Ford ritiene probabile il collasso d'un alleato di Vittorio Zucconi

Ford ritiene probabile il collasso d'un alleato Il fantasma del 1929 sembra farsi più vicino Ford ritiene probabile il collasso d'un alleato Inghilterra o Italia? si chiedono a Washington - Il disastro finanziario dell'una o dell'altra provocherebbe, secondo il Presidente americano, una depressione mondiale (Dal nostro corrispondente) Washington, 23 dicembre. Il presidente americano Ford giudica «molto probabile il crollo finanziario, in sei od otto mesi, di un paese europeo alleato degli Stati Uniti, uno fra i più esposti alla crisi». Questa drammatica profezia, che potrebbe alludere sinistramente all'Italia, è stata fatta da Ford durante una conversazioneintervista con Joseph Alsop, giornalista fra i più eminenti d'America. Discutendo con Alsop, Ford ha compilato una sorta di «lista» dei maggiori problemi che l'America dovrà affrontare nel 1975, ponendo al centro la possibilità concreta di una nuova guerra in Medio Oriente (primavera) e, subito a fianco, la prospettiva — a suo avviso probabilissima — del collasso di questo misterioso e indebolito «alleato europeo». A Washington si è chiesti immediatamente di che Paese si tratti. Due nazioni possono infatti ritrovarsi nel pessimistico «identikit» di Ford: l'Inghilterra e l'Italia. Poiché da Ford non viene alcuna precisazione lil Presidente ha sciato tutto il giorno nelle montagne del Colorado) è impossibile stabilire a chi egli si sia riferito. Alcuni elementi della previsione fanno sospettare che il candidato alla bancarotta sia l'Italia. Dale, del New York Times, pen¬ sa ad esempio si tratti prò-prio del nostro Paese, perché la vicinanza della prospettiva (Ford parla di sei, otto mesi) corrisponde purtroppo più alla nostra crisi che a quella inglese. Ma nell'intervista ad Alsop, il Presidente ha aggiunto che « il crollo finanziario di questo alleato potrebbe facilmente condurre ad un serio contraccolpo in America e provocare dunque una depressione mondiale ». Questo può far pensare piuttosto alla Gran Bretagna che, per i suoi particolari legami con gli Usa e per il suo ruolo centrale nel sistema economico occidentale (si pensi anche soltanto alla «City» londinese), è più suscettibile di provocare « ripercussioni » in America e nel mondo. Ma neppure un crollo italiano passerebbe inavvertito, e il « fall-out » economico e politico sarebbe sicuramente importante su tutto l'Ovest. Certo, la frase di Ford è insieme inquietante e oscura come tutte le profezie che si rispettino. Quale che sia la nazione cui egli si è riferito, è importante notare come — dietro le ripetute affermazioni di fede nella capacità di ripresa dei Paesi europei minacciati dalla crisi — il governo americano consideri seria e concreta la possibilità di un collasso dei più deboli, Gran Bretagna o Italia. Un'altra osservazione del Presidente ha sollevato non poca ansia a Washington: a proposito del Medio Oriente, Ford ha detto che « una guerra verso la metà del '75 (così riferisce Alsop) fra arabi e israeliani è orribilmente probabile e questo avrebbe due conseguenze: 1) un nuovo embargo; 2) un'ondata di antisemitismo in America ». Se un intervento americano diretto è da escludere, ha aggiunto Ford, è però possibile che, in caso di una mossa militare russa, gli Stati Uniti reagiscano con la forza. Quadro terribilmente fosco, questo tracciato dal Presidente. Anche se si deve osservare che il suo interlocutore, Alsop, tende nelle sue « colonne » ad accentuare i toni negativi e pessimistici e potrebbe aver non distorto, ma colorito alcune osservazioni di Ford. E' doveroso tuttavia aggiungere che dalla Casa Bianca non è giunta alcuna rettifica al resoconto di Alsop, e questo equivale ad una conferma. piato allo sgravio fiscale dovrebbe ottenere il duplice vantaggio di limitare i consumi di energia senza deprimere ulteriormente il mercato dell'auto. Ma l'impopolarità della sovrattassa è certa e un'approvazione da parte del Congresso appare quindi assai dubbia; 3) il salario garantito per 1*80 per cento dei lavoratori americani, fino ad un massimo di 52 giorni. Le proposte partono da una constatazione economica opposta al punto di vista ufficiale del Presidente: il nemico da battere, oggi, non è più l'inflazione, ma la recessione, non solo in America ma in tutto il sistema occidentale. In una serie di previsioni pubblicate recentemente, appare infatti chiaro come nel '75 il tasso d'inflazione subirà qualche rallentamento, mentre produzione e sviluppo industriale rischiano il collasso in alcune nazioni e il ristagno in altre. Secondo questi studi (che vengono dal «Japan economie research center», dall'Unione banche svizzere, dall'Istituto nazionale di studi economici e sociali d'Inghilterra) l'Italia ridurrà il suo saggio di inflazione al 15 per cento, nel 1975, ma con un incremento reale di produzione vicino allo zero. Il Giappone dovrebbe conoscere invece una notevole ripresa (dal 3 per cento nel prodotto nazionale lordo a più 6) e così l'Inghilterra che potrebbe passare da —0,5 per cento nel '74 a più 1,8 per cento. Per gli Usa è previsto un netto abbassamento del tasso di inflazione (dall'attuale 1112 per cento, a circa il 7-8 per cento), ma nuove contrazioni produttive. Il senso di queste notizie, e delle raccomandazioni dei consiglieri di Ford è dunque evidente: se le economie occidentali insisteranno nel rincorrere — senza molto successo — il sogno della deflazione, l'ombra di un'altra crisi mondiale degna del «craefc» del '29 diverrebbe reale. Lo sviluppo nella stabilità è — in presenza di fattori esterni imponderabili come il prezzo del petrolio — un sogno oggi impossibile: la carta migliore resta lo sviluppo produttivo. Nel comunicare queste notizie e previsioni, gli esperti americani del «Jaint Committee» ci ricordano che il '29 è forse più vicino di quanto pensiamo: allora, la percentuale di disoccupazione raggiunse punte sino al 25 per cento (era ancora al 14 per cento alla vigilia della guerra) in Usa, ma in valore assoluto furono 8 milioni gli americani senza lavoro, un totale che la situazione presente sta pericolosamente avvicinando. V'è, tuttavia, un grande vantaggio rispetto al '29: è il fatto che la grande crisi v'è già stata e si può dunque sfruttare la lezione che ne deriva, prima che sia troppo tardi. Ricordando che, oggi come nel '29, se l'America subisse un violento collasso, il resto del mondo occidentale ad esso legato, Italia compresa, potrebbe pagare il prezzo più elevato. Vittorio Zucconi

Persone citate: Alsop, Joseph Alsop