I cari inganni della memoria di Nicola Adelfi

I cari inganni della memoria VOI E NOI I cari inganni della memoria Diverse settimane fa a Roma, durante gli esami scritti di un concorso per uditori giudiziari, la polizia intercettò un fìtto colloquio, mediante apparecchi radio, tra suggeritori esterni e aspiranti alla carriera giudiziaria; e io feci qui alcune considerazioni sul livello morale dei giovani gaglioffi che, se non fosse stato scoperto il trucco, forse avrebbero vinto il concorso e poi, proprio loro, proprio quei ribaldi, avrebbero amministrato la giustizia, ovviamente con criteri connaturali alla loro mentalità, senza farsi scrupolo di « vendere » le sentenze al migliore offerente. Di lì a poco mi arrivò da Palermo un biglietto del professor Ignazio Gulotta, e ne riferisco i punti principali: « Le è capitato di leggere quel che scriveva circa 70 anni fa, a proposito dei magistrati, Olindo Guerrini? Probabilmente no, trattandosi di un libro che oggi non si trova più nelle librerie o sulle bancarelle. Le mando perciò le copie fotostatiche di alcune pagine, che oggi nessuno oserebbe stampare senza il pericolo di vedersi l'indomani indiziato di reato di vilipendio ». Dice bene, professor Gulotta. Ed ecco alcuni brani, sfrondati del superfluo, di un articolo che impunemente poteva scrivere nel maggio 1904 quella mala lingua di Olindo Guerrini, più noto con lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti. «L'estate scorsa, io e un amico mio assistevamo a uno di quei processi che si celebrano in certe sale piene di puzzo caldo, e di sudiciume che fermenta. Il presidente sonnecchiava e i giudici buttati sulle poltrone guardavano al soffitto, mentre il cancelliere, con voce stanca, leggeva un monte di cartacce. «L'amico si chinò al mio orecchio e disse: "Vedi, la religione, la giustizia, la libertà sono belle e sante astrazioni, ma chi deve renderle verità nella vita sono gli uomini. Ora guarda il presidente e i giudici. Essi sono gli arbitri dell'avere, della libertà, della riputazione di un uomo, che domani potrei essere anch'io. Ebbene, ti dò la mia parola che se uno di quei signori chiedesse di entrare al mio servizio, direi subito di no ". « Le parole mi parvero amare, ma oggi stesso, qui, in un caffè, ho sentito due contadini che contendevano vivacemente, e uno ha gridato all'altro: "Sei ignorante come un giudice!". Avevo già sentito dire: "Ubriaco come la giustiziai", ma non credevo che la disistima per la magistratura fosse giunta al segno di farsi ingiuria nella bocca dei contadini ». Anche allora migliaia di laureati partecipavano a concorsi per pochi posti, per lo più erano di qualità scadente, e « ciò — scriveva il Guerrini — radica nelle masse il concetto che la magistratura non sia che il rifugio di legulei che non trovano da difendere un ladro di galline». E anche allora, settantanni fa, i magistrati reclamavano stipendi più alti: tuttavia il Guerrini, dopo aver ammesso che, sì, « il vile denaro è un buon garante della integrità e dell'indipendenza » dei magistrati, subito dopo si domandava: « Crescendo il salario oggi a un giudice bestia, si potrà farne un buon giudice domani? Certo no. Si rimane asini anche con un milione. Dunque? ». Teniamo a mente che il Guerrini scriveva così in un'epoca governata da uno dei maggiori statisti che abbia avuto il nostro Paese, quel Giovanni Giolitti che fu, a parte ogni altro merito, un grande esperto e un energico riformatore della pubblica amministrazione. E ora trasferiamoci veloci in un'altra epoca, tra il 1930 e il 1940 su per giù, quando il vice duce. Achille ..Starace, organizzava saggi ginnici anche per panciuti magistrati, con grande sollazzo dei ragazzini romani. A ricordarmi quei tempi è Piero Chiara mandandomi il suo ultimo romanzo // pretore di Cuvio, finalista al premio Strega. Era un gran lazzarone, quel pretore, un ossesso sessuale, e capace di qualsiasi infamia anche nell'esercizio delle sue funzioni. A farlo giudice nel 1930 era stata la legge Mortara che consentiva ai laureati l'accesso alla magistratura attraverso un concorso per titoli. Dopo avere raccontato le canagliate del pretore di Cuvio, Piero Chiara avverte in una noticina che « / personaggi e i luoghi di questo romanzo sono totalmente immaginari». Però nel risvolto della copertina apprendiamo poi che l'autore ha fatto « molta esperienza » nell'amministrazione della giusìizia: dunque anche lui fu giudice, e dunque molte delle situazioni descritte sono materiale raccolto di prima mano tra preture e tribunali. So bene che molti lettori si domanderanno a che serve riesumare queste vecchie storie. La mia risposta è che bisogna essere molto guardinghi verso gli inganni della memoria. Nella sua grande misericordia, il tempo decanta le cose cattive, e lascia invece alla superficie quelle buone. Così, noi siamo portati a vedere il passato non quale fu realmente, ma quale appare dopo quella lenta, continua decantazione. Per questo, quando lettori o conoscenti mi vengono a dire che « certe cose non avvenivano al tempo del fascismo », io scuoto il capo e torno a leggere vecchie cronache, molta storia, e di tutto cuore ringrazio coloro che — come il professor Gulotta di Palermo o Piero Chiara — mi mandano di che fortificarmi. In fede mia, non è con i rimpianti o le nostalgie di tempi più o meno lontani, non è con gli inganni della memoria che noi riusciremo mai a risolvere i problemi di adesso: occorre invece intendere e mettere a profitto le lezioni della storia, l'unica e insostituibile maestra di vita. Se lo facciamo spassionatamente, allora possiamo recidere gli errori del passato come fa ogni buon potatore, e in questo modo irrobustiamo il bene, di conseguenza aumentiamo le nostre possibilità di avanzare sulle vie del progresso civile. Nicola Adelfi

Luoghi citati: Cuvio, Palermo, Roma