«Messaggero», retroscena oscuri di Michele TitoFrancesco Santini
«Messaggero», retroscena oscuri L'opinione pubblica vuole sapere che cosa c'è dietro «Messaggero», retroscena oscuri Roma, 5 luglio. Il Messaggero vanta in questi giorni i segni di solidarietà che gli vengono da tutte le parti, anche dalle forze che in passato ne criticavano l'atteggiamento; e ha ragione di farlo. La sua vicenda con la vendita di metà della proprietà e la nomina, ancora contestata e perciò inaccettata, di un nuovo direttore, investe, alla fine, il problema della libertà di stampa. Il Messaggero è il primo giornale di Roma, con centinaia di migliaia di lettori e un suo stile, un suo indirizzo che si è precisato, mutando la società italiana, nel rifiuto del conformismo reticente, tipico della tradizione romana, nella difesa dei valori laici e nel sicuro antifascismo. Il patrimonio di impegno civile che il giornale rappresenta è una realtà concreta. E l'azienda è prospera. Poiché si fa sempre il discorso delle leggi di mercato e dei diritti delle proprietà, il successo deve pur contare qualcosa. Se davvero non c'erano piani politici dietro l'operazione di acquisto della metà del giornale, non si capisce perché le cose siano state fatte come sono state fatte: misteriosamente, brutalmente, all'insegna del proposito di dare una manifestazione di forza magari vendicativa. Tutto fatto in modo da rendere poco credibili le affermazioni del « nulla cambia » con quel che ovviamente segue. Tutto, infine, fatto come se si volesse lanciare una sfida e come se alcuni gruppi, attuando attraverso il denaro una strategia di conquista dei mezzi di informazione, volessero affermare la forza di un potere irresistibile. Come dire: vi conviene rassegnarvi e tacere. E' difficile credere che ci sia stata innocente imprudenza, e che dietro l'« editore puro » che ha comprato non ci sia nessuno. Vi sono momenti e circostanze in cui l'acquisto di un giornale, che è cosa diversa da un qualsiasi « bene », equivale a una confisca. La magistratura deciderà sulla validità, messa in discussione, delle deliberazioni della nuova proprietà sulla direzione; ma la direzione attuale, che rappresenta metà della proprietà, gli operai, i tipografi e i lettori hanno tutte le ragioni di rifiutarsi di sottostare a pretese che hanno retroterra oscuri. Sono pretese che rendono le cose più gravi: rivelano una straordinaria capacità di commettere sbagli peggiori di delitti e di coinvolgere, di pasticcio in pa¬ sticcio, le nostre libertà. I finanziamenti segreti e le protezioni politiche, se ci sono (e ci saranno), sono misteri che riguardano tutti: non si possono pretendere, oggi come oggi, il silenzio del fair-play e le eterne « pazienza e fiducia » che alcune forze politiche raccomandano. Gli errori della vittima, se ci sono stati, non sono un argomento valido, e il fatto che il direttore che resiste sia anche in parte proprietario dell'azienda non giustifica la resa. E' il principio che obbliga alla solidarietà. In questa vicenda ci sono certo uomini ingenui, come il direttore nuovo che non ha potuto insediarsi. Era il meno che potesse aspettarsi, ma, portatore di un nome illustre, Luigi Barzini, ripete tranquillamente di non sapere perché non lo accettino con entusiasmo: «Il mio nome — dice — è una garanzia». Accade che quel nome si sia trovato coinvolto nel gioco di gruppi e forze tanto desiderosi di potere incontrastato quanto incapaci di capire in che mondo viviamo. Ci sono infine contraddizioni pericolose: Il Messaggero si rivolge, in nome della difesa dell'autonomia del giornale e dell'indipendenza della stampa dalle in¬ fluenze del potere politico, al governo e ai partiti della maggioranza. Ricorre, per rimanere com'è, a coloro da cui in primo luogo l'autonomia di un giornale va difesa. C'è il rischio di dar vita a un precedente: si riconosce al potere politico un diritto d'intervento nelle faccende dei giornali, una specie di dovere di tutela. Il guaio è che la stampa scritta non è il monopolio di Stato della televisione, e il precedente non è rassicurante. Se purtroppo il rischio dev'esser corso, deve almeno esser chiaro che l'appello alle forze politiche è adesso una messa in mora: è un invito a ripristinare una situazione di reale normalità dietro la normalità apparente. Una parte del potere politico inadempiente, protettore di alcuni portatori di denaro, o complice perché intollerante, ha ceduto a indebiti esercizi di influenza. Né Il Messaggero né altri chiedono protezioni o tutele. Per tutti, e per la libertà di stampa, occorre che ciascuno faccia il proprio mestiere. Michele Tito (A pagina 18, Barzini ha denunciato Perrone, di Francesco Santini^.
Persone citate: Barzini, Luigi Barzini, Perrone
Luoghi citati: Roma
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