A Torino tante voci sulla crisi della Fiat di Ferruccio Borio

A Torino tante voci sulla crisi della Fiat A Torino tante voci sulla crisi della Fiat Quale sviluppo? Imprenditori, sindacalisti e politici si sentono coinvolti; il discorso si apre allo Stato Fiat, corso Marconi a Torino. Ufficio del direttore per il personale. Rinaldo De Pieri appartiene alla « nouvelle vaglie » della grande azienda. Gli domando: « Tra le cause della crisi Fiat ritiene che ci sia anche una responsabilità del sindacato? ». Risponde: « La responsabilità del sindacato è di aver teorizzato, sottovalutandone le conseguenze, il discorso dei salari variabili e indipendenti (tanto per citare un assioma) o il nuovo modello di sviluppo. Ma che cos'è questo modello non meglio identificato? Quando si tenta di andare sul terreno pratico il nostro interlocutore è più reticente. Sa benissimo che il nuovo modello in questo momento non c'è. Se lo identificano — com'è stato fatto — con il produrre autobus o treni o applicare tecnologie avanzate, sanno che si tratta soltanto di modelli complementari dell'auto, non alternativi. Se pensano di imitare la Svezia, non possono ignorare che la Svezia ha carenza di manodopera, per cui deve puntare su prodotti ad alta concentrazione di tecnologia e di materia grigia, mentre il nostro problema è diverso. In Svezia c'è un grado di scolarità elevato e una preparazione maggiore che da noi ». Mi rivolgo ai sindacalisti. Ferrari della Uil afferma: « Il nuovo modello di sviluppo significa andare alla ricerca di un meccanismo che sposti verso di noi l'equilibrio di potere che oggi è nelle mani della classe dominante. In parole povere, fare una politica sociale di tipo più avanzato, fare quello che in Italia finora non si è fatto, cioè le riforme ». Questa tesi coinvolge tutto l'apparato sociale, o meglio 10 Stato, più che la Fiat. « Sono coinvolti tutti. E' chiaro che il nuovo meccanismo non lo si inventa solo alla Fiat; è un problema che investe tutta la società, altrimenti non avrebbe senso. Ma la Fiat potrebbe fare molto per aiutare questa maturazione. Tutti dicono che vogliono modificare le cose, però si tratta di sapere che cosa la Fiat intende fare. Prendiamo per esempio i "progetti speciali" previsti dal governo. La Fiat si è dichiarata disponibile. Bene. Costruiamo opere pubbliche, case e ospedali. Ma i lavori devono essere coordinati dalle Regioni e dagli enti locali. Noi sosteniamo che ci va una politica diversa dall'attuale, creare consorzi di comuni, arrivare alle autonomie locali. Tutto questo sposta gli equilibri di potere all'interno della società. Quindi è un nuovo modello, a cui il sindacato vuole partecipare ». trodotto nella vita economica nazionale e per ipotizzare una sua collocazione nuova, non frenante, ma propulsiva, in una struttura industriale che risolva i problemi che ho elencato? Sino ad oggi il monopolio non ha ancora dimostrato di possedere una seconda anima in grado di sostituire quella che è entrata in agonia ». Per i repubblicani, Giorgio La Malfa risponde: « Fino a qualche tempo fa parlando di nuovo modello si intendeva porre l'accento sulla necessità di modificare il carattere dello sviluppo economico italiano, sostituendo per quanto possibile consumi di ordine collettivo ai consumi privati e aumentando gli investimenti privati e pubblici in settori trascurati negli anni del dopoguerra: agricoltura. Mezzogiorno, infrastrutture sociali. Si trattava non solo di un'esperienza sentita da larghi strati del Paese, ma di una necessità per evitare che lo sviluppo generasse al suo interno quelle contraddizioni economiche e sociali che dal 1968 in avanti si sono manifestate. « Oggi è necessario chiarire che dopo la crisi energetica che per esempio ha investito l'industria dell'automobile in tutto il mondo, il problema