Gli "amori gialli,, di Giovanni Bogliolo

Gli "amori gialli,, Tristan Corbière, il dimenticato Gli "amori gialli,, Tristan Corbière, « Gli amori gialli», Ed. Addenda, pagine 345, lire 4500. In occasione del centenario della pubblicazione delle Amours jaunes una giovane casa editrice romana, integrando un nucleo di precedenti traduzioni di Enzo Siciliano con versioni originali di Renzo Paris, ha approntato per il lettore italiano la prima edizione completa dell'opera di Corbière. Questa isolata commemorazione di una delle date capitali nella storia della poesia contemporanea meriterebbe più che una segnalazione, se la limitata tiratura, la mancanza di uno studio introduttivo, la stessa discordanza di registro interpretativo tra i due traduttori (libero ed allusivo quello del Siciliano, quasi esclusivamente preoccupato della lettera quello del Paris) non accentuassero il carattere occasionale della pubblicazione e non sembrassero premesse poco propizie ad una più ampia e matura divulgazione dei poeta bretone. A cent'anni di distanza, quello dell'isolamento e del l'incomprensione continua ad essere il destino di Corbière. « Poeta contumace » nella breve vita, alla sua fama postuma non sono bastate le credenziali di un Verlaine, né l'attenzione di lettori prestigiosi come Breton o Pound, né la stampa nella Plèiade. Nella migliore delle ipotesi — e malgrado i notevoli stimoli critici di questi ultimi anni — si è perpetuata la superficiale e colorita immagine proposta da Verlaine: « Corbière fu Bretone, marinaio e sdegnoso per eccellenza», si è continuato cioè a leggere Gli amori gialli come il dolente e sarcastico breviario di un'esistenza stravagante e fallimentare, a insistere sul dato biografico che il libro effettivamente disegna con straordinaria icasticità, mettendo nel conto della stranezza del personaggio le sorprendenti innovazioni tecniche e stilistiche dei suoi versi piuttosto che riconoscervi una nuova e ancora immatura poetica. A leggerli in superficie, Gli amori gialli (ma il primo problema nasce già col titolo, con la difficile decifrazione del valore allusivo di quel colore: amarezza? tradimento? autoironia?) sono il diario poetico di un rate: i sogni d'avventura e d'amore del giovane poeta, la speranza di emulare le imprese marinare del padre e di conquistare l'amore di Marcelle, sono destinati a un precoce fallimento. La salute malferma gli consente solo misere parodie delle prime, la sua goffaggine e la cinica indifferenza della donna frustrano ogni possibile idillio. Anche la fama letteraria sembra irraggiungibile per il figlio dello scrittore di successo Edouard Corbière, dedicatario (e mecenate) delle Amours jaunes. Tutto il mondo poetico dello scrittore si orienta attorno a questi due temi ossessivamente sondati e contrapposti con elementare manicheismo: da un lato, Marcelle e Parigi, la donna che lo ignora e lo tradisce e la città che lo respinge, il «formicaio e bazar I dove niente è di pie¬ tra I e il sole non ha musica », la metropoli caotica e inumana che relega il poeta nel ghetto della bohème; dall'altro, la Bretagna e il mare, il mondo primitivo e genuino della provincia natale dove almeno nella lingua e nel folklore si respira l'eco di una antica felicità. Se Corbière è stato uno del primi poeti ad avvertire la tragica sensazione della solitudine in mezzo alla folla della città moderna, è stato soprattutto il cantore della rude e fiera anima bretone, della sua colorita religiosità, del suo elementare e profondo dialogo con l'impervia natura. Ma entusiasmi e delusioni, speranze ed amarezze sono sempre soggetti all'implacabile sferza dell'ironia. «-Rido... perché questo mi fa un po' soffrire »: questo verso potrebbe essere l'insegna di una poesia che ha fatto del sarcasmo, della buffoneria, deH'ftumour noir l'estrema risorsa del pudore di sentimenti che non sanno contenersi. Nel rogo del sentimentalismo letterario (.«Lamartine:... inventore della lacrima scritta I lacrimarlo d'abbonati ») Corbière sacrifica tutta la tradizione letteraria e consuma rabbiosamente le proprie pene; ogni accenno d'abbandono lirico viene subito ridicolizzato — a volte anche grossolanamente — con una fantasiosa parodia o un atroce sberleffo: « E io proprio, pen¬ daglio da forca, la sfioro... E Lei I mi guarda sottecchi... un sorrisino I mi tende la mano e... mi dà due soldi». Il tessuto prosodico subisce tutto il peso di questa interna contestazione e acquista cadenze e risonanze inusitate: nasce una sorta di antipoesia, dove le libere associazioni verbali e le clamorose dissonanze lasciano presagire addirittura trame surrealiste, come nel delirio onirico della «Litania del sonno»: «Sonno! Ladro notturno! Folle-brezza estasiata! I Profumo che sale in cielo dalle tombe profumate! I Carrozza di Cenerentola che cancella le Tracce! I Osceno Confessore di bigotte nate-morte! ». Si possono certamente avanzare dubbi e riserve sulla chiarezza e la consistenza di un Corbière precursore, ma la rottura che egli opera nelle convenzioni liriche rimane la prima e la più radicale nella storia della poesia. Ridicolizzando il suo pianto e il suo canto, il poeta cerca disperatamente di soffocare sotto la musica sgraziata del tire faune l'angoscia e la disperazione. Il maledettismo e la grandezza di Tristan stanno appunto lì, nel masochistico rifiuto di una poesia che sia consolazione, anche soltanto estetica, o possibile alternativa alla realtà, negli accordi dissonanti e straziati di una « àme et pas de violon ». Giovanni Bogliolo

Persone citate: Breton, Bretone, Enzo Siciliano, Pound, Renzo Paris, Sonno, Tristan Corbière, Verlaine

Luoghi citati: Parigi