Un'alleanza fra le parti sociali per superare la crisi attuale di Mario Salvatorelli

Un'alleanza fra le parti sociali per superare la crisi attuale I problemi dell'industria in un'indagine compiuta dall'Ise Un'alleanza fra le parti sociali per superare la crisi attuale Occorre evitare il pericolo di passare da una economia di tipo aperto ad una chiusa e saldare la frattura sempre più ampia tra sistema produttivo e pubblica amministrazione - L'inchiesta è stata condotta da un gruppo di economisti - Proposto un ministero dell'Economia (Nostro servizio particolare) Roma, 6 luglio. Occorrono nuove formule, nuovi comportamenti di «concertazione» tra potere politico e parti sociali, se si vogliono superare le difficoltà strutturali e congiunturali che investono l'industria italiana, evitando il pericolo di passare da un'economìa dì tipo aperto ad una di tipo chiuso, «assistita» e saldando la frattura sempre più ampia tra sistema produttivo e pubblica amministrazione, cioè tra paese reale e paese legale. Alcune indicazioni per raggiungere questi scopi sono fornite oggi dall'Ise — Istituto per gli studi di economia — sulla base di indagini condotte da un gruppo di lavoro e da singoli autori: un elenco di nomi che comprende buona parte dei più noti esperti ea economisti italiani. I rimedi Per le difficoltà strutturali i rimedi proposti vanno al di là della «terapia d'urto» promessa dal presidente designato. Rumor e dei «cento giorni» posti come ultimo termine fin continuo «slittamento») da Antonio Giolitti. C'è, però, nelle indicazioni dell'Ise, un pacchetto di misure realizzabili nel breve periodo per attenuare le tensioni sociali, selezionare gli obiettivi di sostegno produttivo, restituire credibilità alla programmazione economica, aiutare l'Italia a riconoscersi come «provincia d'Europa», anziché tornare ad esserne il «giardino», ma più inquinato ed ecologicamente sconvolto di un tempo. Un'economia di tipo aperto si può evolvere nella misura in cui è in grado di sostenere la concorrenza. Ciò comporta una serie di «necessità»: non consentire rialzi del livello generale dei prezzi superiori alla media degli altri Paesi, promuovere aumenti della produttività in linea con quelli realizzati negli altri Paesi industriali, mantenere un sostanziale equilibrio nella bilancia dei pagamenti. Non si può dire che negli ultimi anni queste necessità siano state rispettate. Soprattutto dopo il «colpo di freno» del 1969, si è assistito ad un accentuarsi delle «querelles», delle polemiche e lamentele tra l'Italia e il resto d'Europa, e, all'interno, tra sistema produttivo e amministrazione pubblica, tra settore privato e aziende a partecipazione statale, fra disponibilità di capitali e forze di lavoro e la loro utilizzazione effettiva, fra raccolta del risparmio e il suo incanalamento verso impieghi produttivi. In questa involuzione — seguita alla precedente evoluzione — hanno giuocato un ruolo pesantemente negativo la mancata ricostituzione degli equilibri di produttività e redditività nelle gestioni aziendali, l'impossibilità di usare la spesa pubblica come «volano» della ripresa, il ritardo dell'Italia non solo nella ricerca tecnica e scientifica, ma anche nell'applicazione pratica dei suoi risultati. Tra le nuove formule, da decidere immediatamente, Fise propone di creare un ministero dell'Economia. Se questa soluzione «ottima» incontrasse ostacoli politici invalicabili (evidentemente è difficile « concentrare » portafogli nel momento in cui si cerca di formare un governo con quattro partiti e almeno dodici «correnti»), si potrebbe ripiegare sulla creazione di un «alto commissariato per la programmazione», dotato di prestigio e di poteri sufficienti per formulare rapidamente diagnosi e proposte operative, esercitare la necessaria pressione sui singoli ministeri, colloquiare e mediare direttamente con le Regioni, alle quali devono essere rimessi i poteri periferici e le decisioni d'interesse locale. La «concertazione» tra potere politico e parti sociali, comunque la si voglia chiamare — patto sociale, politica dei redditi, consenso delle forze che partecipano al sistema produttivo, eccetera — è il punto centrale, forse, di ogni sforzo che voglia rilanciare l'economia italiana. «L'incapacità dello Stato a realizzare un'effettiva politica di programmazione», afferma il rapporto dell'Ise, è dimostrata dal fatto che si è lasciato maturare l'equivoco che per politica dei redditi si possa intendere uno strumento politico rivolto al contenimento delle remunerazioni dei fattori di produzione più «visibili», in sostanza le paghe dei lavoratori, anziché — come in realtà è — un capitolo della programmazione generale. Una politica dei redditi, invece, deve controllare anche le rendite patologiche e le manifestazioni corporative, garantire la destinazione di una quota adeguata delle capacità produttive ai servizi sociali, evitare un rapporto rigido tra salari, produttività e prezzi, tener conto delle caratteristiche dei vari settori e comporre le diverse tendenze da cui dipendono gl'incrementi della produttività, la struttura dei salari e la dinamica dei prezzi. Per