La società crudele di Andrea Barbato

La società crudele Nuova criminalità nel nostro Paese La società crudele Roma, 5 dicembre. L'Italia è diventala una società crudele? La cronaca quotidiana è ormai affollata di angosciose risposte positive a questa domanda, città che vivono ore di terrore, sparatorie alla cieca o a sangue freddo, episodi di impensabile efferatezza. Sembra mutata anche l'anima, la determinazionc dei malviventi. Raffiche di mitra nella provincia bolognese uccidono in un agguato un brigadiere dei carabinieri. Nel pieno centro di Torino, i rapinatori freddano con un colpo di pistola la giovanissima impiegata di uno studio notarile, e la città è sconvolta dalla disperazione e dalla rabbia, in una sera tragica, lacerata dalle sirene. Un'altra bambina, Nicoletta Di Nardi, torna a casa dopo 17 giorni di sequestro, e racconta d'essere stata seviziata, affamata, abbandonata nel freddo. Ma queste non sono che ventiquattr'ore di cronaca nera: il «mattinale» degli ultimi mesi della nostra comunità nazionale è un repertorio di crudeltà criminale. Quasi quaranta sequestri di persona tutti non risolti nell'arco dell'anno, rapine in ogni angolo del Paese, violenza quotidiana nelle scuole, aggressioni neofasciste che giungono fino all'omicidio e, sullo sfondo, la trama degli attentati e delle stragi nere. La criminalità, quella comune come quella che si definisce politica, sembra trionfante e impunita. Non basta l'accorato richiamo di Aldo Moro, nel discorso d'investitura del suo quarto governo, ad un più severo impegno contro ogni forma di delinquenza. Non bastano le squadre speciali, le riorganizzazioni burocratiche dei nuclei di polizia, i piani anticriminali annunciati dal prefetto Efisio Zanda Loy. Non bastano i fucili spianati all'ingresso delle banche e delle scuole, le guardie del corpo; l'oscura dedizione degli agenti sempre più spesso colpiti in servizio. Ormai, un'opinione pubblica atterrita e inquieta applaude un film dove un uomo si fa giustizia da sé, si trasforma in un «vigilante» che colpisce a morte i criminali: più che d'un vago desiderio d'ordine, questa è la prova che la nostra vita quotidiana somiglia ormai a quella di certe giungle cittadine di cui i pericoli ci sembravano fino a ieri remoti; come New York, dove muore un agente di polizia al giorno, dove nessuno sale in un vagone vuoto della metropolitana, dove chi passeggia in certi quartieri rischia la vita. Si dice, e certamente a ragione, che il crimine si sviluppi nei periodi di debolezza dello Stato. Lo prova il fatto che ben dieci rapimenti siano stati consumati nelle settimane di crisi di governo. Ma se la vacanza di potere è un incentivo, soprattutto psicologico, essa non esaurisce certo le spiegazioni e i moventi di questa nuova barbarie. Le cifre e i grafici statistici ci forniscono dati non contestabili, che occorre tuttavia interpretare. Aumentano a dismisura omicidi (11,9 per cento in più), furti (24,3 per cento in più) e soprattutto rapine (42,9 per cento in più) nel breve spazio di un anno. Ma ormai per la maggior parte si tratta di delitti di ignoti: crescono i crimini, diminuiscono le denunce. La curva dei delitti sale alle stelle, e incrocia quella dei detenuti, che da almeno quindici anni scende costantemente. Le carceri si svuotano, i detenuti in cella sono meno di trentamila, di cui la metà circa in attesa di giudizio. E' un sintomo anche questo: le prigioni italiane sono malsicure, focolai di rivolte, vecchi edifici frananti che non garantiscono né chi è dentro né chi è fuori. E' un quadro scuro, di cui ciascuno possiede una spiegazione parziale. L'economista spiega il rapporto fra l'aumento della criminalità e la caduta del benessere. Inflazione e recessione sono potenti complici della