II gran censore della Calabria (in 7 mesi 15 film sequestrati) di Guido Guidi

II gran censore della Calabria (in 7 mesi 15 film sequestrati) Catanzaro: polemiche sul procuratore generale II gran censore della Calabria (in 7 mesi 15 film sequestrati) E' il magistrato Donato Massimo Bartolomei - Molti tribunali gli hanno dato torto e le pellicole sono tornate in circolazione - Della "crociata" si parlerà in Parlamento (Dal nostro inviato speciale) Catanzaro, 9 dicembre. Quìndici film sequestrati in sette mesi: il procuratore generale della Calabria, Donato Massimo Bartolomei, può essere soddisfatto di questo suo ragguardevole primato perché nessun magistrato italiano ha fatto meglio di lui, come dice, per «moralizzare il costume»». In media, ha tolto dalla circolazione (sia pur temporaneamente perché molti tribunali gli hanno dato torto disponendo il dissequestro) tre pellicole al mese se si tiene conto del periodo in cui è stato in vacanza. La reazione polemica a questi suoi provvedimenti (il problema sarà discusso anche in Parlamento, ma con scarsi risultati perché ogni giudice è libero nell'esercizio delle sue funzioni) non sembra preoccupare il procuratore generale. Anzi: il suo proposito è quello di essere sempre più severo. Aspetta — l'ha detto senza mezzi termini — che varchi il confine della sua giurisdizione un film come Portiere di notte per intervenire ancora. Ma la sua è un'attesa inutile. Gli esercenti delle sale cinematografiche di Catanzaro (l'esempio sarà presto imitato da quelli di Cosenza e di Reggio Calabria) hanno deciso di bussare alla porta del suo ufficio e di chiedergli sempre preventivamente l'autorizzazione a programmare questo o quel film. Nei giorni scorsi, ad esempio, è stato messo in circolazione II bestione di Sergio Corbucci con Giancarlo Giannini: ma dopo il tacito consenso del magistrato. Film che hanno soltanto l'intenzione di essere audaci da queste parti ntìn arrivano più da tempo: in modo chiaramente polemico, i distributori mandano a Catanzaro soltanto pellicole come: Il capitano di 15 anni o La cieca di Sorrento. Gli incassi, negli ultimi mesi, sono calati del 35 per cento. «Se continua così — commenta un esercente — conviene chiudere i cinema». Donato Massimo Bartolomei ha 64 anni, è nato in provincia di Avellino, è sposato, ha due figli, è iscritto all'Umi, l'associazione alla quale aderiscono giudici conservatori, è arrivato a Catanzaro per assumere l'incarico di procuratore generale della corte d'appello la mattina del 30 aprile scorso: veniva da Roma, s'era interessato quasi sempre di questioni civilistiche, ma conosceva bene i problemi cinematografici per avere presieduto (settembre 1968-aprile 1969) una delle otto commissioni ministeriali di censura che concedono o negano il visto alle pellicole cinematografwhe. Due giorni dopo il suo insediamento, Donato Massimo Bartolomei firmò il primo provvedimento di sequestro: si racconta che era andato con la moglie a vedere Appassionata e subito dopo lo spettacolo, senza tornare a casa, passò nel suo ufficio a palazzo di giustizia e dispose che il film venisse tolto dalla circolazione. In poco meno di due mesi, altre cinque pellicole subirono la stessa sorte: poi, una breve pazisa durante le vacanze. Infine, in altri tre mesi ancora nove sequestri: l'ultimo in ordine di tempo. Mio Dio come sono caduta in basso di Luigi Comencini. All'inizio di questa sua battaglia «moralizzatrice», il procuratore generale era piutto sto loquace: parlava volentieri per spiegare i motivi di cer te iniziative. Oggi è diventato terribilmente taciturno. Con i giornalisti, poi, non intende parlare affatto. Soltanto l'altro giorno s'è messo in contatto con un redattore del Giornale della Calabria, ma per una questione abbastanza peregrina. «Non m'interessa quello che scrivete su di me — ha detto al telefono — vi prego soltanto di non storpiare il mio nome: mi chiamo Bartolomei e non Di Bartolomei». Non è facile ricostruire il personaggio parlando con chi lo conosce: il magistrato evita, nei limiti del possibile, una vita di relazione; da qual¬ che tempo evita anche di andare al cinema. Ma allora come può prendere certi provvedimenti? «Innanzitutto — spiega — un procuratore generale ha un certo numero di sostituti che possono lavorare per lui; poi leggo i giornali e le critiche; alcuni amici, magari romani, mi informano sul contenuto di alcuni film». L'ipotesi che Donato Massimo Bartolomei prosegua a Catanzaro la sua polemica con il mondo cinematografico iniziata a Roma quando per protesta si dimise (nell'aprile 1969) dalla commissione di censura è tutt'altro che peregrina. Allora scrisse al ministro della Giustizia per motivare le sue dimissioni: «Il cinema è ridotto ad una pubblica scuola di prostituzione e di delinquenza». L'argomentazione che. secondo la legge, l'opera d'arte, in quanto tale, non possia essere considerata oscena non interessa il procuratore generale: per lui certi film non sono opera d'arte e il discorso si chiude prima ancora di cominciare. Non solo: ma Donato Massimo Bartolomei ha adottato il criterio per cui un film soltanto se prosciolto in modo definitivo e cioè con una sentenza che ha trovato l'avallo della Cassazione può essere immune da qualsiasi altra censura di carattere penale. «La semplice assoluzione in istruttoria — dice — non m'impedisce d'intervenire se viene programmato in una zona di mia competenza». Ma c'è di più: Donato Massimo Bartolomei per «moralizzare» ancori! meglio il costume ha stabilito che i suoi provvedimenti non siano limitati alla zona di sua competenza, ma vengano estesi a tutto il territorio nazionale. La conseguenza è che nessuno si azzarda a mandare film a Catanzaro per non vederseli sequestrati anche altrove. Il procuratore generale non limita la sita campagna «moralizzatrice » ai film: l'ha estesa anche alle pubblicazioni. Ne ha fatte sequestrare almeno una trentina e i provvedimenti sarebbero stati ancor più numerosi se carabinieri e polizia non l'avessero avvertito che non esistevano più locali a Catanzaro dove raccogliere tutto il materiale tolto dalla circolazione. Ieri, comunque, in un'edicola davanti a palazzo di giustizia, si vendeva un settimanale che non è davvero consigliabile alle educande. Perché — gli è stato chiesto — tanta severità, in materia di sesso e nessun provvedimento per i film e le pubblicazioni in cui si esalta la violenza e che sono pericolosi tanto quanto gli altri? L'interrogativo è rimasto senza risposta. Guido Guidi