Cipro ancora senza pace di Francesco Fornari

Cipro ancora senza pace Nei villaggi devastati da guerra e saccheggi Cipro ancora senza pace Il tempo sembra si sia fermato al 19 luglio, quando i turchi sbarcarono sull'isola (Dal nostro inviato speciale) Nicosia, 17 dicembre. Da venerdì le autorità turco-cipriote non permettono più agli stranieri di entrare nel settore posto sotto il loro controllo. Quando mi sono presentato al posto di blocco lungo la green-line, un poli ziotto turco «molto dispiaciuto» mi ha ritirato il lasciapassare, rilasciatomi meno di 48 ore prima. Un portavoce del «Pio» (Public Information Office) turco mi ha detto che la decisione è stata presa causa l'atteggiamento del governo greco-cipriota dell'isola, che continua a considerare «illegali» i porti di Famagosta e Kyrenia (nella zona controllata dai turchi) e, di conseguenza, non ritiene validi i visti d'ingresso concessi agli stranieri che vi sbarcano. Da venerdì, dunque, le comunicazioni fra i due settori sono interrotte: le autorità turche lasciano passare soltanto coloro che sono entrati a Cipro dalla base inglese di Akrotiri. che gode del diritto di extraterritorialità e considerano privi di valore i visti rilasciati agli stranieri sbarcati nei porti di Larnaka e Limassol. Lungi dal trovare una soluzione, il braccio di ferro fra i due governi (quello «ufficiale» dell'arcivescovo Makarios, che si ritiene tutt'ora il presidente assoluto di Cipro e di tutti i suoi abitanti, e quello di Denktash, nel settore occupato dall'armata turca) continua e le tensioni fra le due amministrazioni si acuiscono. Già prima di venerdì, comunque, i movimenti dei giornalisti nel settore turco erano sottoposti a rigorosi controlli ed assai limitati. Ogni spostamento doveva essere comunicato con « almeno » 24 ore di anticipo, per ogni meta indicata veniva rilasciato un permesso speciale, in alcune località (Kyrenia e Famagosta) si poteva andare soltanto se accompagnati da un funzionario del «Pio». Con una buona dose dì fortuna ero riuscito a raggiungere Kyrenia, pur essendo privo di autorizzazione e « guida » ufficiale. La mia non è stata una bravata: altri colleglli mi avevano detto che compito dell'accompagnatore era, in primo luogo, quello di impedire ogni contatto con la popolazione greca che ancora vive nel settore, riducendo praticamente la visita ad una passeggiata pseudo - turistica, priva di alcun interesse. Lungo la strada che porta da Nicosia e Kyrenia si incontrano parecchi accampamenti militari. Ho visto decine di carri armati parcheggiati nei boschi, dappertutto sono state costruite fortificazioni. La presenza dei circa quarantamila soldati turchi si fa sentire con tutto il suo peso: la maggior parte dei veicoli che transitano da quelle parti sono militari, ad ogni incrocio ci sono posti di controllo della MP (military police): soldati armati di mitra, con tanto di elmetto e bracciale, mentre nei ripari protetti da sacchetti di sabbia si intravedono le sagome minacciose delle mitragliatrici e dei mortai. A Kyrenia Entrando a Kyrenia si ha l'impressione che il tempo si sia fermato al 19 luglio, giorno dello sbarco turco sull'isola. La città porta ancora visibili i segni dei furiosi combattimenti: pochi negozi sono aperti, la maggior parte delle case sono state abbandonate dagli abitanti greco-ciprioti (fuggiti a Nicosia o internati nei campi di concentramento). Sono entrato in alcune: porte abbattìite, mobili fracassati, ovunque i segni della violenza e del saccheggio. Il porto è pattugliato da militari turchi col mitra imbracciato. Nel Dome Hotel sono ancora ospitati 146 greco-ciprioti, in maggioranza donne e bambini. Ho parlato con uno di loro: mi ha pregato di non rivelare il suo nome, perché ha paura di avere dei guai. L'ho incontrato mentre passeggiava nei pressi dell'albergo. « Possiamo uscire ogni giorno, dalle 14,30 alle 17 — mi ha detto — ma non possiamo