Sul "Treno del Sole,, verso il lungo ponte di Ernesto Gagliano

Sul "Treno del Sole,, verso il lungo ponte PARLANO GLI IMMIGRATI CHE TORNANO AL PAESE Sul "Treno del Sole,, verso il lungo ponte "I soldi scarseggiano sempre più: come si fa a far festa?" - Vacilla il mito del Nord industrializzato, della grande città con la sua ambigua promessa di benessere - La fabbrica e il rimpianto della terra nativa (Dal nostro inviato speciale) Sul Treno del Sole, 22 die. «C'è posto in corridoio?» «Tutto occupato, ci spiace» rispondono dal treno. I marciapiedi della stazione di Porta Nuova sono gremiti. La gente corre, guarda in su verso i finestrini, depone i bagagli, chiama a raccolta ì bambini. «Carmelo, vieni qui». La famiglia è radunata al completo sotto la pensilina, ma sul Treno del Sole (Torino-Reggio Calabria-Palermo) non c'è più posto. Un altoparlante annuncia convogli supplementari. Il lungo ponte di Natale comincia così, davanti a sbarramenti di pacchi e valigie. E' una folla preoccupata, operai che hanno lunghe vacanze forzate (molti stanno a casa dal 20 dicembre al 13 gennaio), bambini eccitati per questa avventura ferroviaria verso il Sud. Le fabbriche sono chiuse, si torna al paese d'origine per tre settimane. Una festa? Un rifugio tra persone e paesaggi familiari, con l'incertezza per il futuro e in più l'irritante disagio del viaggio. Dietro la stazione c'è la città con i suoi fumi, le scritte al neon e l'ambigua promessa di benessere. Finalmente, verso le 21,10, il treno si muove. E' buio. Da uno scompartimento esce il suono di una musicassetta, qualcuno mangia un panino e beve acqua minerale. «Volete favorire?». Il convoglio era pronto alle 15 su quel binario e c'è gente che, per sedersi, è arrivata cinque ore prima della partenza. Adesso è già stanca, nei corridoi si dispongono i bivacchi con una tecnica nata dall'esperienza. Seggiolini pieghevoli, cappotti e valigie servono a formare provvisori giacigli. Una signora dorme seduta su un pacco, due bambini sono distesi sul pavimento avvolti in coperte. Più in là viaggiatori discutono ad alta voce: le tariffe sono aumentate, protestano, ma il servizio è sempre lo stesso: un carro bestiame. «Pazienza, noi ci siamo abituati, ma l'emigrante che torna dall'estero e vede questo caos dice subito: "Toh, ecco l'Italia». Passa un ferroviere e sbotta: «Loro li mandano in vacanza forzata e da noi manca il personale». Un passeggero ci grida per sopraffare il rumore del convoglio: «La guardi bene, questa è l'altra faccia della medaglia». Vediamola. «La vacanza è lunga — dice Saverio Rotella, 27 anni, da Gimigliano (Catanzaro) — ma non sono certo contento». Operaio Fiat, uddetto alla catena di montaggio della 127, torna a casa dove l'aspettano i genitori e la moglie. «C'è stata la cassa integrazione, abbiamo perso qualcosa nello stipen- dio mentre i prezzi salgono. E poi resta questa insicurezza del futuro». A parte il lavoro, preferisce vivere in Piemonte? «Si, mi piace di più, è un altro ambiente. Speriamo che tutto finisca bene». Timido, si nasconde dietro un sorriso. Un altro operaio, Antonio Somma, 35 anni, dipendente della Stars di Villastellone, non condivide questa predilezione per il Nord. «Come si fa a stare allegri? I soldi scarseggiano sempre più. Si teme per il posto di lavoro». E' in Piemonte da dieci anni, mù rimpiange il suo paese. San Rufo (Salerno). «Sono nato lì. Ci sono cresciuto. Il clima è buono. Vivrei a San Rufo se potessi scegliere. Molti di noi sono già tornati al Sud». Guarda i due bambini che dormono. «Lavoro io solo, siamo in quattro a mangiare, come si fa a fare festa?». Al paese in queste occasioni invece è diverso: ci sono i genitori, i parenti. Si ammazza il maiale, magari «anche la pecora», si va in piazza, si trovano gli amici al caffè, si scherza. Si incontrano, ad ogni angolo, ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza. Resta un po' perplesso, poi confida: «Porse deciderò anch'io di stabilirmi di nuovo laggiù. Prima che i bambini crescano e si abituino alla grande città. Anche se non si mangia carne tutti i giorni. C'è la frutta buona, il formaggio. Alimenti genuini. E il sole». Giuseppe Cataldo, di Cosenza, baffi e sguardo tenebroso, è titolare di una pie- | cola