Friso, pugni e farina Una ditata nell'occhio

Friso, pugni e farina Una ditata nell'occhio Friso, pugni e farina Una ditata nell'occhio •< Avevo sedici anni — racconta Federico Friso — e già portavo sulle spalle sacchi di farina. Ora ho 44 anni, non ho paura di fare lo stesso lavoro, ma lo faccio solo per me. Ho un camioncino, ho la macchina, una bella famiglia, una casa accogliente. La boxe mi ha aiutato ad ottenere tutto questo, non c'è dubbio ». Friso è stato otto volte azzurro fra i dilettanti, do professionista ha disputato 75 incontri, vincendone una trentina, ed è arrivato alla cintura tricolore dei pesi massimi. Era un pugile scomodo, una vera forza della natura, di fronte al quale era estremamente difficile lare bella figura. Per questo Federico ha dovuto guadagnarsi il suo pane di pugile quasi sempre all'estero, senza rifiutare mai un avversario, per forte che fosse. Ha affrontato fra gli altri Jlm Cooper, Prescott, Mildenberger. Zech, Klerk, Risberg, Gonzales, è andato in Spagna, in Inghilterra, in Germania, in Svezia, in Sud Africa: non h-j portato a casa vittorie, ma neppure k.o., ed è sempre tornato con una discreta paga. Nella sua casa di Abano Terme figura, accanto a mille trofei, un cimelio di valore particolare, da cui la signora Friso non vuole assolutamente staccarsi: uno vecchia macchina da cucire, che rappresenta una borsa ' in natura », per un ciclo di tre matches, agli inizi della carriera. Friso non si è mai illuso che la boxe, al suo livello, potesse bastare per vivere e metter su famiglia, per questo ha sempre continuato a lavorare. Si è reso conto di questa necessità quando, nel 1956, ha incontrato e messo k.o., in una sola ripresa, un ex campione d'Italia. Federico si è specchiato in quell'avversario vinto ai suoi piedi, ha proiettato quell'immagine nel futuro, ha capito che I pugni, da soli, non costituivano una garanzia: garzone di un mulino, falegname, fornaio, commesso, ora commerciante di farina in proprio. Le sue mani, che abbrancavano con facilità i sacchi di farina e che servivano per colpire duramente sul ring, gli hanno dato un piccolo regno ad Abano Terme, di cui Federico Friso è giustamente fiero. Per Antonio Verdiani, un pugliese trapiantato a Torino, la carriera professionistica è finito drammaticamente nel novembre 1973, per una ditata nell'oc- chio. Toni combatteva con il vigevanese Tessarin, per il titolo del Nord Italia dei pesi gallo: fu un match durissimo nel quale Verdiani, che rischiava troppo sul ring badando più a scagliar pugni che a non riceverli, lini sconfitto, col volto tumefatto e gli occhi rossi di sangue. Verdiani non sapeva, quando discese dal ring, che aveva offerto al pubblico torinese la sua recita d'addio: un pugno scorretto di Tessarin, involontario senza dubbio, gli avevo staccato la retina dell'occhio destro. La boxe non gli aveva dato molto, fino a quel momento — 250 mila lire al massimo, per un match — ma qualcosa poteva ancora offrirgli: la possibilità di migliorare, avendo appena 26 anni, e di arrivare almeno al traguardo della cintura tricolore. Invece tutto è finito lì, in quella sera di novembre. L'operazione all'occhio ha restituito alla vita un uomo praticamente integro, ma non più un » boxeur ». Questo racconta, a chi vuole ascoltarlo, Antonio Verdiani, ex pugile ed ora solo più bagnino in una piscina comunale. Verdiani, dopo l'operazione

Luoghi citati: Abano Terme, Germania, Inghilterra, Italia, Nord Italia, Spagna, Sud Africa, Svezia, Torino