principale è quello di assicurare lo sviluppo del Paese ed evitare una crisi rovinosa che lo riporterebbe indietro. Nel fare questo sforzo Disogna seguire una nuova via. Bisognerà pianificare attentamente l'uso delle risorse, avendo d'occhio la bilancia dei pagamenti. Bisognerà risparmiare nei consumi individuali, sostituendoli ove possibile con i consumi collettivi. Per tutto questo è necessario un impegno del governo, delle forze imprenditoriali e di quelle sindacali ». Valerio Zanone, liberale, precisa: « Il problema non è soltanto quello di aumentare la quota dei consumi pubblici sul reddito nazionale, ma è anche quello di selezionare meglio la spesa pubblica che contiene troppe componenti improduttive, parassitarie e assistenziali e che assegna troppo spazio ai trasferimenti in favore di questa o quella categoria e troppo poco alla produzione di beni e servizi per la generalità dei cittadini. « A me pare che una espansione selettiva della spesa pubblica possa attuarsi anche con l'apporto dei produttori privati, i quali hanno oggi evidenti ragioni di interesse a porre il proprio patrimonio tecnologico ed industriale al servizio della domanda sociale. Un indirizzo di questo genere è stato assunto dalla Fiat con i noti programmi di conversione dalla monoproduzione automobilistica ad una produzione più orientata verso i mez zi di trasporto collettivi; ma un settore dell'attività Fiat che forse merita attenzione anche maggiore è quello co stituito dalle iniziative di prò gettazione per l'organizzazio ne del territorio, i complessi ospedalieri ed in genere le infrastrutture sociali ». Completo l'inchiesta con l'Unione Industriale di Torino. « Parlare di nuovo modello di sviluppo senza che ci sia lo sviluppo è un contro senso — afferma Carlo De Benedetti —. Se la frase vuol dire cambiare la distribuzione del reddito è impensabile che questo possa avvenire, in regime democratico, senza che aumenti il totale da distribuire. In un momento di crescita economica sarà anche possibile destinare una maggiore quota di risorse ai consumi pubblici. Sarà una decisione del potere politico, opportuna nella misura in cui verrà incontro alle reali esigenze della collettività. Ma non vediamo come una simile decisione possa riguardare le attuali competenze delle strutture imprenditoriali. La industria produce ciò che viene richiesto dal mercato ». può anche voler dire riconoscere la situazione in cui ci troviamo. Tutti dobbiamo accettare una certa misura di sacrifici — cittadini, famiglie, imprese — per ritrovare nell'esportazione la nostra ultima salvezza ». Mirafiori, cancello 9, corso Settembrini, ore 14,30. Gli operai escono e corrono ai tram e alle auto. Due cronisti li fermano a gruppi, giovani e anziani. Li interrogano sulla situazione del lavoro, sulle speranze in un nuovo modello di sviluppo. Le risposte sono tutte eguali. « C'è la crisi, i prezzi aumentano, la busta diminuisce ». « La Cassa integrazione non va, lo stipendio è ridotto ». « Ci sono troppe cose che non vanno». «Siamo dell'Officina 2, parecchi sono passati di categoria, 40.000 in più, noi aspettiamo ». « Voi parlate di grandi problemi; noi in febbraio abbiamo fatto scioperi per gli investimenti nel Sud, non sono serviti a nulla ». « I nostri problemi sono i prezzi, i trasporti, i treni, i pullman ». « E' colpa della benzina, fatela ribassare ». « La verità è che i padroni decidono quanto vogliono guadagnare, e nel bene o nel male debbono guadagnare sulla nostra pelle ». « Chiediamo un posto di lavoro sicuro, con paghe adeguate agli aumenti ». « Modello di sviluppo? Lo chieda a lui, è un sindacalista». Il sindacalista si scusa: « Ho fretta ». Ferruccio Borio

Persone citate: Carlo De Benedetti, Giorgio La Malfa, Rinaldo De Pieri, Valerio Zanone

Luoghi citati: Italia, Svezia, Torino