impresa di demolizioni \ a Torino. Fa un gesto di fastidio: «Non mi faccia parlare, per carità». Spiega: «Siamo fermi da un mese e mezzo. Nell'edilizia se non si costruisce non si demolisce. Quest'anno è peggio dell'anno scorso e l'anno scorso era peggio di quello prima». — Al paese durante le feste dimenticherà tutto questo? «Sì, dimentico. Pino a quando rimangono le lire». In fondo al corridoio, inerpicato su valigie come su un'impalcatura, c'è un muratore, Domenico Commisso, di Grotteria (Reggio Calabria). «L'anno scorso a Natale ho fatto pochi giorni di vacanza, quest'anno ne ho venti. Tornerò su e vedrò come si mettono le cose. Speriamo che ci sia ancora lavoro». Aggiunge che il Piemonte è «sempre una terra straniera». — Ma non si è fatto amici? «Sì, paesani per lo più». Interviene un siciliano di Milazzo, che lavora alla Olivetti, settore elettronico. «Noi abbiamo patito poco la crisi finora. Ma chi non rimpiange la bedda Sicilia? Io facevo il contadino e guadagnavo poco o niente, zappavo da mattina a sera, non riuscivo neanche a comprarmi un cappotto alla fine dell'anno. Per questo sono venuto su. Dovevano aiutare l'agricoltura: questo dovevano fare. Adesso, certo, guadagno di più, ma i prezzi sono alti, lo stipendio si assottiglia. Sa quanto mi hanno trattenuto dalla tredicesima? Più di 35 mila lire. E poi ci sono dei medici che non pagano neanche le tasse». L'operaio venuto al Nord spesso è un contadino che ha lasciato la terra. E la rimpiange. In uno scompartimento ci sono due manovali delle miniere della Cogne di Aosta. Giuseppe e Carmine Aiello, padre e figlio, di Lamezia Terme. Vogliono parlare del «loro disagio». «Ero bracciante agricolo — racconta Giuseppe — e guadagnavo nel '64 circa 200 lire al giorno. Non c'era da mangiare. L'alternativa era: la fame o venire su. Per questo ho poi chiamato anche mio figlio». Ma tutti e due vorrebbero tornare a Lamezia. «Dalla collina si vede il mare — dice Carmine — e le ragazze ci sono anche là». «Sa che cosa le dico — afferma un altro viaggiatore come se fosse colto da ispirazione — che adesso vogliono di nuovo che gli operai tornino alla campagna. Ecco che cosa vogliono. Parlano di 20 mila licenziamenti». Ma c'è chi corregge subito quella visione allarmante: «No, per il '75 alla Fiat il posto è garantito». La conversazione prosegue stanca, qua e là, mentre dai finestrini si scorgono le luci spettrali delle stazioni. Si parla di petrolio, dei dollari dello Scià, di prestiti e debiti. Questo viaggio di Natale è lungo: 20 ore fino a Villa San Giovanni, oltre 24 fino a Palermo. L'alba illumina volti assonnati, i corridoi sono pieni di fumo. Un operaio della Sip mette per l'ennesima volta nel suo mangianastri la «Romance», libera riduzione americana di Beethoven. Una sensazione affiora in questi discorsi accanto all'incertezza del futuro: che il mito del Nord industrializzato per molti immigrati vacilla. Beninteso, c'è chi si è inserito, chi ha scelto la grande città con le sue tensioni, i suoi progressi, le sue crisi, le sue malattie da inquinamento. I figli che vanno a scuola aiutano a mettere radici. Ma c'è anche chi soffre di continuo spaesamento e considera il luogo d'origine come l'unica spiaggia per un tranquillo approdo. Fa i conti di ciò che ha lasciato e ciò che ha avuto. E il bilancio lo lascia perplesso. Ci viene in mente un gruppo di giovani «arrabbiati» incontrati l'estate scorsa in un paese vicino a Taranto. Mostravano un acceso orgoglio locale, temevano che speculazioni turistiche venute dal Nord compromettessero il loro ambiente, chiudessero le loro spiagge libere. «Chi vi conosce? Che cosa avete in più voialtri settentrionali? Guardate questo sole, questo mare, quest'uva. Vengono perfino a comprarla dei commercianti di Cuneo per fare il vostro vino. Ebbene, noi ci accontentiamo». Uno di essi, impiegato comunale, una volta aveva avuto una discussione con una turista per il posto sulla spiaggia. «Sono qui da due ore», aveva affermato la signora. E lui aveva risposto: «Io sono qui da quarant'anni». Ernesto Gagliano Torino. Viaggiatori su un treno a Porta Nuova in partenza per il Sud

Persone citate: Antonio Somma, Beethoven, Carmine Aiello, Domenico Commisso, Giuseppe Cataldo, Saverio Rotella