici, di controllo del suolo, di interventi pubblici con partecipazione dei poteri locali e dei cittadini. Il presidente di «Europa nostra», Duncan Sandys, ha detto una cosa giusta: molto è affidato all'opinione pubblica, se scoprirà il valore civile e umano della vita nelle eredità del passato che volevamo relegare a musei, o rottami. Mario Fazio

Persone citate: Duncan Sandys, Giorgio Bassani, Lloyd Warburton, Mario Fazio, Michael Middleton, Piero Gazzola, Urbino