Trentanni fa in Val d'Ossola

Trentanni fa in Val d'Ossola CRONACA TELEVISIVA Trentanni fa in Val d'Ossola Concluso lo sceneggiato di Codignola e Leandro Castellani sulla Repubblica partigiana Fine per Quaranta giorni di libertà, lo sceneggiato di Luciano Codignola con la regìa di Leandro Castellani, sulla libera Repubblica dell'Ossola. Tireremo le somme servendoci anche delle lettere di spettatori che ci sono arrivate in queste tre settimane. A parte la delirante missiva di un nostalgico sfegatato che non sa che allineare ingiurie e che termina le sue invettive con un significativo « viva il duce »; a parte un paio di lettere anonime o con firma indecifrabile di appartenenti, diciamo, alla cosiddetta maggioranza silenziosa che disapprovano il programma « perché divide gli italiani » e perché « è fazioso »; a parte questo, dobbiamo dire che nella sostanza ci pare che gli spettatori abbiano riconosciuto che nello sceneggiato c'era un costante e vigile sforzo per evitare la retorica e quindi la dimensione celebrativa, commemorativa, ufficiale. Il che è vero e costituisce il merito fondamentale del film, che ha cercato, sulla base di molti documenti e testimonianze, di ricostruire i fatti con semplicità, senza aggiunte enfatiche. Naturalmente non sono mancate al riguardo osservazioni e critiche. Sin dall'inizio, per esempio, sono stati in parecchi a far notare che la sequenza d'avvio sul treno, con la gente che parla di patrioti e di fascisti e con lo zio che a mezza voce dà suggerimenti e indicazioni al giovane nipote che intende riparare in Svizzera, risulta abbastanza assurda (allora — e in effetti ce ne ricordiamo bene — nessuno, per paura degli spioni, se la sentiva di chiacchierare tanto). Qualcuno ha rilevato che le trattative per la resa e lo sgombero dei tedeschi sono state più complesse. Altri hanno trovato a ridire sulle armi, sul modo di impiego, sull'abbigliamento (« Troppe divise impeccabili, soprattutto troppi fazzoletti da collo lavati e stirati di fresco»). Addirittura «ri dicola » è stata telefonicamente definita la tenuta del personaggio di Elsa, nel finale di ieri sera: a più di uno è sembrata, anche se autentica, una tenuta artificiosa, un « modello da partigiana » uscito fresco fresco da una sartoria teatrale. Questo per i dettagli. Ma nelle grandi linee abbiamo l'impressione che il film sia stato giudicato onesto. Per parte nostra siamo d'accordo sull'assenza di retorica, e sulla onestà e serietà di intenzioni. Codignola e Castellani hanno respinto l'opera di esaltazione, circonfusa di luce gloriosa perenne: e hanno illustrato difficoltà, incertezze d'organizzazione (ce n'era ragione, e come!), probabili errori, contrasti tra formazioni di diverso colore politico: mentre non hanno trascurato di sottolineare la tenacia, lo spirito di sacrificio e di abnegazione, l'adattamento alle situazioni più dure possibili che sono stati gli elementi caratteristici e quotidiani della Resistenza. Difetti? Una certa insistita lentezza di ritmo; una certa frammentarietà di sceneggiatura; l'immissione faticosa di una « vicenda » con personaggi che sapevano di costruito (vedi il ragazzo, vedi il barbuto e occhialuto commissario politico); una interpretazione così e così, con alcuni attori che recitavano come fossero su un palcoscenico. Confermiamo ancora una volta la nostra idea di partenza. La Repubblica dell'Ossola è una stupenda pagina, civile e militare, del periodo più nero della nostra storia: una speranza, un'affermazione di libertà in un'Italia del Nord sotto il dominio feroce dei nazisti e dei loro complici. Quest'anno ricorreva il trentesimo anniversario di un episodio così memorabile ed era giusto e doveroso rammentarlo, e farlo conoscere ai giovani. Non è che il ricordo televisivo sia stato negativo, tutt'altro: ma preferivamo un ampio reportage che raccogliesse volti e voci dei protagonisti e testimoni di allora e che considerasse quegli avvenimenti nella prospettiva dei trent'anni trascorsi. Qui invece eravamo di fronte ad un film che si proponeva di riportarci, con minuzia di particolari, a quei fatti e a quel clima: cioè assistevamo ad una « rappresentazione » con pretese di affresco documentaristico. Non vorremmo che il pubblico, abituato dalla tv a vedere ormai tutto trasformato in spettacolo, avesse visto anche Quaranta giorni di libertà non diver samente da un qualsiasi sceneggiato televisivo a puntate e quindi avesse recepito più la finzione drammatica che il tentativo di rievocare una precisa realtà. u. b z.

Persone citate: Codignola, Leandro Castellani, Luciano Codignola

Luoghi citati: Italia, Ossola, Svizzera