attuare una tale politica, secondo il rapporto dell'Ise, occorre innanzi tutto individuare le forze (o le «sezioni di forze») politiche e sociali in grado di comprendere ed accettare queste prospettive, quindi consolidarne la consapevolezza, agevolarne la convergenza, appoggiarne l'azione. Squilibri Per questo sforzo comune, che l'Ise definisce «alleanza di prospettiva», non si possono ancora individuare con certezza le forze disponibili (salvo, forse, le Regioni che tra l'altro hanno il vantaggio di essere istituti nuovi, meno «condizionati da incrostazioni del passato»;. Si possono, invece, indicare le forze «non disponibili», in prima fila la pubblica amministrazione, nella sua struttura burocratica cristallizzata, nella sua «lentocrazia», non solo perché tradizionalmente nemica delle innovazioni già recepite dal corpo operativo e sociale del paese, ma anche «luogo di coagulo di tutte le forze, politiche e di pressione in senso deteriore, che a tale evoluzione fanno freno». Per sanare lo squilibrio tra la «perversa espansione» delle spese correnti (stipendi, eccetera) e i ritardi nei pagamen ti dei debiti contratti e negli investimenti, da parte dell'amministrazione pubblica, l'Ise suggerisce alcune misure, con effetto «vaso-dilatatorio» delle peggiori strozzature. La costruzione di opere d'interesse pubblico, come scuole, ospedali, case popolari, potrebbe essere affidata ad «agenzie», sottoposte al controllo dei rispettivi ministeri ma libere da impacci burocratici, oppure a consorzi d'imprese, o anche a società a partecipazione statale, uniche responsabili nei confronti del governo ma che a loro volta potrebbero distribuire i lavori in gran parte a società private. Sulla via delle riforme sociali, per diminuire le tensioni al di fuori e all'interno dei cancelli delle fabbriche, si potrebbe anche adottare la tecnica del «leasing» immobiliare, consistente nell'autorizzare enti locali (Regioni, Province, Comuni), singolarmente o consorziati, a valersi d'imprese costruttrici per opere d'interesse pubblico, che verrebbero poi assunte in gestione dall'ente. Per accelerare la spesa pubblica, in sostanza, esiste un ventaglio di «scorciatoie» che, in attesa della «grande riforma» sarebbe più che sufficiente ad agitare la stagnante atmosfera burocratica, causa non ultima del ristagno economico del quale, tra l'altro, ha fatto le maggiori spese proprio il Mezzogiorno, il cui sviluppo è da decenni considerato il problema prioritario della politica economica del Paese. Il principio che gli «oneri impropri» addossati per finalità sociali ad imprese pubbliche e private debbano venir compensati dalla mano pubblica, l'elaborazione di uno «statuto delle imprese», che presupponga un comportamento più «trasparente» e parità di trattamento tra operatori grandi e piccoli, pubblici e privati, sono altre indicazioni del rapporto Ise che dovrebbero anche facilitare la ricerca e il raggiungimento del «meccanismo di consenso» fra le parti sociali e che potrebbero «dare contorni meno imprecisi à quello che è stato sinora genericamente indicato come un nuovo modello di sviluppo». Mobilità Nelle indicazioni a medio e lungo termine, che interessano più la struttura che la congiuntura (anche se ci si potrebbe chiedere se questa distinzione ha ancora un senso o non serva piuttosto da alibi per rinviare sempre e tutto nel tempo), un posto fondamentale è attribuito alla «mobilità dei fattori produttivi»; una miglior tutela delle nuove imprese, con un quadro di accoglienza, un quadro di convenienze e un quadro di stabilità, dovrebbe agevolare la mobilità delle capacità imprenditoriali e dei capitali, anche provenienti dall'estero. Per le forze di lavoro in transito da un posto all'altro si chiedono strumenti solleciti di riaddestramento e un adeguato compenso (un «salario sociale»). Nel problema della mobilità delle forze di lavoro s'innesta quello più ampio di una completa revisione della politica dell'occupazione, che deve puntare al massimo impiego, alla massima qualificazione professionale, alla riduzione delle fasce di sottoccupazione o di lavoro parzialmente improduttivo per trasferire le unità in tal modo liberate verso impieghi economicamente e socialmente più produttivi per i singoli e la comunità. L'economia, e la programmazione che dovrebbe guidarla, attendono un rilancio, ma operativo, non un «rilancio per documenti». Un esempio: i rapporti tra industrie e territorio devono uscire dalle «enunciazioni rituali», e distinguere, nella scelta delle localizzazioni, tra imprese ad elevata o a bassa occupazione, ad alto o basso potere inquinante, tra quelle con elevata tecnologia e forte potenziale di crescita e quelle trasformatrici della produzione agricola. Tutto ciò presuppone continuità di rapporti e responsabilizzazione degli attori più direttamente interessati: Regioni, imprese, sindacati. «Senza di che — conclude l'Ise — gran parte delle proposte di questo documento mal saprebbero scendere dal regno delle astrazioni sul terreno concreto d'uno sviluppo sostenuto». Mario Salvatorelli

Persone citate: Antonio Giolitti, Rumor

Luoghi citati: Europa, Italia, Roma