Garbelli sogna di specchiarsi in suo figlio

Garbelli sogna di specchiarsi in suo figlio Garbelli sogna di specchiarsi in suo figlio « Mio figlio Giancarlo — dice Garbelli — esordirà a febbraio, nel torneo Primi pugni. Spero che sia bravo, ma io non gli ho insegnato niente. Se farà strada, il merito sarà suo e dell'istruttore Romagnesi. lo non c'entro, è stato lui a voler fare la boxe ». Giancarlo Garbelli quasi teme di dare ombra al figlio, di comprometterne i primi passi come pugile. Sta in disparte, si schermisce, ma il suo sogno è di specchiarsi un giorno in luì, di non più macerarsi nei rimpianti vedendo, in quei ragazzo, quello che lui avrebbe potuto essere e non è stato. Garbelli ha avuto, nella sua vita sul ring, negli Anni Sessanta, una sola grande sfortuna: quella di essere contemporaneo di Duilio Loi e di Bruno Visintin, campioni che lo hanno inesorabilmente chiuso ai margini della gloria, dando forse l'impulso decisivo all'incostanza del suo carattere, alla sregolatezza che lo ha pian piano sospinto verso strade sbagliate. Giancarlo rifiuta anche questa attenuante: «Ero un cavallo matto — dice — volevo essere il più bravo di tutti rischiando sempre il massimo, ma avevo un freno nel mio spirito inquieto. Loi e Visintin non c'entrano, il mio nemico era dentro di me ». La carriera di Garbelli, che è arrivato solo allo cinturo tricolore dei welters ma ha avuto il coraggio di battersi, pareggiando, col mancino ungherese Laszlo Papp, è stata, sia sportivamente che finanziariamente, tutta un ricominciare da capo. L'ultima * scalata - riusci a fargli guadognare 25 milioni in due anni, una somma che Giancarlo investi in modo sballato allestendo, nella sua villa di Cadegliano, un allevamento di castori. Castori senza pelliccia, in pratica, poiché anziché arricchirlo, lo mandarono in rovina. « Non mi va di vivere sotto un padrone », dice ancora odesso Giancarlo. Non gli va ora come non gli andava allora: rifiutò di sfruttare ! potenti appoggi che aveva nel mondo della boxe (Borghi della Ignis, Castel/ranchi della Gbc) ed imboccò l'altra strada, quella sbagliata, quella dei locali - notturni, dei paradisi artificiali, delle compagnie equivoche, ai margini della legge. Dopo la boxe, la galera, per aver spacciato ingenuamente dollari falsi alla stazione di Milano. Scontata la pena Giancarlo si trasferì per breve tempo a Roma, a fare il pittore, poi la sua febbrile irrequietezza lo portò lontano, in Sud America, a vivere alla giornata, senza un luturo. E' tornato due anni e mezzo fa, con una tessera da puaile della federazione brasiliana e con una pazzesca idea, quella di tornare sul ring, a 41 anni. In Italia gli negarono giustamente il nullaosta, ma non poterono impedirgli di recarsi a Madrid dove, il 25 agosto 1972 Giancarlo iu messo k. o. in tre riprese da José Duran, attuale campione d'Europa del superwelters. Forse fu quel k. a, // primo e l'ultimo della sua carriera sul ring, a riportarlo alla realtà, a frenare per sempre il suo istinto di nomade e di ribelle. Garbelli si è rifatto una famiglia, dopo che la prima moglie lo aveva lasciato, ed ora vive in un mulino abbandonato, nel pressi di Salsomaggiore, senza telefono, senza legami con la vita mondana. « La città è tentatrice — confessa — ed io sono sempre un debole ». Ogni tanto compore o Milano con un quad.o o due sotto il braccio — onere sue o di pittori che si offidano o lui per la vendita — e quasi sempre riesce a tornare nel suo eremo senza quadri e con un po' di soldi. « Bisogna sempre lottare » dice, ma orgogliosamente rifiuta di lamentarsi per avere sprecato un destino da campione che la boxe gli aveva offerto. Di storie come queste, potrei raccontarne ancora mille. Potrei dire di Domenico Tiberio, che a 36 anni è ancora sulla breccia come campione d'Italia dei pesi medi ed alterna la boxe allo scomodo mestiere di « infermiere dei matti » nel manicomio di Ceccano; o di Italo Biscotti che dopo aver sfiorato il titolo italiano dei leggeri ha lasciato il ring e lavora sempre alla Fiat; o di Antonio De Jesus, Antonio Ferreira e Gaetano Dos Santos, tre componenti della famosa spedizione dei « cobra », che in Italia hanno preso molti pugni ma si sono pure costruiti una vita, il primo come barista a Rimini, il st.ondo come gerente di una impresa di trattori in Romagna, l'ultimo come meccanico a Cornaredo; o infine di Armando Scorda, rappresentante di liquori dopo aver fallito come Biscotti il traguardo tricolore. Di questi e di altri potrei dire, ma è meglio concludere, con un pensiero che vale per tutti gli operai del ring, quelli che hanno avuto fortuna, quelli a cui la sorte ha voltato le spalle ed anche quelli che, al momento giusto, la fortuna l'hanno presa a calci, stoltamente: la boxe può anche essere un veleno che aiuta a morire, ma presa nelle giuste dosi, è una medicina che aiuta a vivere. Gianni Pignata