I socialisti giolittiani

I socialisti giolittiani Problemi che tornano I socialisti giolittiani « Attività parlamentare dei socialisti italiani », voi. Ili, 1904-1909, Roma, 1973, pagine 555. E' il terzo volume dell'opera ideata da Vera Modigliani, e che si compie con la collaborazione di Vittoria Pugliese Silva. Questo volume ed il precedente mi fanno sorgere il desiderio che un'opera analoga a quella sui radicali di Sandro Galante Garrone venga dedicata ai socialisti riformisti (non importa se allora non chiamati tali, e se poi si scissero in formazioni diverse) dei primi dieci anni del secolo. Un tal libro potrebbe poi essere il tessuto di un'opera su quei primi dieci anni, dal ministero Zanardelli alla guerra libica, il decennio della borghesia progressista, tra radicale e socialriformista, il periodo della popolarità di Vittorio Emanuele III, che si sente in questa direttiva, che si sa anticlericale, mal sopportante la Triplice alleanza, gli uomini che furono cari a suo padre, nonché della regina Elena, che non sfoggia intellettualità, è la regina borghese, nelle udienze che concede parla sempre di famiglia e di figli. Questi socialisti sono di formazione, di educazione borghese, quasi senza eccezioni; e non vogliono far cadere le mura maestre dello Stato; lo vogliono trasformato, che adatti i suoi istituti alle trasformazioni che esso medesimo ha subito. Hanno idee chiare. Turati in un intervento alla Camera del giugno 1906, a proposito del diritto o meno di sciopero dei ferrovieri, dice: « Mettete pure lo stemma reale sulla bottega di un tabaccaio, non per questo lo avrete spogliato della sua qualità fondamentale di mercante... L'operaia delle manifatture tabacchi rimane un'operaia, l'arsenalotto rimane un metallurgico. E' naturale che gli strumenti che servivano a dirimere gli eventuali conflitti tra il Governo e gli impiegati vecchio stile (prefetti, questori, magistrati) non servono più affatto di fronte ai conflitti nuovi... Quello che importa è di evitare lo sciopero, ma di evitare ad un tempo la servitù del lavoratore, destituito senza adeguati compensi del diritto naturale di coalizione che ancor oggi è l'unica trincea difensiva dei lavoratori delle grandi industrie ». Il rimedio è una magistratura probivirale, una sorta di arbitrato. E soggiunge: « Fra i pregiudizi che permangono anche in questa Camera vi è quello che i socialisti amino o difendano il fatto dello sciopero nei servizi pubblici. Ora tutto lo spirito del partito e dell'ideale socialista ripugna a questa supposizione»; egli ha sempre combattuto non il diritto, ma il fatto dello sciopero nei servizi pubblici; ma per poterlo giustamente combattere è necessario dare ai lavoratori quella garanzia del giudizio probivirale in cui siedano anche le loro rappresentanze. Siamo molto lontani dall'idea dello sciopero di alti funzionari dello Stato. E nella discussione generale sul bilancio del ministero della Guerra del dicembre dello stesso anno, sentiamo Claudio Treves: « // socialismo non contrasta come partito alla concezione del vostro ordine pubblico e neppure della patria. La patria è nel socialismo come un momento progredito del movimento della consociazione umana, un circolo più ampio e concentrico di quello della famiglia e del Comune. E poiché è scomparsa la guerra tra le famiglie, tra i castelli feudali, tra i Comuni, non è possìbile sperare che la guerra sparirà tra le patrie, quando sarà possibile la federazione tra le patrie? E la vediamo questa federazione tra le patrie, che va formandosi per il continuo moltiplicarsi dei rapporti, degli interessi solidali delle diverse nazioni, che stringono non solo convenzioni economiche, ma patti di arbitrato ». Non mancano le preoccupazioni per la buona amministrazione. L'on. Pescetti vuole si fissi un limite massimo di tempo, inderogabile, per le missioni degl'impiegati presso unici diversi da quelli cui sono organicamente assegnati; Giacomo Ferri si preoccupa dei professori universitari che non lavorano, che non tengono neppure le cinquanta lezioni regolamentari. Va da sé che non manca qualche raccomandazione di carattere strettamente locale, ma non abbondano. La nota anticlericale ricorre spesso, ma non è però quella dominante (c'è persino un attacco alla regina madre Margherita, che avrebbe ottenuto per i frati di S. Francesco a Ripa l'orto della caserma dei bersaglieri attigua, da cui si estraevano erbe e legumi che completavano il rancio). Ci sono, va da sé, continue lagnanze per interventi ingiustificati della polizia, per divieti di prefetti, per maltrattamenti nelle carceri (e par di sognare a sentire che il prefetto di Napoli aveva vietato la rappresentazione de I figli del sole di Gorki). Il volume è preceduto da una prefazione di Gaetano Arfè che rammenta come col 1904 l'ondata sindacalista-rivoluzionaria avesse investito la compagine del partito (Turati ricorderà in un suo discorso quanto spesso sia stato fischiato in comizi) e come questo gruppo dirigente sindacalista fosse costituito da intellettuali afflitti da estremismo dottrinale e da uomini di avventura, parecchi dei quali finirono poi nel fascismo, passando per l'interventismo. Cosi Giolitti che Turati — per Arfè — hanno ancora il culto del parlamentarismo. Giolitti non è più riformatore di quanto sia stato in passato; egli crede ora che quando il partito socialista si sia assestato su proprie basi, con un proprio programma riformistico, accantonerà ogni finalismo palingenetico; non guarda, oltre il partito, il movimento che ne costituisce la base da cui la deputazione socialista non può distaccarsi. Ripeto: ricca documentazione, preziosa per quella storia che vaticino del primo decennio del secolo. ^ jem0|0

Luoghi citati: Napoli, Roma