Il western di Puccini musica più spettacolo di Massimo Mila

Il western di Puccini musica più spettacolo "La fanciulla del West,, al Regio Il western di Puccini musica più spettacolo Inaugurata la stagione con un buon allestimento dell'opera Tra le opere meno popolari di Puccini La fanciulla del West è quella su cui perfino i più fanatici pucciniani sono talvolta disposti a consentire qualche riserva, e che gode invece dell'indulgenza di coloro che pucciniani l'anatici non sono. Fin troppo facile prendersi gioco dei patemi di Puccini alla pcienne ricerca d'un libretto, e della sua candida fede che cambiando l'ambiente, geografico o storico, della sua solita vicenda-tipo, gli fosse possibile sfuggire al rischio — da lui sentito con acuta intelligenza — di fossilizzarsi nella ripetizione d'una formula, come avveniva a molti dei suoi colleghi. Facile farsi beffe del sentimentalismo di questi rudi cercatori d'oro che piangono come vitelli all'arrivo della posta nel «saloon» californiano della «Polka», o di questa animosa ragazza del Far West che nasconde sotto il corsetto una Colt e un cuore da maestrina del libro Cuore di De Amicis. Di ben altri western ha arricchito la nostra cultura il cinematografo. Con tutto questo, La fanciulla del West e un'opera al cui invito si aderisce sempre con curiosità. Non ci si va con quel fastidio del «déjà vu», che ci accompagna irrimediabilmente alle rappresentazioni di Madama lìutlerfly o magari anche della Tosca, dove il meglio che ci si può aspettare è, per l'appunto, una buona esecuzione, ma nulla di nuovo, nessuna scoperta è più da sperare. Forse anche per la relativa rarità delle rappresentazioni, dovuta in parte alla minore popolarità dell'opera, in parte alle considerevoli difficoltà d'esecuzione, La fanciulla del West è un'opera che si è ancor sempre disposti a interrogare, facendole credito di qualche possibilità che potrebbe esserci sfuggita nei precedenti ascolti. Perché, alla molestia del solito ricatto sentimentale esercitato dall'arte di Puccini ci si sottopone, nella Fanciulla del West, con maggior buona grazia di quanto avvenga in occasione d'altre opere sue assai più popolari? Perché Puccini, mentre stava cercando, quasi comicamente, di salvaguardare la freschezza dell'ispirazione attraverso cambiamenti esterni del colorito ambientale, stava anche facendo la sola cosa saggia ed opportuna a questo scopo, ossia trasformava, più esattamente sviluppava il proprio linguaggio musicale, operazione che intorno a lui non riusciva a Mascagni, a Giordano, a Leoncavallo e a Cilea, o magari non la tentavano nemmeno. Nessun musicista può restare indifferente a quel che avviene nella partitura della Fanciulla del West. Tanto è stupido il dramma — appesantito da un libretto di meticolosa pignoleria — altrettanto intelligente è la musica. E non si tratta solo di quella meraviglia d'orchestrazione che tutti s'accordano ad ammirare. In realtà non si orchestra bene se non si ha niente da dire. E' proprio l'invenzione dei vocaboli musicali che in certo senso sbalordisce per l'originalità e quindi la freschezza, che non si sgualcisce col tempo, perché in arte quel che giovane era nascendo, giovane resta. Concediamo pure qualcosa all'influenza di Debussy, del resto meno estesa e soprattutto meno profonda di quanto si dica, ma il fatto è che nella Fanciulla del West, specialmente in quel primo atto prodigioso di spezzettamento dialogico e di vivacità di scorsiva, ci sono interi settori che si potrebbero isolare e gabellare sotto la firma di Malipiero, e altri che si potrebbero spacciare per un Ravel della più bell'acqua, senza destare il minimo sospetto della truffa. Nessuno lo potrebbe testimoniare meglio di Nino Sanzogno, che ha diretto l'opera col gusto e con la partecipazione che suole mettere al servizio delle opere nuove, e che forse in questi giorni sta già provando con l'orchestra / Capricci di Callo! di Malipiero, che saranno la seconda opera della stagione. Per questo spettacolo d'inaugurazione il Teatro Regio ha fatto uno sforzo di cui gli va reso atto, procurando un'esecuzione di tutto rispetto. Pare che l'opera sia molto difficile da cantare o, piuttosto, faticosa, per i protagonisti. Le fanciulle del West si fanno rare in Italia, e così il Regio è andato a cercarne una proprio in California. Alta, bionda, bella senz'essere