A Fossano, Briga era conosciuto da tutti gli hanno dato l'addio come ad un amico

A Fossano, Briga era conosciuto da tutti gli hanno dato l'addio come ad un amico Pagato il suo debito, Giuseppe Faletto è tornato libero dopo 18 anni A Fossano, Briga era conosciuto da tutti gli hanno dato l'addio come ad un amico Oltre la porta del carcere, strette di mano, scambio di saluti e auguri - Usciva spesso, per sbrigare piccole commissioni ed era diventato popolare - Piccolo, magro, scavato dalla malattia, ha nostalgia di Torino: "Farò il giardiniere, come per tanti anni qui dentro" Il portone in ferro del carcere di Fossano si è aperto ieri alle 9,30 e Giuseppe Faletto detto « Briga », scontati 18 anni per sette omicidi, è uscito in libertà. SI era messo due pomodori In tasca per lanciarli al giornalisti e ai fotografi se l'avessero avvicinato. Ma non c'era nessuno. E' salito su un'auto del carabinieri, si è recato a Cuneo dal giudice di sorveglianza che gli ha dato le seguenti disposizioni: per tre anni sarà sottoposto a vigilanza, dovrà una volta alla settimana presentarsi al più vicino posto di polizia. Alle 10,30 era già di ritorno; davanti all'Ingresso del penitenziario sostavano giornalisti, fotografi, operatori della televisione, ma anche questa volta Faletto è riuscito ad evitare tutti, coprendosi il volto con la giacca e infilandosi di corsa nel portone. Andava a salutare, per l'ultima volta, le guardie carcerarie e gli amici detenuti che per tanti anni, dal 1962, sono vissuti con lui. Alle 11 un sottufficiale degli agenti di custodia ha aperto uno spioncino ed ha annunciato: «Faletto non esce se et siete voi, non vuole vedere nessuno». Mezz'ora dopo, da Torino, sono arrivati quattro amici di « Briga », ex capi partigiani che gli sono stati vicini dal giorno dell'arresto alle incandescenti udienze del processi, ai lunghi, monotoni giorni di prigione. « Gli parliamo noi — hanno detto — e lo convinciamo a ricevervt e a scambiare quattro parole. Ma ad una condizione: il passato è passato, non fategli domande sul periodo partigiano, sulle azioni di guerra, sulla morte di Codecà. Noi, come lui, sappiamo tutto, conosciamo la verità. Ma non possiamo rivelarla, altrimenti tante persone salterebbero... ». A questi patti, finalmente, Giuseppe Faletto è uscito. Piccolo, magro, scavato dalla malattia di petto, ma 11 passo ancora svelto e sicuro, si è diretto al bar per la conferenza-stampa. Al suo pas¬ saggio la gente si affacciava alla finestra, usciva dalle botteghe, gli si faceva attorno. « Salve Faletto, auguri, congratulazioni ». « Ehi, Faletto, bravo, stia bene ». « Arrivederci Faletto ». Lui, sorridente, stringeva mani, salutava, volgeva il capo da un lato all'altro della via. « Scusate — ha detto strada facendo — vado a salutare la panettiera ». E poi: « Un mo- mento, saluto il macellaio, grazie, l'ultimo filetto che mi ha mandato era squisito ». Una donna dal balcone: « Saluti sua moglte, buon viaggio ». Il perché di tanta popolarità è presto spiegato. In questi ultimi anni « Briga », che in carcere faceva 11 giardiniere e accudiva alle pulizie, aveva la possibilità di uscire, da solo, due volte al giorno, per portare gli avanzi del cibi agli animali del mini-zoo che sorge alle spalle del penitenziario. Talvolta faceva una commissione, sempre sotto lo sguardo delle sentinelle che passeggiano sugli spalti e sostano nelle garitte. Gli abitanti di Fossano l'hanno conosciuto cosi, e hanno cominciato a volergli bene. Come Giuseppe Osenda, 11 responsabile del mini-zoo, col quale Faletto trascorreva 1 pochi minuti di libertà e contava i caffè che lo separavano dalla libertà vera (« ogni caffè un giorno », 11 conto alla rovescia lo faceva cosi). Al bar, la breve chiacchierata. « Qual è stata la prima impressione avuta, appena varcata la soglia del penitenziario? ». «Quella di vedere voi», ha risposto Faletto, serio, sorseggiando una bibita. « E' vero che ama Fossano e vorrebbe ventre ad abitare qui? ». « No, ci sono stato fin troppo ». « Pensando a Torino, quale nostalgia prova? ». « Ho voglia di rivedere mia moglie, i miei suoceri, la mia casa ». « Cosa pensa di fare, adesso? ». « Anzitutto riposarmi, prima in montagna e poi al mare. Dopo, cercherò un lavoro: farò il giardiniere, come l'ho fatto per tanti anni qui dentro ». « Come si sta in questo carcere? ». « Bene, direi benissimo. Non c'è carcere migliore ». La sua storia passata la ricaviamo dalle vecchie cronache giudiziarie. Fu arrestato il 5 luglio '55, sospettato di aver ucciso con un colpo di pistola ring. Codecà, direttore della Fiat-Spa. Da questa accusa fu assolto per Insufficienza di prove, ma venne riconosciuto colpevole di una serie di omicidi compiuti nel '44 e nei primi mesi del '45. Difeso dall'aw. Armando De Marchi, fu condannato all'ergastolo: la pena venne ridotta poi a 20 anni, di cui due condonati. Secondo la corte d'assiste di Torino, la corte d'assise di Genova e la Cassazione, Faletto si rese responsabile di reati comuni. Secondo la difesa, di reati politici. Uccise a raffiche di mitra due universitari In abiti borghesi, appartenenti alla repubblica di Salò; eliminò ima panettiera di Caselette e suo figlio, estraneo, pare, alle idee politiche della ma¬ dre; assassinò una donna nella campagna di San Gillio, un sergente della polizia repubblichina che camminava disarmato, un fattore che non voleva cedergli la sua mucca. Delitti politici, delitti comuni? Forse l'uno e l'altro, perché maturati e compiuti nel clima violento di fine-guerra, dove le torbide passioni umane e confuse ideologie spesso si confondevano.