delinquenza, la disoccupazione getta i giovani nelle strade, lo scippo o la rapina sostituiscono talvolta perfino l'accattonaggio. Ma vi sono società o periodi austeri, in cui la criminalità non si manifesta necessariamente come follia sanguinaria. E' una criminalità diversa, dice il tecnico. Ma diversa non perché più agguerrita e raffinala, ma proprio per il contrario esatto. Mi dice oggi Ferdinando Li Donni, il vicecapo della polizia trasferito al Nord per dirigere le indagini sui nuovi delitti: «Scompare il criminale di mestiere, che conosceva anche il codice, e non varcava mai certi limiti; e compare una criminalità improvvisata e tracotante, che spara a casaccio». Anche la isl polizia sembra colta di sorpresa: il suo capo, il prefetto Zanda Loy, ha ammesso a Milano che «nessuna forma di vigilanza può riuscire a sventare singoli episodi criminali». E Li Donni aggiunge che uomini e mezzi «non sono sufficienti a controllare lo sviluppo delle città, pur con l'abnegazione di lutti». Aggiungono altri che gran parte delle energie di vigilanza e di prevenzione sono assorbite, e con scarsi risultati, dal pattugliamento «politico». Una società crudele, una criminalità diversa, una polizia insufficiente. Il sociologo aggiunge altre analisi: per esempio, gli squilibri della ricchezza, la volgarità dei modelli sociali tutti rivolti al successo, al consumismo, al guadagno facile. E ancora: la trasformazione della mappa sociale delle città, lo sradicamento, i soggiorni obbligati, i ghetti d'immigrazione. Chi studia i rapporti fra il potere e i cittadini, non risparmia accuse al mondo politico: non solo per la declinante autorità dello Stato, non solo per la lentezza delle riforme degli strumenti di legge, ma anche per aver in qualche caso favorito l'idea dell'impunità (un'idea contagiosa) per vistosi reali di costume e di comportamento. I corpi dello Stato, del resto sembrano animati da acute riva lità. Alle palesi insufficienze della polizia, alle grottesche concorrenze fra reparti ed uffici, si risponde da tempo invocando poteri diversi, o riversando le accuse sulla magistratura. E' stato Taviani, allora ministro dell'Interno, a rimproverare poco tempo fa ai magistrati di frenare l'azione della polizia giudi ziaria nel caso dei sequestri. Ma se quel dibattito sfiora il caso di coscienza, e il dilemma morale, ai giudici si fa carico di una così esasperante lentezza nei pro> cessi da far scadere i termini della carcerazione preventiva, da rimettere in circolazione criminali autentici o potenziali. L'istituto della libertà provvisoria, che è una garanzia di equità, diviene così un esplosivo sociologico, e induce i più esasperati a invocare il ritorno al passato, l'interrogatorio senza garanzie difensive, il fermo di po¬ lizia. Ad altri infine, solo in parte in buona fede, sembra di poter intravedere la soluzione in un inasprimento delle pene: ma aumentare gli anni di pena sui codici e inutile, se poi non si comminano nelle aule giudiziarie. L'ansia di tutti è giustificata, condivisa, comprensibile. Anche perche chi tenta di minare il prestigio dello Stato è obiettivamente alleato della delinquenza vecchia e nuova. Terrorismo e criminalità affondano le radici in un terreno comune. Uno Stato è forte e autorevole non se innalza i patiboli, ma se bonifica le paludi sociali dove nascono i criminali. Stiamo rapidamente diventando una società crudele, dove la vita di tutti è esposta ad un repentaglio quotidiano, dove non si esita a uccidere. Non poche righe di un programma di governo, dunque, ma il compito fondamentale di una classe dirigente degna di questo nome. Andrea Barbato

Persone citate: Aldo Moro, Efisio Zanda Loy, Nicoletta Di Nardi, Taviani, Zanda Loy

Luoghi citati: Italia, Milano, New York, Roma, Torino