Vuole morire a casa l'ergastolano Olmo Uccise la moglie e il marito dell'amante di Franco Marchiaro

Vuole morire a casa l'ergastolano Olmo Uccise la moglie e il marito dell'amante È molto malato l'autore della strage del febbraio '54 ad Alessandria Vuole morire a casa l'ergastolano Olmo Uccise la moglie e il marito dell'amante Ha 62 anni ed è rinchiuso nel penitenziario di Porto Azzurro - Colpito da paralisi progressiva, ha presentato domanda di grazia - Per ottenerla dovrà però avere il perdono di alcuni familiari delle vittime - E' stato un detenuto modello (Nostro servizio particolare/ Porto Azzurro, 27 novembre. Emilio Olmo, il calzolaio alessandrino oggi sessantaduenne che nel 1954 uccise ad Alessandria la moglie e il marito dell'amante, è in fin di vita nel penitenziario di Porto Azzurro, all'Isola d'Elba, dove sta scontando l'ergastolo. Colpito da una forma di paralisi progressiva, l'ergastolano sta molto male, ha quasi perduto la parola e ha un lato del corpo paralizzato. Secondo il medico della casa di pena, non vi sono speranze. «Capisco quanto grande sia stata la mia colpa — dice Emilio Olmo —, vorrei però poter morire fuori da queste mura. Chiedo di poter vivere gli ultimi giorni in seno alla società». Ha pertanto presentato domanda di grazia. Una precedente richiesta di qualche anno fa, quando ancora non era ammalato, venne respinta. La pratica è partita da Porto Azzurro con il parere favorevole del direttore del penitenziario: oltre allo stato di salute, il funzionario mette in evidenza come Emilio Olmo abbia tenuto sempre un comportamento modello: in oltre vent'anni di reclusione non ha mai subito la pur minima punizione. Appoggia la richiesta del calzolaio anche una relazione del medico del carcere. Da parte sua, richiesto del parere come vuole la legge, il sostituto procuratore della Repubblica di Alessandria, dottor Parola, ha comunicato di essere favorevole, in considerazione delle condizioni di salute dell'ergastolano, alla concessione della grazia, o quantomeno alla sospensione esecutiva della pena (un provvedimento che può essere adottato per motivi di salute, in base all'articolo 147 del codice penale). Hanno già concesso il perdono, in occasione delle pratiche svolte per la precedente richiesta di grazia, la vedova Matilde Calomino e i tre figli (abitano tutti a Milano) di una delle vittime del calzolaio, il garzone di bottega Francesco Dametto assassinato a 34 anni. Non solo hanno perdonato, ma uno dei figli del Dametto, Laura, aveva scritto all'ergastolano facendogli presente che lei, i fratelli e la mamma, «ritengono sia giusto perdonare e consentire a chi ha espiato duramente un crimine, pur così grave, di tornare libero». Decisi invece a non concedere il perdono sono i fratelli del Dametto e i congiunti della moglie dell'Olmo, Costantina Masuelli, uccisa a 39 anni. Bisognerà vedere se, in considerazione delle condizioni di salute del calzolaio, il loro atteggiamento muterà. Il perdono delle parti lese è indispensabile per la concessione della grazia: nel caso di Emilio Olmo, però, l'ostacolo potrebbe essere superato con la sospensione dell'esecutività della pena per motivi di salute. La sera del 2 febbraio 1954, verso le venti e trenta, due giocatori di calcio dell'Alessandria, transitando in piazza Marconi, dinanzi al laboratorio del calzolaio Olmo, udirono alcuni lamenti. Diedero l'allarme e, aperta la porta del negozio chiusa dall'interno, venne fatta la macabra scoperta. Sul pavimento giacevano i cadaveri della moglie dell'Olmo, Costantina, e del suo garzone di bottega, Francesco Dametto. Il calzolaio ferito al capo e alla mano sinistra, si lamentava e invocava soccorso. Ricoverato in ospedale — le sue condizioni non erano gravi — venne interrogato e disse di essere stato aggredito da rapinatori. «Sono entrati nella bottega e sema pietà hanno ucciso mia moglie e il Dametto, poi hanno infierito anche su di me. Non so chi siano, non li ha visti in faccia». Il suo racconto presentò subito del lati oscuri, e alcuni giorni dopo il calzolaio alessandrino finiva con il confessare. Invaghito della moglie del Dametto, l'allora trentenne Matilde Calomino, aveva deciso di eliminare le due persone che avrebbero potuto impedirgli di vivere accanto alla donna. Così quella sera, chiuso il negozio verso le 19,30 aveva aggredito il Dametto, ancora seduto al deschetto da calzolaio: con una sbarra di ferro lo aveva più volte colpito al capo, fracassandoglielo. Ai lamenti del garzone, era accorsa la moglie dell'Olmo, che si era scagliata contro il marito con pugni e graffi. L'uomo allora con la stessa sbarra di ferro le fracassava il cranio, uccidendola. Si era poi ferito per poter simulare l'aggressione. Rinviato a giudizio per uxoricidio e omicidio doppiamente aggravato, il calzolaio quarantunenne comparve in corte d'assise il 13 luglio dello stesso anno. Interrogato dal presidente diede una nuova versione dei fatti: ritrattata la confessione, affermò di aver agito perché provocato dal Dametto e per motivi d'onore. Una versione assurda, a cui i giudici non credettero. Emilio Olmo venne condannato all'ergastolo; alla lettura della sentenza spaccò quanto gli capitò sottomano, insultando i giudici. Qualche giorno dopo per il nuovo reato subì una condanna in pretura. L'ergastolo venne confermato in appello e il duplice assassino fu avviato al penitenziario di Porto Azzurro. Qui Emilio Olmo cambiò comportamento. Dopo avere lavorato come calzolaio, ebbe per la sua buona condotta l'incarico di vendere gli oggetti d'artigianato eseguiti dai reclusi ed esposti in vetrinette nell'atrio del penitenziario. Franco Marchiaro

Luoghi citati: Alessandria, Milano, Porto Azzurro