Seimila euro-impiegati di Vittorio ZucconiMauro Vallinotto

Seimila euro-impiegati LA "COMUNITÀ A NOVE,, DOPO NOVE MESI Seimila euro-impiegati A Bruxelles, la capitale, affluiscono sempre nuove reclute: dai tecnici ai dattilografi agli uscieri - Si costruisce, si discute, si prendono impegni - Quanto ai fatti reali, le cose vanno meno bene, a rilento; l'integrazione europea per molti aspetti va addirittura all'indietro - Il ruolo di "freno" attribuito all'azione italiana (Dal nostro corrispondente) Bruxelles, 3 luglio. «Ne arrivano sempre di nuovi — mi dice un alto funzionario della Cee — e non sappiamo più dove metterli»: ogni giorno burocrati freschi si aggiungono ai seimila dipendenti della Comunità che lavorano a Bruxelles e, a macchia d'olio, nuovi uffici vengono affittati intorno al nucleo centrale del palazzo Berlaymont, sede della Commissione. L'eurocrazia si estende, sotto la spinta delle reclute inglesi, danesi, irlandesi. A questo punto, gli speculatori edilizi e i proprietari di casa bruxellesi non hanno dubbi: la nascita della «grande Europa», con scandinavi e inglesi accanto a latini e sassoni, è un successo. Purtroppo, i progressi della integrazione europea non si misurano con l'indice degli affitti e con gli organigrammi aziendali. La Cee a «nove» ha finora offerto più delusioni che risultati. La seconda tappa Sono passati nove mesi dal Vertice dei capi di governo a Parigi: è dunque il tempo di una gestazione, ma dai programmi concepiti allora, già considerati da molti minimalisti, ben poco è nato. In campo monetario, ad esempio, per un Fondo di Cooperazione che nasce, con una «dote» tuttavia irrisoria, c'è un «serpente» che agonizza, disertato da tre monete (la lira e le due sterline) e scosso all'interno dal marco troppo in salute per i suoi anemici compagni di viaggio. La scorsa settimana, nel Lussemburgo, tre ministri delle Finanze hanno finalmente detto la verità, sia pur interessata: questa Unione Economica e Monetaria non esiste in pratica, non progredisce, non ha speranze di balzi in avanti a breve scadenza. Che senso avrebbe proclamare il primo gennaio prossimo l'avvento della «seconda tappa» quando la prima è ancora in attesa del segnale dello starter? Il caso della integrazione monetaria è il più drammatico della attuale congiuntura comunitaria: l'inizio della seconda tappa fu infatti fissato dal vertice stesso, rinviarlo significherebbe sconfessare con i fatti le parole dei politici e violare un impegno solenne. «Pacta sunt servando», i trattati si rispettano, ricordava giustamente Malagodi ai suoi colleghi e ai giornalisti nel Lussemburgo che avrebbe avuto ancor più ragione se avesse ricordato che anche l'impegno di ridurre le oscillazioni di cambio fra le monete dei Nove (il serpente) era un pactum sottoscritto e poi non seguito dall'Italia Ma il problema non è cercare i colpevoli: non ci sono «buoni e cattivi» sulla lavagna della Cee, ma interessi nazionali da difendere, come sta ora accadendo, possono contrastare con le buone intenzioni europeistiche, frustrando le attese. Entro il 31 dicembre 1973, aveva detto ad esempio il Vertice, deve nascere la «politica regionale», la Comunità deve intervenire, soldi alla mano, in favore delle aree a reddito più basso come il Mezzogiorno o la Scozia. Finora, riprendiamo ancora Malagodi, abbiamo raccolto «soltanto chiacchiere, per quanto incom^ gianti». Le istituzioni Cee hanno fatto quanto dovevano, preparato le proposte, gli studi necessari. Il commissario responsabile, l'inglese Thompson e il suo più stretto collaboratore, l'italiano Ruggiero, non aspettano che un «sì» dei ministri e la firma sotto un assegno che essi vorrebbero di un miliardo di dollari. E' tutto sospeso e la seconda tappa salterà, con essa verrà probabilmente rinviata, o puramente ridimensionata, anche la politica regionale, per la quale francesi e tedeschi non vogliono pagare. Tutto rinviato Entro il 30 giugno scorso i ministri degli Esteri avrebbero dovuto preparare un rapporto impegnativo sulla cooperazione politica intereuropea, disse ancora il Summit: tutto rinviato a luglio. Alla stessa data, i Nove avrebbero dovuto riformare le procedure interne di dibattito e di decisione, concepite (male) per una Europa dei «Sei» ed ora semiparalizzata dall'allargamento, com'era fin troppo prevedibile. Per la fine dell'anno, il