sofisticata, franca di modi e disinvolta, Carol Neblett ha le physique du ròte. Canta recitando e costruisce il personaggio. Ottima la pronuncia italiana. La voce è limpida in ogni registro ed apparentemente non accusa le difficoltà della parte. Forse è una voce un poco impersonale e la sua interpretazione è — felix culpa! — fin troppo leale e onesta, senza lenocini. Accanto a lei il tenore spa¬ gnolo Placido Domingo (che finezza! la nazionalità dei due interpreti è proprio quella di cui sono accreditati i personaggi dell'opera) sa vendere molto meglio la propria merce. Nessuno potrebbe accusarlo onestamente di gigioneria, eppure lui strappa l'applauso a scena aperta, e la Neblett no. Chi lo sa se è questione di mestiere o questione di temperamento. Entrambi gli artisti erano alla loro prima esperienza con quest'opera, ed entrambi possono farsene un cavallo di battaglia. Ma di cavalli di battaglia, Domingo ne ha tutta una scuderia. Venendo finalmente ai cantanti italiani, su un piano vocale lievemente inferiore, ma di grande intelligenza musicale e scenica, troviamo il Jack Rance del baritono Mario Basiola, lo sceriffo che e il terzo personaggio importante della vicenda e che molti trovano il carattere più credibile dell'opera, in linea con la tradizione dura del western, e assai sobrio anche nell'unico cedimento sentimentale della sua parte, la melodica romanza «Minnie, dalla mia casa son partito». Buon rilievo ha dato il basso Giovanni Foiani c quel personaggio di Ashby che nell'opera non si capisce bene che ci stia a fare. 11 baritono Rovella è Jake Wallace, straziante cantastorie girovago, Gianni Brunelli il bandito José Castro, Anna Di Stasio e Vinicio Cocchieri la coppia d'indiani. Ivan Del Manto un postiglione. Il tenore Fernando Jacopucci è Nick, cameriere della «Polka», e il baritono Claudio Strudthoff è Sonora, cioè i due personaggi un po' emergenti dalla folla dei comprimari che in quest'opera tengono quasi luogo di coro, ma che vanno tutti nominati con lode perché proprio a loro toccano le maggiori difficoltà d'una vivacissima recitazione cantata, fuori d'ogni convenzione melodrammatica: Renato Ercolani, Leonardo Monreale, Orazio Mori, Luigi Pontiggia, Aronne Ceroni, Dino Mantovani e Alfredo Giacomotti Anche il coro, esclusivamente maschile, partecipa alle insolite difficoltà di questa esecuzione collettiva e le ha bene superate sotto la guida di Adolfo Fanfani, e grazie alla concertazione accuratissima, alla direzione energica e vellutata ad un tempo di Nino Sanzogno, attentissimo a trarre dall'orchestra il giusto risalto alle qualità della partitura, ma anche ad evitare forzature di tono che potrebbero riuscire pregiudizievoli alla statura, tutto sommato, non eccelsa dell'opera. Furono applaudite le scene grandiose e complicate di Dante Ferretti, che devono certamente dare un bel da fare, durante lunghi intervalli, al bravo Aulo Brasaola, direttore dell'allestì mento. Ma chi all'opera desidera anche «vedere» qualche cosa e si scoccia di trovare per tre atti sempre lo stesso impianto scenico ad clementi fissi, qui troverà motivo di soddisfazione. La regìa di Piero Faggioni è efficace, realistica e intelligente: concede il dovuto al romanzesco della vicenda e riduce al minimo i danni del sentimentalismo. Ci sono, nelle scene, nei costumi e nella regìa, alcune libertà rispetto alla tradizione: la macchinosa e dirupata struttura dell'ultimo atto impedisce l'impiego di cavalli, a cui Puccini teneva tanto; manco l'ombra d'una camicia di flanella a scacchi: invece della famosa gonna rossa adatta alla padrona d'un bar di minatori nel Far West, Minnie indossa abitucci che ne accentuano l'aspetto pleurnicheur da maestrina alla De Amicis. Ma va del resto ricordato che la tradizione esecutiva della Fanciulla del West è tult'altro chcstabilita: proprio nelle prescrizioni sceniche le differenze sono enormi tra il vecchio libretto Ricordi e quello nuovo, accolto da Enzo Rcstagno nel volumetto di analisi uscito per quest'occasione nella collana «Opera» dell'Ulct, e tali da documentare la sicura presenza di almeno due tipi di messa in scena, probabilmente uno dovuto alle esecuzioni americane dell'opera, e l'altro alle riprese italiane. Splendido pubblico, anche d'altre città, e successo crescente di atto in atto. Massimo Mila

Luoghi citati: California, Italia, Sonora