Una famiglia di vipere nella casa di Visconti di Stefano Reggiani

Una famiglia di vipere nella casa di Visconti In "prima,, a Milano il nuovo film del regista Una famiglia di vipere nella casa di Visconti "Gruppo di famiglia in un interno": quadro di corruzione borghese in un alloggio della Roma barocca - Protagonista Lancaster, con la Mangano ed Helmut Berger (Dal nostro invialo speciale) Milano, 10 dicembre. Il nuovo film di Visconti è come un appartamento, nel senso reale e figurato: non solo si svolge tutto nel chiuso di salotti, camere da letto e cucine; ma chiede d'essere inteso dallo spettatore e dal critico come una visita al domicilio di una persona cara che da poco ha traslocato. Si troverà a suo agio nella nuova abitazione? I famosi mobili saranno disposti col gusto consueto? Soprattutto: gli ospiti saranno all'altezza di quelli che un tempo frequentavano il padrone di casa? « Gruppo di famiglia in un interno » e il primo film diretto da Visconti dopo la malattia che gli ha immobilizzato una parte del corpo, ed è prodotto dall'editore Rusconi, entrato ora anche nel cinema. Forse i lettori ricordano le polemiche di un anno fa, le accuse al regista d'essersi compromesso in una operazione conservatrice, le repliche irritate e scontrose dell'illustre paziente (« Nessuno mi condiziona, sono sempre libero»). Ci capitò di assistere al primo sfogo di Visconti nella stanza di una clinica torinese, di ascoltare da lui la trama del nuovo film, di raccogliere la sua adesione, turbala e polemica, al soggetto proposto da Enrico Medioli. Per questi motivi, ma innanzitutto per essere forti estimatori fin dal principio della virtù visconliana (cioè del suo modo unico di fare romanzo sullo schermo) eravamo ieri, all'anteprima della critica, tra gli spettatori più ansiosi e corrucciati sull'ingresso del filmappartamento. E tra quelli più pronti all'insofferenza e al rifiuto, se qualcosa stonasse nello stile dell'arredo; ma anche più disposti alla solidarietà (forse alla complicità) verso il maestro. Nelle stanze della nuova casa viscontiana, affacciata sulla Roma barocca, fra antichi mobili e scaffali di libri, abita il professor Burt Lancaster. Colleziona quadri, in specie gruppi di famiglia: lui, che vive solo dopo un matrimonio sbagliato, ritrova in quelle figure, ferme e libere insieme, gradevolmente mute, un risarcimento e una sublimazione. Insomma, l'arte gli cresce e giustifica il piacere di star solo. Un giorno, tra due mercanti di quadri, si infila in casa la marchesa Silvana Mangano, ricchissima, strafottente e volgare. S'è messa in mente di acquistare per il suo amante l'appartamento vuoto sopra quello del professore. L'alloggio servirà anche per la figlia, Claudia Marsani, e per l'amico di costei, Stefano Patrizi. Amante, figlia e quasi genero non tardano a entrare in scena, sboccati, leggeri e perversi, la loro parte. Si capisce subito, anche per la timida opposizione del professore, che non usciranno più, fino all'epilogo, da quelle camere un tempo solitarie. Lancaster s'è preso in casa un viluppo di vipere moderne, si confronta e si misura con i suoi ospiti, affezionandosi paternamente quanto più loro si dimostrano deboli e corrotti. Naturalmente, l'amante della marchesa (Helmut Berger), traffica in droga, se la fa con spacciatori e ladri pederasti, sfrutta a fini mercantili la passione che si nutre per lui. Ed è inevitabile che la coppia di giovanissimi sia travolta da lui nei riti, o negli eleganti balletti, dell'amore di gruppo, proprio in casa del professore. Ed è necessario che alla fine il bellissimo perverso si uccida, con la testa nel forno della stufa a gas, dopo aver conosciuto che la bassezza di chi lo mantiene è ben più forte e radicata della sua. Sull'intreccio di corruzione borghese si stende la seconda buccia del racconto, che ha un colore attuale, tra sociologico e politico. La marchesa è moglie di un grosso finanziatore fascista, coinvolto in un tentativo di golpe tipo « Rosa dei venti ». L'amico della figlia è un picchiatore di estrema destra, un galoppino che porta gli ordini e le chiacchiere. Helmut Berger è, per suo conto, un ex studente contestatore (« Ricordo gli anni duri del '68... »), che non s'è arreso del tutto, ma fa la spia dentro il sistema, e denuncia, provvidenzialmente, al punto giusto, complottatori. In questa parte del film, abbastanza posticcia e quasi cautelativa, cadono i punti più deboli e le battute più corrive o indisponenti della sceneggiatura. In giusto equilibrio si parla molto della crisi sociale («La polizia ha altro da fare, con tutti questi scioperi ») e degli intoppi del sistema (« Ma dove sono gli industriali di sinistra? »). Ed anche tocca a Lan- castcr rivelare, in modo un poco patetico, che lui, contro le apparenze, non è reazionario, ma progressista; che giudica duramente la società sua e patisce le frizioni tra moralità e politica. Si veda come qui il gioco sia rischioso e improdut¬ tivo, c come Visconti c'entri solo per traverso. Dunque, tra le stanze del film-appartamento (che si potranno meglio esplorare dopo le anteprime di Milano e Roma) molte, di necessità, appartengono a Medioli e agli altri collaboratori del regista. Visconti si sente più come consigliere e grande suggeritore, che interviene quando il ritmo si inceppa c la fluidità narrativa si estenua, quando la sceneggiatura prevale sul far romanzo. Ma una stanza, quella del protagonista, alla quale le altre conducono, è rimasta tutta viscontiana. Burt Lancaster vi dà il meglio di sé, raccordo ideale, per fattezze e simbolo, col Gattopardo; anche qui l'incomprensione, anche qui la sconfitta e la piangente amarezza. Chi credette di trovare nel «Gattopardo» il Visconti più debole e aristocratico, sa pure che la grandezza di un autoie è nei suoi difetti. In questa luce il film non ha il significato moralistico che forse gli sceneggiatori si proponevano (il professore tradito dai « figli » e dalla acerbità dei tempi); ma acquista un senso più viscontiano, come un passaggio dalla presunzione alla consapevolezza. Il professore capisce di abitare un mondo in cui non esistono immunità personali. Non si può rifiutare la volgarità come una escrescenza anomala, ma bisogna accettare che tutto un mondo sia «volgare ». Il colloquio con gli altri deve diventare un dialogo col pensiero della fine. Burt Lancaster è molto bravo; assai più dei suoi compagni. Ci chiediamo perché sappia toccarci anche nel patetico; ma il segreto sta in Visconti, finalmente. Bisogna dare adesso al regista, come tributo, quella ammirazione disarmata che era rimasta inoperosa durante il film. Stefano Reggiani Silvana Mangano, protagonista femminile, in una scena

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