allontanarci dall'hotel. Ci è vietato salire sulle automobili, di entrare nei negozi, di parlare con la gente. Una volta alla settimana, il giovedì mattina, a due di noi è permesso di andare a fare compere: soltanto oggetti di vestiario e cibarie. Nient'altro, ma intanto sarebbe difficile trovare qualche altra cosa ». Al loro mantenimento provvede la Croce Rossa Internazionale che invia cibo e provviste con camions dell'Orni. « Adesso i rifornimenti sono abbastanza regolari: la quantità del vitto è sufficiente, la qualità... meglio lasciar perdere ». Sopraggiunge una camionetta militare carica d'armati: il mio interlocutore si allontana bruscamente. Appena è passata, senza più avvicinarsi, mi prega di lasciargli qualche sigaretta. « Le metta su quel muretto e se ne vada. Se ci vedono insieme, sono guai per tutti e due ». Raggiungo Bella Pais, piccolo centro di villeggiatura sulla collina che sovrasta Kyrenia. In questo paese era stato allestito un campo di concentramento di profughi greco-ciprioti. Adesso la maggior parte sono andati via. Sono rimasti gli abitanti, tutti greci. Parlo col proprietario di un ristorante, Savas Kourtella. « Noi stiamo un po' meglio rispetto a quelli che vivono a Kyrenia. Abbiamo da mangiare, possiamo circolare per il paese. Ieri, io ed un paio d'amici siamo stati autorizzati ad andare a raccogliere funghi. E' stata una bella giornata, anche se eravamo controllati dai soldati ». Arriva il capo della polizia turco cipriota per pranzare. E' l'unico avventore: siede al tavolo più bello, ornato con un mazzo di fiori. Solo. Ma prima manda un agente ad accertarsi della mia identità: non ho lasciapassare, non ho autorizzazioni, la cosa rischia di diventare complicata. Risolve tutto l'oste, offrendo da bere al capo della polizia, dicendo che sono un « suo amico italiano », venuto a fargli visita. Non sono migliori le condizioni dei turco-ciprioti che si trovano nel settore greco dell'isola, praticamente prigionieri nelle enclaves. Ho tentato di raggiungere il villaggio di Episcopi, nella zona Nord-Est di Cipro, dove abitano circa duemila turchi. Nei giorni scorsi gli abitanti del villaggio avevano organizzato rina protesta contro le « incivili condizioni di vita ». Uomini, donne e bambini avevano bloccato per oltre tre ore la strada principale: un sit-in drammatico, sotto la pioggia, controllato dai soldati della guardia nazionale greca che imbracciavano le armi, pronti a sparare. Tutto si era risolto senza incidenti. I profughi Stamane i soldati greci mi hanno impedito di entrare nel villaggio: di lontano ho visto qualche donna che trafficava davanti alla porta di casa, intenta forse a preparare il pranzo su un fornello all'aperto. Queste sono le immagini più atroci di questa guerra, a cui bisogna aggiungere quelle degli oltre 150 mila profughi greco-ciprioti, fuggiti da Famagosta, Morphou e da cento altri posti. Mentre l'Etnarca Makarios e Denktash, rigidi sulle loro posizioni, si accusano a vicenda, mentre Grecia, Russia, America ed Inghilterra fanno pressioni sull'uno o sull'altro al fine di trovare la soluzione che meglio si accorda con i loro interessi, i ciprioti vivono come stranieri nella loro patria. A Cipro comandano tutti: l'armata turca ed i « caschi blu ». Non si può far nulla senza autorizzazione dell'uno o dell'altro, occorrono lasciapassare e salvacondotti anche per il più piccolo spostamento. Chi può se ne va: i rari battelli che arrivano all'isola, ripartono gremiti di profughi. Davanti alle ambasciate straniere si vedono lunghe file di persone in attesa di ottenere un visto. « Ormai siamo dei senza patria — mi ha detto un cameriere dell'Hilton Hotel — comunque finisca, Cipro non tornerà mai più com'era una volta. E' un'isola morta, finita. Meglio andar via, fin che è possibile ». Francesco Fornari

Persone citate: Denktash, Episcopi, Pais, Public Information Office, Savas Kourtella