calendario («scadenzario» nel linguaggio degli eurocrati) del Summit prevede ancora: un programma di azioni sociali, una strategia in campo scientifico e tecnologico, un programma per la difesa ecologica, una politica comune di approvvigionamento energetico, la coordinazione de- gli aiuti allo sviluppo su scala mondiale e, per dare anche un tocco politico, i primi passi verso la Unione Europea. In più, c'è l'ordinaria amministrazione, o le scadenze già previste come il rinnovo degli accordi con i diciotto Paesi africani associati alla Cee o lo studio di una nuova politica agricola per l'Europa. Non è certo poco. Una cosa è sicura: molte «maratone», molle notti bianche attendono ministri, funzionari, giornalisti europei. E il lavoro più duro spetterà, come sempre, al gigantesco apparato burocratico della Cee, quello che deve preparare proposte e documenti che i ministri respingeranno. In un racconto, il celebre scrittore americano di fantascienza Asimov descrisse la vita di una città del futuro, completamente automatica ma vuota di abitanti, fuggiti per il terrore atomico. La città-robot, efficiente e ostinatamente fedele alle consegne ricevute continua implacabile a produrre pane, cibi e vestiti che nessuno raccoglie più e che netturbini-automi gettano via ogni sera. Un meraviglioso meccanismo costretto a girare in folle, ad amministrare non altri che se stesso. Oggi, la città-robot della Commissione Cee, sempre meno fecondata dalla volontà politica dei nove Paesi, lavora a pieno regime, ma a vuoto per rispettare, almeno lei, il dettato dei programmatori del vertice. "Crisi di rodaggio" Secondo Ortoli, presidente della Cee, è una «crisi di rodaggio» provocata dall'allargamento a nove. «Nonostante tutto — ha detto — andiamo avanti e le nostre strutture hanno retto l'urto». Ma anche l'ottimismo, pur doveroso, di Ortoli, non può nascondere le inquietudini per il futuro della Comunità. Non tanto per il rispetto formale dello «scadenzario», quando per l'atteggiamento di fondo dei governi membri. L'arrivo dell'Inghilterra ha cambiato i connotati politici della Cee, anche se non ha finora accelerato i tempi di una maggiore democratizzazione della Comunità, fondata sul Parlamento, il cui potere di controllo e di intervento resta scandalosamente nullo, come ricorda il commissario italiano Spinelli, inascoltato «grillo parlante» di Bruxelles. La Francia non vuol cedere una antica leadership, ma la Germania non accetta, soprattutto dopo il successo della Ostpolitik, il ruolo di nano politico che paga per tutti con la sua ipertrofia economica. I rapporti di forza tra i Nove sono insomma rimessi in causa, ma al vecchio ordine non si è finora sostituito nulla. E il tempo delle scelte marginali sta scadendo: i Paesi europei hanno sfogliato quasi per intero il carciofo delle decisioni minori, delle vaghe promesse per domani. Oggi siamo arrivati al cuore politico: o lo si addenta o la macchina si arresta. Infine, c'è il «problema Italia». A Bruxelles molti si attendono dal nuovo governo italiano una nuova politica europea, che frutti una nostra presenza più incisiva e convocazioni meno frequenti, dinanzi alla Corte di Giustizia del Lussemburgo, di cui siamo clienti troppo assidui da anni. Da noi. ci si attende cioè finalmente un ruolo di acceleratori, e non di frenatori di fatto, all'integrazione europea. Ma anche il «problema Italia» merita un qualche ridimensionamento e un maggiore equilibrio di giudizio. Il caso del «serpente» con le sue conseguenze sulla lira, ha fatto scoprire anche a una parte dell'opinione pubblica indifferente da sempre alle questioni del Mercato Comune l'esistenza di un'Europa comunitaria. Ma è stata una scoperta solo negativa, sovente strumentale. Si gioca oggi a «scoprire gli altari» dopo averli coperti per anni nel trionfalismo o nel tecnicismo. Ma ben pochi si preoccupano di spiegare finalmente all'«uomo della strada» che cosa sia questo «altare» comunitario. E si perpetua così quel distacco fra opinione pubblica e costruzione europea che offre il terreno migliore ai rinvìi e alla lentezza degli uomini politici a Bruxelles, anche a dispetto dei solenni Vertici. Vittorio Zucconi Bruxelles. Impiegati degli uffici italiani fanno colazione nella caffetteria del palazzo della Cee (Foto Mauro Vallinotto)

Persone citate: Asimov, Malagodi, Thompson