Nelle mani di duecento il controllo dello Stato militari etiopico di Sandro Viola

Nelle mani di duecento il controllo dello Stato militari etiopico Nelle mani di duecento il controllo dello Stato militari etiopico (Dal nostro inviato speciale) Addis Abeba, 4 dicembre. Non si spara più da 48 ore. e la città appare calma. L'avviso dato l'altra sera dai militari alla popolazione, di non agitarsi anche se «di tanto in tanto» si fossero sentiti colpi d'arma da fuoco, è risultato superfluo. Ieri ci sono stati \un paio di falsi allarmi, e la polizia militare ha frugato in vari edifici (compreso l'hotel Hilton) alla ricerca di nuove bombe; e non si sono verificate altre esplosioni. In questi tre giorni, naturalmente, il volto della città è mutato: ora la capitale dell'altopiano etiopico ricorda la lontana Belfast, le perquisizioni all'ingresso degli edifici pubblici, le misure d'emergenza itegli alberghi, le pattuglie in assetto di guerra. Ma quel che s'era potuto temere dopo gli attentati di lunedì, e la confusione lunga e nervosa, i prodromi d'un caos, non c'è stato. Se per tanti versi i militari al potere ignoti, invalutabili, dubbio che essi hanno mostrato di muoversi a notevoli livelli di efficienza. Oggi sono stati annunciati due nuovi arresti: un generale . restano \ non c'è \ di divisione. Berckct Ghebre Meditili, e un civile, tale Makonnen Ghebre. La retata compiuta dopo le bombe dell'altro giorno, resta dunque — stando alle notizie di fonte ufficiale — di dimensioni ridotte: 16 persone in tutto, otto militari e otto civili. Ciò nonsÌ?l\ifi(:a cll;e,}a l^ia,c}e_?}'} arrestati sia priva di significato, anzi. In essa ci sono tre generali, Merate Ab Tedia, Tedia Makonnen e Bercket Ghebre, un tenente colonnello, wi maggiore, un capitano, un sottotenente e un cappellano militare. Tra i civili, ecco il dejazmak (che vuol dire conte) Alida Bekele, e un ex sottosegretario. Quel che più importa, nella lista figurano alcuni oppositori del vecchio regime: il dejazmak Alida, per esempio, e suo nipote, il generale Merate Ab Tedia, erano stati imprigionati per ordine di Hailè Selassiè un paio d'anni fa. ed avevano ritrovato la libertà solo all'avvento della «rivolli zione». Quanto al capitano Michele Solomon, egli sarebbe stato (secondo una voce che abbiamo tentato, inutilmente, di controllare) assai vicino ai giovani ufficiali del Consiglio militare, e forse addirittura membro di quest'organo. Insomma, gente che non sosteneva il regime abbattuto dal colpo dì Stato, e al contrario aveva preso parte a qualcutia delle tante cospirazioni contro Hailè Selassiè svoltesi in Etiopia in questi trent'anni. Dei due civili di orìgine eritrea che figurano tra gli arrestati, il primo faceva parte del personale dirigente dello «Webi Shebeli», l'hotel dilaniato da una delle bombe di lunedì; mentre l'altro, l'ex sottosegretario dell'agricoltura, Habte Ab-Bairu, è fratello di Tedle Bairu, uno dei leader storici del Fronte di Liberazione Eritreo. E' il segno che polizia e militari stanno seguendo due, e forse tre tracce, nel tentativo di giungere all'origine degli attentati: la prima (quella annunciata dal «Derg» due ore dopo l'esplosione) va verso l'aristocrazia e gli alti ufficiali: la seconda verso le «basi» e i sostenitori che i nazionalisti eritrei potrebbero avere nella capitale; la terza è la traccia tigrina. Uno dei civili finito in prigione è infatti un uomo d'affari che viene dal Tigrai. Hailè Meketa. amico di quel ras Mangascià Seyum, su cui i militari vorrebbero tanto metter le mani. Com'è noto, il ras è l'unico dei grandi personaggi dell'impero ancora in libertà, quasi sicuramente alla macchia nelle montagne intorno a Gondar: e molti segni fanno ormai credere che egli potrebbe aver preso contatti col Fronte di Liberazione Eritreo, in vista d'una azione comune contro il regime militare di Addis Abeba. Duecentosette tra ufficiali, sottufficiali e soldati sono stati intanto distaccati nei ministeri, negli enti di Stato e nelle prefetture, dove dovranno controllare l'attività e l'impegno «rivoluzionario» della burocrazia, ora che stanno per essere varate le «riforme» (di cui nessuno, però, sa ancora niente) del nuovo regime. E' un passo importante, il primo dall'inizio della rivoluzione che mostri in modo definitivo l'intenzione dei giovani ufficiali etiopici di installarsi al potere secondo gli schemi classici del regime militare. I dubbi che restavano sfumano, l'Etiopia (se i progetti del «Derg» non saranno affrontati con la forza) si avvia verso la dittatura in uniforme. Oggi dovevano aprirsi i primi processi — quelli minori, a livello di tribunale distrettuale —. contro i funzionari di grado medio colpevoli di corruzione. Essi sono stati però rinviati, e nulla si sa circa l'inizio dei grandi processi che la corte marziale suprema celebrerà contro i duecento notabili tenuti in prigionia sul Ghebì Menelik. In un messaggio che il generale Tafari Banti, capo del governo militare provvisorio, ha inviato ieri al segretario dell'Onu, Waldheim, c'è l'assicurazione che questi processi saranno «corretti», e verranno condotti sulla base delle leggi etiopiche. Una smentita, dunque, alle voci dei giorni scorsi, che volevano il «Derg» pronto a giustiziare altra gente senza processo. Sandro Viola

Persone citate: Alida Bekele, Hailè Meketa, Hailè Selassiè, Makonnen Ghebre, Merate Ab Tedia, Michele Solomon, Tafari Banti, Waldheim

Luoghi citati: Addis Abeba, Belfast, Etiopia, Gondar