Grave tensione a Cagliari negli ospedali in sciopero
Grave tensione a Cagliari negli ospedali in sciopero Ancora bloccata l'attività sanitaria Grave tensione a Cagliari negli ospedali in sciopero Per porre fine all'agitazione la maggioranza dei dipendenti pone come condizione l'allontanamento del Consiglio d'amministrazione - Ma quanto è accaduto riflette una situazione comune a tante altre città (Dal nostro inviato speciale) Cagliari, 7 dicembre. Il caos che regna negli ospedali riuniti di Cagliari continuerà almeno fino a lunedì mattina. Questa è l'unica notizia sicura e non certo consolante al termine di una giornata convulsa. La questione adesso è questa: gli stipendi di novembre al personale sono stati pagati; è disponibile anche una somma (si dice 50 milioni) che consente, se non di tacitare, almeno di rabbonire qualcuno dei fornitori; se lo sciopero dei dipendenti finisse, la direzione sanitaria consentirebbe a far riprendere negli ospedali la normale attività. Ma lo sciopero non finisce. Nonostante qualche cedimento marginale, la maggioranza dei dipendenti (o almeno i più impegnati fra la maggioranza dei dipendenti) continua a porre al centro della sua lotta l'allontanamento dell'attuale consiglio di amministrazione, identificato polemicamente come «fronte di tutti i mali del più grande nosocomio della Sardegna». Composto da sei democristiani, due comunisti e da un socialista che però non vi è stato ancora ammesso, il consiglio è stato eletto dai vari enti che ne hanno diritto con indicazione prettamente politica. Pareva logico quindi che dovessero essere investiti del problema i partiti politici. I politici sono intervenuti: rappresentanti di de, pei e psi (i tre partiti più o meno interessati) si sono incontrati ieri con i sindacalisti e hanno chiesto 24 ore per esaminare il problema, che è molto complesso. Questo fatto aveva determinato un certo ottimismo: si prospettava la possibilità che lo sciopero venisse revocato e che col turno delle 14 la dura parentesi di questi giorni, con 800 malati espulsi, si chiudesse. Ma il rappresentante della de, detentrice della maggioranza assoluta nel consiglio di amministrazione, non si è presentato, e tutto è diventato un vano inseguirsi di parole ambigue. L'assemblea che ne è seguita è stata molto agitata. Giudicato «deludente» l'atteggiamento dei partiti a fatica si è raggiunto l'accordo di proseguire lo sciopero, rie saminando la situazione lunedì alle ore 10. Che ormai si sia in un vicolo cieco, tutti lo ammettono. Le dimissioni del consiglio di amministrazione, invocate dai sindacati, sono un obiettivo morale, ma nella pratica non risolverebbero nulla. Al limite, la stessa cessazione dello sciopero non potrebbe se non illusoriamente riportare la normalità. Ci sono scadenze ormai vicinissime (la tredicesima mensilità, la mensilità di dicembre) che riproporranno nuove lacerazioni. Spogliato delle sue connotazioni locali, il problema torna ad essere quello che effettivamente è: un problema nazionale che investe le responsabilità del governo. Un problema di miliardi che, nonostante le leggi, i comunicati, le promesse, gli impegni, non arrivano a destinazione. Lucio Pintus, presidente del consiglio dei sanitari degli Ospedali riuniti, ci invita a non drammatizzare. Ma l'analisi che il consiglio stesso ha redatto nei giorni scorsi è ben drammatica. Vi si sottolinea il blocco pressoché totale dei rifornimenti (biancheria, medicinali) e la necessità di reperire «alla giornata i fondi necessari per l'acquisto di quanto indispensabile alla stessa sopravvivenza dei pazienti (alimenti, ossigeno)». Franco Nasi
Persone citate: Franco Nasi, Lucio Pintus
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