Nuovi cuori artificiali

Nuovi cuori artificiali Nuovi cuori artificiali Insieme alla cura del cancro (o meglio — è preferibile usare il plurale — insieme alle terapie dei vari tipi di tumore maligno) il maggior problema che sfida ancor oggi la scienza medica, e quello di maggior peso sociale, è senza dubbio la malattia cardiocircolatoria nelle sue molteplici forme. In Italia, come in tutti gli altri Paesi per i quali esistono precise statistiche, si calcola che la metà dei decessi sia causata, ogni anno, dalle cardiopatie. Il cuore, che batte circa settanta volte al minuto, ossia quattro volte per ogni respiro (così da raggiungere l'incredibile cifra di due miliardi e mezzo di battiti in una vita di media durata), è continuamente minacciato. Se si arresta, è la fine di tutto, il sangue ristagna nei vasi e non si carica più del prezioso ossigeno vivificante, i tessuti si avviano alla necrosi, l'elettroencefalogramma si appiattisce, è la morte. In linea teorica, l'unico mezzo per ristabilire la situazione, allorché il cuore sia tanto compromesso da non essere più in grado di svolgere il suo compito, nemmeno se aiutato da valvole artificiali o da un pacemaker (strumento, quest'ultimo, operante soltanto in circostanze particolari, quando manca l'impulso bioelettrico a battere ma il tessuto cardiaco è integro), sarebbe di cambiarlo. Ecco quindi le due grandi strade sulle quali lavora la scienza moderna, trapiantare in un paziente un cuore ancora valido, sottratto ad una persona deceduta per altre cause, oppure innestare nel petto del malato un cuore del tutto artificiale, di plastica. La prima via (aperta da Chris Barnard con il suo ardito intervento pionieristico del dicembre 1967) non presenta più difficoltà tecniche rilevanti ma urta contro due gravissimi ostacoli: il rigetto immunologico, vale a dire l'incapacità o almeno l'estrema riluttanza dell'organismo ricevente ad assimilare un corpo che gli è estraneo, e l'impossibilità « pratica » di reperire tanti cuori di persone defunte quanti ne occorrerebbero ad una terapia su larga scala. Senza contare, naturalmente, i problemi morali (difficoltà di stabilire esattamente il momento della morte) e giuridici che insorgerebbero. Resta la seconda via, quella del cuore artificiale, sulla quale si sta lavorando in tutti i Paesi (basterà ricordare Cooley, Kwan-Gett, Pierson, Kantrowitz ecc.), ma è una via straordinariamente ardua. Il cuore è una pompa, ma una pompa sui generis. Occorre fornirgli una energia continua, elaborare complicati sistemi di pompaggio del sangue, assicurare al cuore artificiale insediato in un torace l'indipendenza dal campo gravitazionale, smaltire il calore, garantire la purità del sangue e così via. Questi problemi sono tut¬ t'altro che risolti ed è ancora impossibile, oggi, anticipare date più o meno prossime sulla realizzabilità d'un cuore artificiale che possa essere praticamente usato sull'uomo. Vogliamo tuttavia dare notizia d'un passo avanti che si va compiendo in questi giorni, e lo facciamo con tanto maggior compiacimento in quanto si tratta di un lavoro che avviene nella nostra città, ad opera di un ingegnere bionico, Roberto Bosio, già largamente noto per i suoi studi in questo c^mpo e il cui libro («Un cuore per vivere») ha ottenuto a suo tempo larghi consensi. Dai primi modelli realizzati nel 1965 all'attuale modello « fluidico » FTA-746, il progresso è stato continuo. Come ha riferito lo stesso ing. Bosio in un congresso tenutosi nei giorni scorsi a Berlino, sono stati già effettuati trapianti sperimentali su animali del nuovo cuore artificiale (e più precisamente su cani, gli esperimenti avvengono ad opera del prof. Marko Turina nella Clinica chirurgica dell'Università di Zurigo diretta dal prof. Ake Senning) con risultati « esaltanti », vale a dire con sopravvivenze in condizioni reali di oltre e ben oltre 24 ore. Si intravede quindi non eccessivamente lontana la possibilità di interventi anche sull'uomo, pur se, per ora, soltanto temporanei, quando cioè si debba far fronte a situazioni d'emergenza e nell'attesa d'un trapianto naturale, che per oggi resta ancora l'unico mezzo possibile, anche se tutt'altro che soddisfacente, per ovvia¬ re ad una disfunzione totale. Il cuore ideato dall'ing. Bosio potrà forse in futuro — diciamo forse, perché le difficoltà insorgono ad ogni passo e sarebbe delittuoso creare una speranza vana — essere usato come « ausiliare » del cuore naturale infermo. E' questa la stessa via intrapresa dal prof. Chris Barnard nel suo clamoroso intervento della settimana scorsa, al Groote Schur di Città del Capo, quando ha appaiato al vecchio cuore del suo paziente l'organo nuovo di una giovinetta vittima di un incidente stradale. Come si vede è un continuo tentativo, una ricerca forse non molto generosa di risultati immediati ma non perciò meno promettente. Vogliamo così ricordare una interessante comunicazione, presentata al succitato congresso di Berlino (il primo tenuto dalla nuova Società europea degli organi artificiali) dal prof. Luigi Sprovieri dell'Università di Padova. Questi ha illustrato una nuova tecnica ideata per conservare il sangue: separando i globuli rossi dal plasma e aggiungendo ai globuli rossi una soluzione di glicerina è possibile conservare il sangue con tutte le sue qualità per anni. Dato che il sangue è l'elemento fondamentale per far funzionare tutti gli organi artificiali (come i reni artificiali per la dialisi, la macchina cuore-polmone per operare a cuore aperto e lo stesso cuore artificiale) è evidente l'importanza che il nuovo metodo potrà assumere, u. o.

Persone citate: Chris Barnard, Cooley, Kantrowitz, Kwan-gett, Luigi Sprovieri, Marko Turina, Pierson, Roberto Bosio, Schur

Luoghi citati: Berlino, Bosio, Città Del Capo, Italia, Padova