Ora le "cosche,, stanno per darsi la battaglia di Guido Guidi

Ora le "cosche,, stanno per darsi la battaglia Allarmante rapporto dei magistrati siciliani alla Commissione antimafia Ora le "cosche,, stanno per darsi la battaglia Nel biennio '72-'74 gli omicidi mafiosi sono stati 55, ma negli ultimi mesi il numero dei delitti è aumentato - Sette uccisi da luglio a dicembre - Il procuratore di Palermo: "Siamo certi che è prossima una guerra per la conquista del potere nella città" (Dal nostro inviato specialeI Palermo, 17 dicembre. Il quadro della situazione a Palermo, sotto il profilo della criminalità mafiosa, prospettato dal procuratore della Repubblica Giovanni Pizzillo alla Commissione antimafia, è agghiacciante: cinquantacinque omicidi nell'ultimo biennio (luglio 1972-giugno 1974) ai quali è necessario però aggiungerne altri sette compiuti fra luglio e dicembre; cinquantacinque tentati omicidi che, secondo gli esperti, sarebbero soltanto una premessa per un'«operazione» successiva; cinquantadue estorsioni e trentasette tentate estorsioni; 172 danneggiamenti di cui 119 impuniti. «Se il bilancio consuntivo è preoccupante, ha aggiunto il magistrato, quello preventivo autorizza tutti a essere pessimisti». Secondo Giovanni Pizzillo anzi, il peggio dovrebbe ancora arrivare e il magistrato è stato molto esplicito parlando con i senatori e i deputati dell'antimafia, che con questi in Sicilia intende concludere i suoi lavori protrattisi per dodici anni. «Possiamo dire, è la sua tesi, che esiste la certezza d'essere alla vigilia di uno scontro fra cosche mafiose per la conquista del potere in talune zone nuove della città: Partanna Mondello, Pallavicino, San Lorenzo, Viale Strasburgo». Sono le zone, tanto per intenderci, verso l'aeroporto di Punta Raisi dove presumibilmente l'agglomerato urbano tende ad estendersi. La mafia sembra aggiornare i suoi programmi dopo avere studiato il piano regolatore. Giovanni Pizzillo ha PO anni circa, è siciliano di un paesino nell'entroterra palermitano, dirige la procura della Repubblica di Palermo dal momento in cui (maggio 1971) fu ucciso Pietro Scaglione. E' arrivato a fare questa diagnosi così cruda della situazione nella sua città, utilizzando la propria esperienza diretta e quella dei collaboratori per cui oggi ha parlato non soltanto a titolo personale, ma anche ufficialmente. «La mafia, questa è la sua interpretazione delle indicazioni che vengono fornite dalla realtà di tutti i giorni, lavora sempre nel più assoluto silenzio. Ma se arriva all'omicidio lo fa soltanto in casi eccezionali o come estrema soluzione contro eventuali traditori o se deve cercare nuovi equilibri fra gruppi contrastanti. Ecco perché, secondo me, è necessario preoccuparsi di fronte a questi delitti: significa che esiste, cioè, uno stato di tensione fra cosche destinate, senza dubbio, a diventare sempre più esasperato/). La Commissione antimafia è arrivata a Palermo per concludere i suoi lavori (sembra che intenda presentare le relazioni finali al Parlamento entro marzo) con lo scopo preciso, fra gli altri: avere qualche suggerimento da chi conosce tutti i risvolti del fenomeno. Può, Giovanni Pizzillo, indicarne qualcuno? Certamente: innanzitutto restituire alla pubblica opinione, semmai l'ha avuta, ampia fiducia nella giustizia. E questa fiducia perde sempre terreno se i procedimenti continuano a essere più lenti, se le sentenze vengono pronunciate dopo cinque o sei anni. Poi, dice il procuratore della Repubblica, è necessario rendere più severo il controllo dei mafiosi inviati al soggiorno obbligato. «I più pericolosi debbono essere trasferiti, ha sostenuto, nelle isole minori, ma messi in condizione di lavorare. Infine i tribunali, oltre che prendere in considerazione le prove specifiche per l'accertamento delle singole responsabilità, debbono anche valutare le entità patrimoniali di ciascun imputato». Il sistema di individuare il mafioso attraverso un'indagine finanziaria viene suggerito da tempo, ma sempre con scarso successo, purtroppo. Non è un sistema facile, senza dubbio, perché le indagini bancarie sono sempre complesse e perché quasi mai il mafioso, ufficialmente, risulta proprietario di qualche bene individuabile: ma è un sistema che, attuato, può dare certamente risultati positivi. Luciano Liggio, che ha vissuto quasi venti anni alla macchia, sua sorella che acquista un terreno versando quasi cinquanta milioni in contanti; Michele Cavataio, il mafioso ucciso nella strage di viale Lazio, che possiede, sia pure non ufficialmente, terreni ed appartamenti per centinaia di milioni, sono soltanto qualche esempio: come supporre che questi loro beni siano la conseguenza di traffici leciti se, alla luce del sole, costoro non hanno mai svolto una attività? Il procuratore della Repubblica di Trapani dove la situazione non sembra essere mol¬ pG to migliore che a Palermo (l'industria del vino sofisticato è l'ultima scoperta della mafia) si è mostrato ancora più severo di Giovanni Pizzillo. «E' accertato, ha sostenuto Giuseppe Luria, che i mafiosi durante il periodo di soggiorno obbligato, continuano ad avere i loro contatti e quindi a svolgere tranquillamente i loro traffici. Controlliamoli meglio, dunque: intercettiamo le loro telefonate, vagliamo la loro corrispondenza». Forse il suggerimento è eccessivo, forse addirittura incostituzionale perché in fondo chi viem inviato al soggiorno obbligato o non è stato mai condannato o ha scontato già la pena. Ma qualcosa bisogna pur fare altrimenti, come hanno sempre sostenu¬ to l'onorevole Cesare Terranova, già magistrato, e Giuseppe Gebbia, presidente del tribunale di Palermo che si interessa delle misure antimafia, trasferire un Gerlando Alberti vicino a Napoli o altri mafiosi a pochi chilometri da Milano e da Torino, significa, tutto sommato, favorirli a trovare in zone più ricche un terreno ancora più fertile di quello lasciato in Sicilia. Le preoccupazioni della magistratura, soprattutto, inquirente (soltanto a Caltanissetta la situazione è migliorata ma soltanto perché la zona è diventata tra le più povere d'Italia) non sembrano essere condivise dagli uomini politici più rappresentativi. Per il presidente del governo regionale Angelo Bonfiglio e per il presidente dell'Assemblea regionale Mario Fasino, il fenomeno mafioso sarebbe molto ridimensionato o, comunque, molto contratto. E' un problema, hanno detto press'a poco, di delinquenza comune, sia pure con caratteristiche particolari. «Nego, ha sottolineato Mario Fasino, che una qualsiasi legge regionale abbia mai potuto favorire la mafia. Possono esserci stati episodi di corruzione' ma sempre a piccolo livello». Per entrambi, cioè, non esisterebbe un legame fra mafia e politica. La Commissione non sembra molto convinta di questa diagnosi ed è per questo che continua ad indagare anche domani. Guido Guidi