Chi sceglie gli uomini? di Giovanni Trovati
Chi sceglie gli uomini? Chi sceglie gli uomini? (Dal nostro corrispondente) Roma, 22 novembre. Il primo governo dell'Italia liberata (21 giugno - 8 dicembre 1945) aveva 21 ministeri e 19 ministri, perché il presidente del Consiglio Parri era anche titolare dell'Interno e dell'Africa italiana; i sottosegretari erano 28. Così erano 21 i ministeri del governo successivo, il primo di De Gasperi (10 dicembre 1945 - primo luglio 1946) e 19 i ministri, perché il presidente del Consiglio si era tenuto gli Esteri e l'Africa italiana; i sottosegretari continuavano ad essere 28. Il terzo governo De Gasperi (2 febbraio 1947 - 31 maggio 1947) si ridusse a 15 ministeri con 14 ministri, perché il presidente del Consiglio conservava l'Africa italiana, mentre i sottosegretari erano 23. Fu il governo più snello, eppure si erano dovuti accontentare democristiani, comunisti e socialisti, e c'era anche un indipendente, Carlo Sforza, agli Esteri. L'ultimo governo Rumor, quello che si è dimesso il 3 ottobre scorso, aveva 28 ministri e 58 sottosegretari. Quei primi governi, poveri di uomini, dovevano affrontare i tremendi problemi del dopoguerra e in condizioni di grande difficoltà, sia per l'ordine pubblico sia per la insufficienza dei mezzi di comunicazione che rendevano più lontane le distanze. Se badiamo ai risultati dobbiamo riconoscere che non hanno reso meno degli ultimi governi, mastodontici per uomini e per mezzi. Moro vorrebbe ridurre ministri e sottosegretari, ma ii suo proposito incontra vive opposizioni. Per superarle non basta la pazienza, occorre qualcosa di più. Ma questa sera un altro ostacolo si è aggiunto. Il problema della scelta degli uomini è stato posto male, in termini di dilemma: o premiare l'esperienza (un eufemismo per conservare le solite facce) o avviare un totale rinnovamento. Il buon senso consiglierebbe di contemperare le due esigenze, non si può fare un governo con tutti uomini nuovi e neppure fare un governo secondo le indicazioni dei gruppi parlamentari, che continuano ad indicare personaggi chiacchierati e superati. Quel che sorprende però è che il « rinnovamento » dovrebbe punire quei leaders democristiani che hanno difeso Moro in direzione permettendogli di portare avanti il tentativo di formare il governo. Facciamo alcuni nomi: Taviani, Andreotti, Gullotti. L'operazione di rinnovamento per qualcuno è stata addolcita con una proposta di spostamento. Taviani questa sera ha dichiarato di non accettare un altro posto; e il governo si priverebbe (usiamo ancora il condizionale) del ministro dell'Interno che ha rifiutato l'alibi del doppio estremismo e che, per la tenacia con la quale ha perseguito la pista nera, è attaccato dovunque dai fascisti. Non sappiamo ancora se Andreotti accetterà di lasciare la Difesa per il Bilancio. Ma sino a ieri nessuno poteva pensare che il nuovo governo avrebbe rimosso il ministro che ha aperto gli archivi del Sid, dando alla magistratura la possibilità di intervenire, e speriamo di far luce, sui ripetuti tentativi eversivi. Lo strano è che tutte queste decisioni sono condotte dalla delegazione democristiana composta da Fanfani, Piccoli e Bartolomei, assente Moro. Che cosa significa questa assenza? Una protesta per l'imposizione pesante del partito? Una parte della de non voleva Moro e quella paite dimostra di essere dura a cedere. Quel che sta avvenendo suggerisce però di modificare la Costituzione, là dove all'art. 92 assegna al presidente del Consiglio (già l'abbiamo citato ieri) il compito di proporre i ministri al Presidente della Repubblica. Anziché « presidente del Consiglio » si dovrà correggere in « segretario del partito » oppure in « delegazione del partito ». Giovanni Trovati
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